Breviario sorprendente di fine estate

La Mimì dorme placida sul divano, fa un caldo porco, ha cominciato a tirare vento, è il primo giorno di scuola. Due anni fa avevo scritto questo breviario sull’estate trascorsa. L’anno scorso è stata un’estate cui, ancora, non riesco a trovare una collocazione sentimentale. Questa, invece, è stata l’estate in cui, dopo mesi di buio, sono riuscita, sorprendendomi ogni giorno, a riaffacciarmi alle cose. Segue classico piccolo elenco puntato di quelle che voglio fermare:

  • Happy Home ha subito un make over pazzesco e inaspettato. Se prima era un luogo meraviglioso, adesso è diventato un piccolo regno incantato. I lavori sono ufficialmente finiti e, finalmente, anche i miei genitori hanno capito che è qui, proprio su quest’Eremo, che per ora voglio stare.
  • Ho letto tanto, ho condiviso le mie letture, mi sono riappropriata del piacere di leggere che mi aveva abbandonata da mesi: mi sono ritrovata.
  • Ho trascorso tanto, ma davvero tanto tempo in compagnia di amiche e amici: senza turbinii, senza rincorse. Ho scoperto luoghi nuovi, persone nuove, ho riscoperto la protezione, l’abbandono, la complicità.
  • Ho cucinato un sacco, dato cene sotto le stelle che, quest’anno, ho anche visto cadere. Mi sono sentita circondata d’amore.
  • Continuo ad ascoltare, sempre e inesorabilmente, la stessa musica: nonostante io sia stata ampiamente istruita, brancolo nel buio rispetto ai tormentoni estivi. Sorry.
Ma è incredibile, in cuffia ho gli Zen!
  • Oltre alle tartarughe, a Matilda e a un Mumin, adesso anche Polissena veglia su di me. Tatuarmi è una delle cose che meno mi aspettavo mi appartenessero, e invece più mi rappresentano.
  • Se voglio tornare a capirci qualcosa, devo andare in Pineta, non c’è proprio nulla da fare.
  • Alla fine sono riuscita, di nuovo, ad andare in giro da sola, e non mi sono nemmeno resa conto che stava succedendo.
  • Piteccio mon amour.
  • So TUTTO sugli alpaca, e continuo a riderne e sorriderne.
  • Una vacanza inaspettata mi ha ricordato quanto sia bello andare in vacanza: svegliarsi piano, fare colazione piano, mettersi in costume, trascorrere la giornata a nuotare passeggiare leggere sonnecchiare, fare la doccia, darsi il doposole, andare a cena, andare a letto, ripetere per sette giorni. Continua tutto ad avere dell’incredibile.
  • Se vado lenta è perché ho le radici: mi vengono i brividi solo a scriverlo.
  • Mettere confini per non allontanarsi: brividi bis.

E adesso, davanti, c’è una pagina bianca. Finalmente e completamente bianca. Una classica nuova agenda da iniziare, la pelle abbronzata, le fondamenta riparate su cui ricominciare a costruire. Le macerie lontane. Sarà climaticamente estate fino a fine ottobre, il mondo crolla e squarcia le giornate con valanghe di merda. Ma siamo qui, e l’autunno inizia quando comincia la scuola: e l’autunno è la mia stagione preferita.

B.

No music on weekends @ Serre Torrigiani | 16.07.2020

Tutto stava nel ributtarmi nel mondo on-line con un tempismo che scansatevi (sempre, dalla luce). Grazie all’essere riuscita, dopo numero mesi quattro, a riaprire instagram senza terrore, ieri mattina ho scoperto che ci sarebbe stato il Grande Ritorno delle Presentazioni Live di effequ. A riaprire la stagione, il saggio pop di Gabriele Merlini, No music on weekends | Storia di parte della new wave, uscito a febbraio. Non mi sono promessa niente, non ho fatto squilli di trombe o grandi annunciazioni perché poi sai mai, però, alla fine, ce l’ho fatta. Mi sono traslata a Firenze, da cui mancavo sempre da numero mesi quattro (e un po’), e in qualche modo sono giunta in un luogo incantato, che penso non esistesse fino a tipo poche ore prima, sono fermamente convinta che sia stato creato dalla Fata Smemorina e che già adesso non vi sia più. Nel caso non fosse stato un sogno, il posto era questo.

