Una sarabanda di libri a caso #4

Il caso che lega questa sarabanda di libri è quello di una storia che V. mi ha proposto di leggere a ottobre, convinta che mi sarebbe garbata abbestia. Poi il libro è rimasto lì – come mi aspettavo sarebbe successo. Nel frattempo è accaduto di tutto, anche che la storia di Bonfiglio Liborio finisse in dozzina allo Strega. Sabato scorso, poi, in un luogo incantato, ho iniziato a leggerlo e… sbadabam!, mi ha conquistata. Durante la lettura mi sono venute in mente altre storie, che hanno formato un quintetto che mi somiglia tantissimo. Eccole qui.

  • Luciano Bianciardi, La vita agra, Rizzoli Editore 1962 (mia edizione Tascabili Bompiani, 2007): la scoperta di Bianciardi, con Il lavoro culturale, prima, e con La vita agra, poi, mi ha rimessa a posto con me stessa, e allo stesso tempo scombussolato la testa e ovviamente il cuore. Nel leggere questo romanzo del boom economico, il racconto di un disagio che più disagio non c’è, la metropoli che illude, il frastuono, la vita operaia, il disincanto completo, la rassegnazione e insieme il torrente di parole con cui ci si scaglia contro ogni minuscolo sopruso della modernità, ecco, io mi son sentita vuota e pienissima insieme, e questa cos’è se non letteratura?
  • Cesare Pavese, La bella estate, Einaudi 1949 (mia edizione 1971): ho letto questo romanzo breve alla fine dell’estate del 2017. Mi ricordo ancora l’afflato che provavo ogni volta che giravo le pagine, il disorientamento, l’avidità di interiorizzare la Bellezza. Gina e Amelia, Guido e Rodrigues: una storia che sembra nascere, davvero, sotto i tuoi occhi, perché Pavese riesce a trasportarti e coinvolgerti in modo raro, naturale, perfetto. Arrivi alla fine in un attimo, e hai solo voglia di ricominciare da capo.
  • Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, minimum fax 2019: cosa si può dire di questo piccolo miracolo letterario? Sì, la tocco piano, perché finalmente ho letto qualcosa di diverso ma non rinvoltato su stesso, bensì con la forza di proiettarsi verso il lettore, senza compiacerlo ma nemmeno senza stordirlo. Un libro/linguaggio, l’epopea di un miserabile che riesce a racchiudere la Storia, ti affezioni a Liborio Bonfiglio, parli come lui, ridi insieme a lui, e poi alla fine magari piangi (io copiose lacrime). Bello bellissimo: leggetelo, please.
Potete leggerlo anche senza spararvi le pose
  • Ignazio Silone, Fontamara, Mondadori 1949 (mia edizione 1998): Fontamara è il mio romanzo-archetipo della letteratura del disagio. Ci sono rimasta sotto, mi ha segnata, cambiata, fatta sentire strana (lettura di classe in IV ginnasio, sarò stata l’unica a cui sinceramente piaceva), me l’ha svoltata, insomma è uno dei miei romanzi prefe. L’ho riletto da sola, citato non so quante volte, Berardo Viola c’est moi. Il cafone primigenio, i soprusi, le ingiustizie, nulla cambia ma la speranza non muore, si lotta, si casca, si pigliano li stiaffi, ma ci si rialza sempre. Non mi toccate Fontamara per nessun motivo, cuori.
  • I dimezzati | Storie vere di uomini e donne a metà, CTRL edizioni 2020: si tratta del secondo volume della Trilogia normalissima. Il primo è Gli ultrauomini, comprato a novembre e letto, rintanata sulla soglia di casa, durante il lockdown. Dei Dimezzati ho parlato su Lungarno (qui) e poi me lo sono regalata, amandolo tantissimo. Le fotografie che ritraggono i pazienti dell’ospedale psichiatrico San Niccolò di Siena ti perforano l’anima. Le parole di chi narra sembrano scritte dopo, e invece c’erano già prima. Racconti prefe, La montagna disincantata, Le estranee, Chiamate anonime e Profumo in un’altra lingua.

Buone letture, buone ferie d’agosto,

B.

Bollettino sulle voci inside my head #16

Giochiamo al mio gioco preferito? Sì, il let’s pretendDivertiti anche tu a fare finta che sia Motivational Monday, che Firenze RiVista sia appena finito (again and again and again) e soprattutto che sia “ottobre col suo cappotto nero e piove”. Facciamo finta poi che l’elenco puntato non sia un subdolo espediente che mi consente di inondarvi di informazioni vitali con molta nonchalance, ma un precisa scelta di storytelling.

