Vuoi star zitta, per favore? No, non più

Questo non sarà un post leggero, riflessivo, scritto ammodo, ben strutturato, con link di approfondimento, ma solo un post incazzato nero. E siccome il blog è mio e, almeno questo, me lo gestisco io, voi non ve ne avrete a male. Perché io in questa breve vita vorrei occuparmi solo di cose felici, unicorni, stelle filanti, colazioni sull’erba e washi-tape, e invece no.

E oggi, proprio oggi che è la Giornata Mondiale contro l’omotransfobia, io ho bisogno di dire quanto sono piena. Perché quello che mi ha insegnato il mondo LGBTQI è che essere proud è tanto difficile, ma tanto necessario e altrettanto bello. E quindi tu fai tutto un percorso interiore di una difficoltà disarmante, ti imponi di cambiare modelli di riferimento punti di vista abitudini schemi pregressi, ti sforzi ad accettare volere bene rispettare te stessa, e love yourself first di lì, e #selfcare di là, e vai ai panel sul femminismo sulla violenza sul discorso di genere, e ti confronti, e di nuovo ti metti in discussione, e segui quello che delle donne pazzesche ma pur sempre umane stanno facendo, e i movimenti, le associazioni, i blog, i podcast, i libri, i saggi, i romanzi, i pamphlet, e le artiste mainstream che pure loro ce stanno a provà, e insomma diodiddio ce la stiamo mettendo tutta per fare i conti con le nostre sofferenze e la nostra alterità e sì, è difficile faticoso e incerto, ma ti fa sentire parte, ti dà visioni alternative, ti dà speranza. Mi sto dannando per volermi bene, per creare rete e dare forza alle mie amiche a fare altrettanto, i campi d’azione sono i più disparati, individuali, personalissimi, ma le strutture alla fine sono le medesime e quindi è per questo che è giusto fare un discorso collettivo, unirsi, abbracciarsi, farsi forza, dialogare, confrontarsi. Benone. Allegria.

Peccato che poi arriva la realtà a darti le ciaffate, e in sequenza la notizia che in Alabama è stata varata una legge sull’aborto che lo vieta anche in caso di stupro e incesto e dalla cara Italia il respingimento della mozione per abbassare l’iva degli assorbenti, che continuano a essere tassati come un bene di lusso, con tanto di commenti del coglione di turno in tv che ci dice come dobbiamo comportarci durante il nostro ciclo mestruale.

E allora per me dovete morire male. Perché non ne ho più di sentirmi dire cosa devo fare del mio corpo dai suprematisti bianchi e dai decerebrati che parlano solo per interesse personale ma più che altro perché sono imbecilli. Mi sono scartavetrata tutto lo scartavetrabile e ho deciso che non starò mai più zitta, in nessun contesto. Che vi sbatterò in faccia il mio sangue se necessario. Le mie storie di merda. Le storie di merda di tutte. Perché è la nostra vita e io voglio avere il diritto di avere diritti. Voglio avere il diritto di essere trattata come un essere umano e non come una generatrice di prole per volontà divina, di una rammollita quando ho i dolori lancinanti per le mestruazioni o il giramento di scatole perché sono in preciclo e insomma noi queste cose, ripeto, ce le stiamo raccontando, ci stiamo provando, ma se lo Stato – lo Stato, lo Stato, ve lo voglio ridire ancora, lo Stato non ci aiuta, è una sconfitta che non sono più disposta ad accettare.

B.

Ps. Vi lascio una canzone bella che mi ha caricata e coccolata mentre camminavo incazzata per le vie della mia città pensando a tutto quello che ho scritto sopra.

Un pensiero riguardo “Vuoi star zitta, per favore? No, non più

  1. No, non bisogna starci più, zitte, e alle più giovani va insegnato a non imparare a essere docili e remissive, tanto nessuno ci difenderà se non impariamo a difenderci da sole, porco di quel Giuda assassino (lo stesso giorno in cui tu scrivevi questo post, da quanto sono incazzata ho trasformato un tranquillo incontro di un gruppo di lettura sul Racconto dell’Ancella in un comizio femminista, sorry, not sorry)

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