E dopo aver attraversato un corridoio con le lucine dai cui lati spuntavano genti seminascoste da siepi di piante aromatiche, mi sono ritrovata in mezzo alle fresche frasche e alla verzura, circondata da pomodori e zucchine e dal banchino dei libri. Sarà che:

  • Era tipo la mia terza uscita ufficiale
  • Era la prima volta che rivedevo persone intente a fare una delle cose che più amo al mondo (parlare di libri)
  • Erano tutti BELLISSIMI e leggiadri e sorridenti e in carne ed ossa
  • Di quel libro ne avevo sentito parlare dall’autore una volta a cena lo scorso anno, e vederlo stampato mi ha fatta sentire una vecchia zia coi baffi orgogliosa della creatura
  • Vedere le persone a cui vuoi bene dopo quella che è sembrata una vita intera è una delle botte di felicità più belle che si possano avere

ma ecco, sono state due ore incredibili. Non sono riuscita ad ascoltare con attenzione (too much situation, quando sono arrivata mi è stato offerto di mettermi a sedere come agli anziani sui mezzi pubblici ed è stato magico), eppure mi è sembrato di cogliere in pieno le vibrazioni di benessere che arrivavano dal palco, era proprio una presentazione capite, la presentazione di un libro! Un libro che già da copertina e indice potrebbe finire, e invece per fortuna continua.

Momento prefe

Ieri tornata a casa, ancora inebriata dagli abbracci e dall’essere riuscita a sortire dall’Eremo senza conseguenze, mi sono sparata le prime trenta pagine, e con una banalità imbarazzante mi sento di dire che vi consiglio caldamente di farlo vostro. La mia non-competenza in materia mi fa fermare qui, perché davvero ho già scoperto una valanga di gruppi/parole/luoghi/cose/opere e omissioni che ignoravo del tutto e che mi hanno messo subito in sommossa la testa e, dannazione, che figata. Ed è una scrittura talmente serrata ed evocativa e densa che ha già quasi del mistico, e io sono super esaltata.

Perché, cercando riparo sotto un portico, è bene ribadirlo: una fetta essenziale di storia della musica è topografia di luoghi e analisi di spazi, sequenze di puntini che tra le pieghe delle mappe si uniscono e divergono restituendo informazioni imprescindibili riguardo movimenti giovanili, derive del gusto e rigagnoli di rumore

A fine libro, poi, ci sono sei pagine di discografia scritta fitta fitta, e mi sento già una persona migliore (in realtà mi ci sento per la dedica con disegnino, Zerocalcare attento che il Merlini spakka tutto).

B.

Bolla (provo a uscire dalla)

E invece da qualche parte sono andata. Un pezzettino però è rimasto: ed è a quello che mi sono aggrappata, giorno dopo giorno, anche quando volevo solo, davvero, andare via.

Ha fatto proprio schifo. Non è che le altre volte fosse stato magico, ma questa ecco, ha avuto dei connotati orrendi. Ma sta passando. Finalmente. Non so come spiegarlo, anzi credo proprio di non averne nessuna voglia. Ho soltanto voglia di esserci, di nuovo. Di dire hey, che buffo, ce la si può fare sempre, ad andare avanti. Mi sento come la carne dei polli ruspanti di Mario (quelli che sono rimasti, che gli altri sono stati rubati – ho collezionato aneddoti tipo per sempre): attaccata alle ossa, mica come quella dei polli da allevamento, che si stacca in un attimo. Questa la devi proprio addentare con forza e dovizia, è un pasto che richiede concentrazione massima e un po’ di esperienza. Mi sento così, attaccata alle cose, nonostante tutto: abbarbicata all’esistenza, pure quando mi disgusta. E sto provando a capire cosa succede, anche quando non ne ho voglia, anche quando la testa non collabora, anche quando tutto sembra inutile e insensato.

Vabbè, facciamo basta. Dentro di me ora c’è il silenzio che non trovavo più da un anno a questa parte, e vi assicuro che è una conquista tipo rugbista che arriva alla meta proprio all’ultimo secondo (una massima esperta di rugby, io). È il 15 luglio 2020 e non va tutto bene. Ma so che giorno è, che temperatura percepisco, e Mimì dorme nella cesta accanto a me.

Momento di gioia assoluta: la prima volta che mangio una brioche. La prima volta che mangio fuori. Era il 7 luglio, ed ero a Baratti.

Adesso arriva una notizia brutta: #notmygatto non è più con noi. Lea, il cane da guardia di Mario, ha cenato con Leo, un’infausta notte di inizio giugno. Non riesco ad aggiungere altro, perché mi tremano le mani. Tuttavia, quellameravigliadimiasorella ha intercesso per me, e in un altro giorno parecchio brutto una Gemma mi ha portato una minuscola gattina bianca, con macchie grigio #notmygatto. E così adesso ho una micina dal nome lezioso e di una bellezza che boh, e l’universo si è veramente rovesciato.

Per il momento non mi viene nient’altro di brillante da aggiungere, se non un’informazione bella che come al solito mi imbarazzava tantissimo (non è facile essere me, d’altra parte, ricordate?): da marzo collaboro con la rivista fiorentina Lungarno (per motivi ben noti il numero di marzo è stato pure l’ultimo ad essere stampato e distribuito in città, ma questi sono dettagli). La mia rubrica si chiama Libri e Libellule, e scrivo di libri e dintorni. Se vi va, la rivista si può sfogliare on-line. Scrivere anche solo una volta al mese ha dato un contributo primario al mio restare nel mondo, e quindi ecco, questa cosa mi fa felice.

Come il pensiero di poterci rileggere presto, se vi va. Piccoli impegni, piccoli passi, poca furia, parecchia pazienza. E tanti, ma proprio tanti tantissimi abbracci.

B.

Put your hands up

Adesso superiamo il momento Drama Queen e giochiamo la carta del:

Risultati immagini per do you want applause alessandra mussolini

Scusate, ma bisogna che faccia partire l’auto applauso per Cose con la B, perché nonostante la vergogna regni sempre sovrana, è pur sempre la mia creatura, e mannaggia se sono vostra madre FIGURATEVI SE NON SONO LA MADRE ORGOGLIOSA DEL MIO BLOG!

(Comunque la reference è questa) (ma anche questa) (e pure questa)

  • Grazie a Cose con la B ho scoperto e mi sono ricordata molte cose su me stessa. Ho sofferto di depressione maggiore, e la mia unica vera priorità della vita è che questo non accada più. Ho accettato, invece, che ci sono delle cose di me di cui non devo avere timore: non di quelli belle, tanto meno di quelle brutte. E allora riderci o piangerci su, a seconda della situa, e via andare.
  • Grazie a Cose con la B ho imparato a sistematizzare i miei pensieri: non a scavare più a fondo, ma a spogliarli del superfluo, perché mi voglio far capire e perché ho realizzato che se il mio desiderio più grande era comunicare e condividere le cose belle mi ci dovevo impegnare un po’ di più. E quindi sì, sto applicando alla mia scrittura quello che ho imparato dai libri che leggo e di cui seguo le presentazioni e dai corsi che ho frequentato: ho capito che non voglio scrivere narrativa, perché voglio raccontare le cose senza aspettare il momento giusto, perché lo so io qual è. Però mi piacciono le cose fatte bene, e allora l’editing è tipo una terapia, e boh, che figata.
  • Grazie a Cose con la B ho realizzato poi, effettivamente, il mio più grande sogno, che era comunicare attraverso i social il mio festival letterario preferito. Me la sono fatta sotto molteplici volte, ma insomma ce l’abbiamo fatta.
  • In realtà alla comunicazione di un evento letterario mi ci avevano già messa nel ’15, ma l’ansia mi aveva divorata e mi sono autosabotata in una maniera così profonda che ne le ferite si stanno chiudendo ora. Ma quello è stato un momento decisivo, e lo rivendico con gioia.
  • Durante i giorni del festival ho coordinato una schiera di prodi cavalieri erranti. A questo ci era già arrivato, però, Martino Baldi, il bibliotecario di una delle mie biblioteche preferite che curiosamente si trova nella mia città natale, perché d’altra parte lui si è inventato il festival dello spoiler, e mi aveva proposto di fare Il Ronzio del Festival quando ancora avevo solo voglia di stare in un angolo muta buona ferma. E in realtà a Cose con la B ci sono arrivata grazie a chi fa i libri che non c’erano: mi hanno presa per i capelli, tirato du’ schiaffi e riposizionata in tre due uno dove amo stare, ovvero in mezzo ai libri, anche quando mi faceva una paura fottuta. E in realtà in mezzo ai libri ci sono sempre stata, quindi di cosa stiamo parlando.
  • Grazie a Cose Con la B (e alla mia guida spirituale privata) mi sono ricordata che a lavorare nell’editoria autoprodotta e nella coordinazione di schiere di volenterosi cavalieri erranti mi ci ero già messa da sola nel lontano 2007, quando dopo un’estenuante gavetta durata 4 anni conquistai lo scettro di caporedattrice magna del Caffè, il giornalino scolastico della Conca. Quindi che cazzo di problemi ho nella vita? CHE SONO UNA FAVA LESSA!

In sintesi: mi garbano un monte di cose, faccio un monte di cose, le rivendico TUTTE con orgoglio. E Cose con la B dà voce a tutto, senza distinzione. Perché è successo questo: ci ho provato tante volte ad andare via, ma poi mi sono sempre riaffacciata, e qualcuno ha accelerato i tempi per me: grazie a Cose con la B ho imparato a riacciuffarmi da sola. E quindi la grande lezione è, come sempre: se ce l’ho fatta io, voi andate proprio lisci come l’olio toscano che garba tanto alla mia amica Z.

Ciao, vi amo.

B.

Ps. dedico questo post a tutte le persone che si sono accollate il mio disagio in questi mesi con un amore inusitato. Scusate ma sono una bimba degli anni ’90 e siccome questo è un diario IO FACCIO LE DEDICHE OK? In particolare, questo post è per un’altra B.

Vuoi star zitta, per favore? No, non più

Questo non sarà un post leggero, riflessivo, scritto ammodo, ben strutturato, con link di approfondimento, ma solo un post incazzato nero. E siccome il blog è mio e, almeno questo, me lo gestisco io, voi non ve ne avrete a male. Perché io in questa breve vita vorrei occuparmi solo di cose felici, unicorni, stelle filanti, colazioni sull’erba e washi-tape, e invece no.

E oggi, proprio oggi che è la Giornata Mondiale contro l’omotransfobia, io ho bisogno di dire quanto sono piena. Perché quello che mi ha insegnato il mondo LGBTQI è che essere proud è tanto difficile, ma tanto necessario e altrettanto bello. E quindi tu fai tutto un percorso interiore di una difficoltà disarmante, ti imponi di cambiare modelli di riferimento punti di vista abitudini schemi pregressi, ti sforzi ad accettare volere bene rispettare te stessa, e love yourself first di lì, e #selfcare di là, e vai ai panel sul femminismo sulla violenza sul discorso di genere, e ti confronti, e di nuovo ti metti in discussione, e segui quello che delle donne pazzesche ma pur sempre umane stanno facendo, e i movimenti, le associazioni, i blog, i podcast, i libri, i saggi, i romanzi, i pamphlet, e le artiste mainstream che pure loro ce stanno a provà, e insomma diodiddio ce la stiamo mettendo tutta per fare i conti con le nostre sofferenze e la nostra alterità e sì, è difficile faticoso e incerto, ma ti fa sentire parte, ti dà visioni alternative, ti dà speranza. Mi sto dannando per volermi bene, per creare rete e dare forza alle mie amiche a fare altrettanto, i campi d’azione sono i più disparati, individuali, personalissimi, ma le strutture alla fine sono le medesime e quindi è per questo che è giusto fare un discorso collettivo, unirsi, abbracciarsi, farsi forza, dialogare, confrontarsi. Benone. Allegria.

Peccato che poi arriva la realtà a darti le ciaffate, e in sequenza la notizia che in Alabama è stata varata una legge sull’aborto che lo vieta anche in caso di stupro e incesto e dalla cara Italia il respingimento della mozione per abbassare l’iva degli assorbenti, che continuano a essere tassati come un bene di lusso, con tanto di commenti del coglione di turno in tv che ci dice come dobbiamo comportarci durante il nostro ciclo mestruale.

E allora per me dovete morire male. Perché non ne ho più di sentirmi dire cosa devo fare del mio corpo dai suprematisti bianchi e dai decerebrati che parlano solo per interesse personale ma più che altro perché sono imbecilli. Mi sono scartavetrata tutto lo scartavetrabile e ho deciso che non starò mai più zitta, in nessun contesto. Che vi sbatterò in faccia il mio sangue se necessario. Le mie storie di merda. Le storie di merda di tutte. Perché è la nostra vita e io voglio avere il diritto di avere diritti. Voglio avere il diritto di essere trattata come un essere umano e non come una generatrice di prole per volontà divina, di una rammollita quando ho i dolori lancinanti per le mestruazioni o il giramento di scatole perché sono in preciclo e insomma noi queste cose, ripeto, ce le stiamo raccontando, ci stiamo provando, ma se lo Stato – lo Stato, lo Stato, ve lo voglio ridire ancora, lo Stato non ci aiuta, è una sconfitta che non sono più disposta ad accettare.

B.

Ps. Vi lascio una canzone bella che mi ha caricata e coccolata mentre camminavo incazzata per le vie della mia città pensando a tutto quello che ho scritto sopra.

An evening with Manuel Agnelli – cronachina del live al Tuscany Hall di Firenze

Disclaimer

Se su libri/letteratura/fiere/festival sento di poter aprir bocca (o, in questo caso, battere sulla tastiera) con dovuta cognizione di causa, non posso certo dire lo stesso su musica/musicisti/concerti. Che in realtà è un’altra delle cose che più amo, ma come sui film/cinema non mi sento preparata abbastanza, arrivo sempre un po’ dopo, ho gusti che contaminano la purezza di un’opinione, non ho basi che mi permettano di fare i giusti confronti, non colgo riferimenti, non conosco discografie o filmografie complete, e quindi ci vado sempre piano o addirittura sto proprio nel mio, perché parlare di una cosa che non conosco alla perfezione mi genera ansia e scompensi. Bene, da ora in poi invece sticazzi: ma di che si ragiona, c’è gente inutile che apre le fauci ergendosi a tuttologo laureato all’università di Salcazzo e io non posso raccontare di un concerto che m’è garbato?

I fatti miei

Se c’è una band su cui mi sono davvero sfondata (Verdena esclusi), sono gli Afterhours. Io e la V., durante la nostra tormentata storia d’amore adolescenziale, sui loro album ci siamo spaccate le orecchie e l’anima e ieri, dopo un triplo salto carpiato del destino, ce l’abbiamo finalmente fatta a vedere insieme se non tutti almeno una parte della rock band number one in Italia, ovvero Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo, in questa cosa strana che hanno chiamato An Evening with Manuel Agnelli. Io l’anno scorso mi ero fatta pure l’evento “One night only” al Forum di Assago a chiusura dei festeggiamenti per i trent’anni degli Afterhours, tre ore di godimento allo stato puro (featuring la Z., cuori), ma anche il set intimo di ieri ha generato orgasmi multipli uno via l’altro

Il concerto

Il buon Manuel è in forma smagliante (ma quando non lo è stato?): dà l’idea di essere in un momento di super fermento creativo e di voglia di fare cose (l’apertura di Germi, ricomincia Ossigeno, questo tour). Dopo trent’anni il rischio di spaccarsi i coglioni è molto concreto, e invece lui si presenta al pubblico con un “grazie per essere venuti sulla fiducia a questa cosa che non si sa bene cosa sia”. Ma io tesoro pagherei pure per vederti fare colazione, ma di cosa stiamo parlando! Comunque questa fiducia che il pubblico gli ha donato così a scatola chiusa (…) è stata ripagata abbestia. Mi piace un sacco la formula del concerto a teatro, dove l’artista tra una schitarrata e una tappa al pianoforte ripercorre la sua vita, ti racconta cazzi suoi sapientemente costruiti ma che sembra che vengano detti proprio a te per la prima volta (tipo il racconto del suo viaggio in giro per l’Europa unita ante litteram, non per scoprire ma per trombare, e la relativa presa di coscienza che le canzoni tristi facilitano l’erezione per introdurre un pezzo di Lou Reed), con scenografia un po’ da salotto un po’ da baretto, cover (tra l’altro le cover degli Afterhours secondo me sono proprio una delle loro chicche) e reading che si alternano ai pezzoni da cantare a squarciagola. Si respira un’atmosfera amicale e onirica, il violino di Rodrigo è quasi magia e i continui cambi di potenza nelle canzoni generano pelle d’oca e subbuglio interiore costanti.

Le perle di saggezza

“Ho sempre apprezzato quelli che morivano di tisi a trent’anni, ora mi sa che l’ho presa anch’io”; “adesso va un po’ il sesso emo… l’ho inventato io!”; “molta della musica che mi fa sentire mia figlia mi fa schifo, ma è giusto così, anche a mio padre faceva schifo la musica che gli facevo sentire… ma aveva torto”; “un concerto di Manuel Agnelli non può finire con tutta questa allegria… immotivata”. 

La scaletta

  • Place to be (cover di Nick Drake, piango)
  • Padania
  • Male di miele
  • Come vorrei
  • Pelle
  • Ti cambia il sapore
  • The bed (cover di Lou Reed)
  • Bianca
  • Reading da Una solitudine troppo rumorosa  di Bohumil Hrabal
  • Shadowplay (cover dei Joy Division)
  • State trooper (cover di Bruce Springsteen)
  • Dove si va da qui
  • Video games (cover Lana Del Rey – momenti altissimi)
  • Né pani né pesci
  • Adesso è facile
  • È solo febbre
  • Perfect day (Lou Reed cover)
  • Reading da un racconto di Vasco Pratolini (che avevo riconosciuto e mi sono esaltata tantissimo)
  • Ballata per la mia piccola iena
  • Ci sono molti modi
  • Non è per sempre
  • Quello che non c’è

Note a margine

  • Il merchandising è decisamente inquietante.
  • Durante il pre-concerto mi innamoro sempre una cinquantina di volte, uomini barbuti che rispondo al mio ideale di maschio e donne che vorrei essere. Poi puntualmente mi ritrovo accanto alla gente più rompicoglioni e devo fare training autogeno per non coprirli di insulti. Cuori.

B.

 

Un trip chiamato Franco Maria Ricci

Allora, questo post fa parte della rubrica #scusatemavelodovevodire: scusate, ma sento proprio il dovere morale di lasciare testimonianza dell’esperienza assurda che ho fatto ieri, insieme al Genitore Uomo, alla manifestazione il Filo di Arianna, una mostra/mercato di libri di pregio, nel Labirinto di Franco Maria Ricci.

Quello che sapevo è che avrei trovato la mia amica Marina di book-à-porter, la creatrice dei meravigliosi portalibri di cui sono ultrafan. La parte in cui riabbraccio Marina e faccio scorta delle sue creazioni è stata un pieno di bellezza, entusiasmo e sorrisi, come sempre:

Quello che però vi voglio raccontare è il trip infinito che mi ha provocato la scoperta del mondo di Franco Maria Ricci. Io (che sono stronza) non conoscevo cotal personaggio, il mi’ babbo (che non lo è) ovviamente sì, ma insomma nessuno dei due si aspettava di vivere un’esperienza del genere. Mi sono innamorata, voglio essere allo stesso tempo lui, la sua amante, la sua musa, o l’amante del suo giardiniere, fa lo stesso. Il signor Franco Maria mi nasce aristocratico, prosegue come grafico pubblicitario visionario, poi mi diventa editore e collezionista: io a intuito direi che è un mecenate egotico, folle e straordinario, mondi che noi plebei non riusciamo nemmeno a immaginare ma porca miseria il Ricci ci apre le porte (per 18 euro) e ci fa accogliere da giovani donne bellissime e giovani uomini bellissimi e io sono decollata.

“Ho sognato di essere un Giardino, un Museo, una Biblioteca, una Casa editrice, una Sala delle Feste e dei Balli, a Piazza di un Borgo con la sua Chiesa, un grande Dedalo botanico. Dal loro insieme è nato il luogo che io chiamo IL LABIRINTO”

E vi giuro vi giuro è tutto vero: ha fatto quello che fanno gli americani con il niente, lo rendono fruibile con parcheggi comodi, attrazioni stupide e punti ristoro soddisfacenti, ma qui c’è anche dell’attenzione estetica spinta e una sincera ricerca della qualità e della bellezza – con un retroterra da intellettuale raffinato e ricco che insomma aiuta.

Prima io e Padre abbiamo fatto il labirinto in bambù, perché lo dovevo alle mie amiche C. e C., a Jack e alla letteratura inglese medievale. Ci siamo aggregati a due adorabili bambine di 10 anni che se la vivevano abbestia e che ci hanno condotto sani e salvi fino alla Corte Centrale (sì, è un’esperienza da fare). Sotto le logge c’erano gli espositori del Filo di Arianna; al centro, su un curatissimo pratino, delle eleganti sedie in vimini con eleganti persone che si intrattenevano in amabili conversazioni. Infine, si stagliava alta nel cielo blu una piramide. Perché è evidente che se non hai una piramide non sei nessuno.

Ci siamo fatti con lentezza estrema tutti gli stand degli espositori, alternativamente sbavando o guardandoci con fare contrariato, scambiandoci occhiate saccenti, commentando qualsiasi volume, dal manuale di botanica dell’800 a una delle prime edizioni degli Ossi di Seppia di Montale. Il mondo del libro antiquario è uno di quegli universi sommersi per cui forse non sarò mai pronta.

A un certo punto è spuntato Vittorio Sgarbi (che è un bestie del signor Franco Maria).

Ma quello che mi ha definitivamente portata nell’iperspazio sono state la Collezione permanente – dove il signor Franco Maria ha raccolto le opere che ha accumulato serialmente negli anni (e che includono quadri settecenteschi con soggetti buffi, statue a perdita d’occhio, ballerine art-decò e dipinti di Ligabue), e la mostra temporanea sui libri d’artista di Corrado Mingardi donati alla Fondazione Cariparma. Sbalorditivo. Troppa, troppa bellezza.

C’è anche tutta una sezione dove puoi consultare i libri editi dalla Franco Maria Ricci Editore, che sono delle robe allucinanti, bellebelleinmodoassurdo. Così tanti soldi che il signor Franco Maria pubblica davvero il cazzo che gli pare, con livelli altissimi di qualità, nomi altisonanti, storie amene, esotiche, monografie improbabili, collane prestigiose, arte e grafica da orgasmi multipli.

Infine, un trip nel trip: un’intera sala dove erano esposte le tavole del Codex Seraphinianus, “enciclopedia di un mondo parallelo”, illustrazioni di un mondo surreale, incredibile, assurdamente geniale, e didascalie scritte con caratteri anch’essi inesistenti. Grazie a tutti.

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Ecco, scusate ma era proprio necessario che queste scoperte sbalorditive non andassero perdute. Io come gita fuori porta domenicale ve la consiglio proprio.

B.

 

 

 

 

 

 

Disagi editoriali per niente minori: i cataloghi on-line

Ciao sono la Bea e ogni tanto ho bisogno di esternare le difficoltà intrinseche dell’essere me che ostruirebbero altrimenti il fluire pacifico del resto del mio disagio.

Ho cominciato a fine anno e ho finito l’altro giorno una piccola opera tanto titanica quanto inutile, uno dei miei cosiddetti progetti assurdi che costituiscono la base della mia esistenza: un elenco dei libri usciti nel 2018 che ritengo degni di interesse (includendo pure quelli già letti durante l’anno), di TUTTE le case editrici principali (gruppi editoriali e indipendenti), per un totale di 47 case editrici e 351 libri. Ci tengo a sottolineare il fatto che si tratta di un’opera di selezione, 351 libri non sono niente rispetto al Grande Cerchio Della Vita di un’annualità editoriale ma sì bimbi, sono comunque una sfracassata. Ma io sono felice così.

Il disagio che però volevo esporre è un altro: cosa ho fatto nel concreto per selezionare questi romanzi? Li ho dovuti cercare. E dove, di grazia? Ma sull’internet ovviamente! Ed è stato semplice, agile e simpatico? Chiaramente no. Perché i siti di gran parte delle case editrici sono un mare magnum di casino. Ebbene sì. Magari sono carinissimi, hanno un sacco di altri contenuti interessanti, però, dannazione, spesso la cosa più difficile era proprio rintracciare la data di uscita, che costituiva il primo criterio dirimente della mia ricerca. Ma porca miseria. Una cosa mi devi dire, una, quando cazzo hai fatto uscire il libro. E invece no. Ci credete che per due o tre case editrici ho dovuto cercare le nuove uscite scorrendo la loro pagina Facebook per tutto il 2018? Che io sono pazza e lo faccio, però insomma, due palle. Il concetto di catalogo, questo sconosciuto. Un’altra cosa semplice che mi avrebbe agevolato la selezione sarebbe stata la rassegna stampa dei libri in questione, che nel senso, dico io, la devi fare a prescindere, e già che ci sei mettila sul sito!

Trovare così tanta disomogeneità tra un sito e l’altro è stato frustrante, perché da qualche parte avevi una gioia, e dall’altra manco per manco. Pochissime le case editrici, e la cosa mi ha davvero stupito, che avevano tutte le informazioni che cercavo. E mi sfavo perché siccome è un mondo che conosco, mi sembra fuori di testa che vi sia così poca cura nel dettaglio fondamentale che ti dovrebbe interessare, ovvero far conoscere i tuoi libri per venderli.

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Immagine di SARAH MAZZETTI tratta da newyorker.com

Allora visto che ormai mi sono fatta una cultura su ‘sta cosa, vi faccio un semplice elenco puntato che renderebbe il vostro catalogo on-line un posto migliore. Intanto voglio un menù dove posso filtrare i criteri di ricerca e voglio un elenco che rispetti la mia ricerca, e poi poter accedere alla pagina di ciascun libro in modo immediato, pagina che avrà una meravigliosa scheda che contenga:

  • Trama breve e tre righe sul perché devo leggere ‘sto libro pena moriremale.
  • Autore (con link a scheda dell’autore in cui mi indichi pure tutti i suoi titoli che tu hai pubblicato)
  • Titolo (anche titolo originale se straniero)
  • Paese
  • Lingua
  • Traduzione di se tradotto.
  • ANNO DI PUBBLICAZIONE (se ci metti pure il mese ti amo di più, e se è una nuova edizione di un libro che hai già pubblicato del ’75 me lo devi dire porca miseria)
  • Numero di pagine
  • Codice ISBN
  • Collana (con link in cui mi spieghi la collana che sennò non me ne faccio di nulla)
  • Formato
  • Prezzo di copertina
  • Rassegna stampa, ovviamente sia cartacea che on-line.

Vi voglio bene, ma dateci e datevi una mano. Oh.

B.

Bada chie!

Nella quotidiana lotta tra gioie e disagio, priorità relative e slanci vitali, soggiornava da tempo la volontà di ritornare a tediare la rete con “qualcosa”. Ma cosa? Dopo i mesi di tempesta ho cominciato a rassicurare i miei fan (grasse risate) sull’imminente riapertura in pompa magna del blog. Tranquilli bimbi, ora torno, è tutto in testa, adesso mi ci metto. Il fatto che poi non mi ci mettessi davvero mi ha suggerito che, forse, il tempo di The Buzzing Page fosse finito. Il mio autismo non mi fa accettare l’abbandono a cui è stato condannato, e riprendere dopo praticamente due anni mi sembra un po’ una cosa inutile. A The Buzzing Page vorrò sempre un bene dell’anima, è stato un vortice, mi si sono aperti dei mondi meravigliosi, ho conosciuto genti, visto cose, mi sarebbe piaciuto rispettare tutti i miei piani mentali, ma ci sono andata anche un po’ sotto non riuscendo a sostenere i ritmi che si erano creati, ed è un errore che non voglio più ripetere, in generale nella vita proprio: quello che fai non ti deve superare, deve stare di fianco a te e lasciarti respirare quando necessario. Calma. Tutto con molta calma.

E poi ho capito che non voglio parlare solo di libri; che avevo bisogno di uno spazio che potesse contenere, più in generale, tutta la roba che mi rimbalza per la testa, con l’unico filo conduttore di usare l’internet per le cose belle, per condividerle, fargli prendere aria e non lasciarle come sempre ammuffire nel mio cervello.

E così ricomincio, perché è settembre e a settembre tutto è possibile, perché ho una voglio matta di novità, perché le camminate nei boschi hanno finalmente portato consiglio, perché ho una sorella figa che ha aperto un bookstagram tutto suo (@girodilibri, seguitela orasubitoadesso) e mi ha dato una carica che la metà basta, perché ho capito che l’unica cosa che mi riesce fare davvero è essere la Bea. E tenere traccia delle cose (sì, cose, cose è la parola chiave, cose racchiude tutto, cose è versatile e sticazzi), archiviare, essere la memoria storica dei miei amici, fare progetti autistici e incasinarmi la vita da sola.

Quindi sì, ci saranno svariati post lunghi di cose a caso che penso/faccio/vedo/mangio con accluse diapositive poco professionali o sgraffignate in qua e in là, i Bassotts, recensioni di libri (che se li chiamiamo Books sono perfettamente inclusi tra le cose con la B) decisamente arbitrarie ma molto appassionate, e tutte le varie ed eventuali del caso.

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Pian piano mi dedicherò anche a una costruzione migliore di questo sito, ma tanto sarà sempre uno work in progress, e va bene così, mi basta un posto pseudo-carino dove buttare dentro cose intanto, poi si vedrà.

Mi sembra tutto per ora. Sono contenta matta. Sono pronta, di nuovo.

B.