  • Non ho ancora fatto il punto di fine anno. Capite che per la mia sanità mentale questa cosa è GRAVISSIMA? Non ho messo via la scatola dell’anno scolastico 2018/2019, perché in realtà non è ancora finito. E quindi io vi chiedo, posso spostare il mio calendario avanti di due mesi? Posso fare che l’inizio dell’anno 2019/2020 sia novembre? Sono molto, molto turbata.
  • Lo sconvolgimento climatico mi sta devastando. Vorrei solo poter mandare un messaggino a Greta e dirle amica, aiutami tu. Consolami. Dimmi che va tutto bene. Perché io non ce la fo.
  • Il momento storico mi impone di dover ostentare adulthood come se non ci fosse un domani: adesso il mondo pensa che io sia in grado di gestire situazioni d’emergenza, alte cariche dello Stato (…), discorsi in pubblico, eventi sociali, informazioni vitali, quando vorrei soltanto scappare in un angolo e mettermi a piangere – che poi in realtà è quello che faccio davvero, MA QUESTI SONO DETTAGLI TRASCURABILI, OK?
  • Il super poter di auto mandarsi affanculo è una delle skills migliori di sempre.
  • Pensavo che sarebbe stato l’anno della B, e invece è stato quello della C: Consapevolezza, Cambiamento, Contatto, Culo. E adesso, appena finisco la stagione del dolore, torneranno le valanghe di Cazzi miei.
  • Voi lo sapete che il mio unico desiderio in questo momento è andare in letargo, nevvero? Che appena finisco gli impegni pubblici io mi chiudo in casa a leggere e scrivere e non ne esco fino al disgelo (che a ‘sto punto mi aspetto giunga a giugno)?
  • Sto abbandonando Facebook perché inside of me ho 16 anni, e i sedicenni di oggi Facebook non sanno manco cosa sia.
  • Ma sono anche un’anziana incallita e più che altro mi pesa il pollice opponibile: alle cose ci arrivo sempre un po’ dopo, ma quando ci arrivo la meraviglia che mi creano proprio scansateve (dalla luce af) (magari se lo leggessi, eh B.?)
  • La verità è che non leggo un libro intero da luglio. Mi sento vicinissima a Elena, che sta raccontando questo disagio nelle sue stories. #andràmeglio, come insegna la Regina della Papuasia, but still quando non leggo a me manca il respiro.
  • Mi sono resa conto che ho fatto ottanta traslochi in tre mesi. Forse ho solo bisogno di stare un attimo fermina. Che viaggiare mi garba abbestia, il nomadismo spinto anche, ma never forget che sono pure una bestiola stanziale che ha trovato il suo meraviglioso centro a Happy Home, ed è lì che voglio stare.
  • A proposito di Happy Home, anche se ora è un po’ nel disagio, rimane pur sempre uno dei place to be della vita e quindi mi aspetto di essere INVASA. Perché mi sono rotta di stare da sola, e finché #notmygatto non si trasforma in un principe in carne ed ossa mi dovete venire a fare compagnia – non sempre, con calma, but still. Che io da voi ci vengo sempre, mo’ alzate un po’ quel culo e giungete sull’Eremo, oh! Che vi faccio le torte! I biscotti! I risotti! Accarezziamo i gatti! Guardiamo la Conca dall’alto con arroganza! STIAMO ZITTI!!!

Ciao a presto tante care cose

B.

Per essere felici (questo settembre) ci vuole coraggio

Oggi qui in Toscana ricomincia la scuola, e allora mi sembra un ottimo pretesto per un Motivational Monday – anche perché, bimbi miei, ce n’è di molto bisogno: Lunedì è il giorno delle streghe e lo sarà sempre, ma qui la paura si guarda in faccia e ci si ride su.

Sono giorni strani, sono giorni complessi, sono giorni faticosi. Della serie che a volte vorrei solo stare sotto le coperte a piangere per la nonna, e un secondo dopo mi si apre un sorriso enorme e mi sale il momento Forrest Gump in cui vorrei solo camminare fino a quando non sono un po’ stanchina.

Sento settembre, settembre sono io, è il mio mese, da sempre, proprio perché era il mese in cui ricominciava la scuola, e a me andare a scuola piaceva tantissimo, anche quando non mi piaceva per niente. La scuola è sempre stato l’emblema di molte delle cose che sono, un misto di nerdaggine, curiosità, voglia di conoscere, e ansia da prestazione, terrore di deludere le aspettative altrui, disagio sociale, isolamento, ma insieme voglia di condivisione, passione, allegria. Non lo so, non lo so, vorrei avere tempo di pensarci ancora tanto, a queste cose, ma mi sto ritagliando giusto cinque minuti per fermarle, che mi devo rimettere subito al lavoro, perché per la prima volta da quando mi sono laureata alla magistrale è arrivato settembre e io ho qualcosa di concreto e bello da fare, non mi devo inventare niente, era già tutto pronto, ed è qualcosa che mi piace tantissimo, e mi sembra una conquista così enorme che no, non riesco a smettere di sorridere, perché avere da fare è bello, avere un obiettivo, credere in qualcosa di superiore, anche se non ho tempo per fare i lavoretti in casa, o per stare sdraiata sul pavimento ad ascoltare sempre le stesse canzoni, per sistemare tutte le cosine che ho accumulato durante il viaggio, per scrivere, di questo viaggio, per mettere a posto i vestiti, per smaltire la pila di libri che ho accumulato negli ultimi mesi (perché finalmente ho accettato il fatto che io in estate non leggo, fine), per fare liste di cosa c’è dopo.

Ma intanto ho rimesso le fodere al divano e da lì tutto in discesa, ho finito di postare le foto su instagram e vi dico, gioia tripudio e gaudio, trascorro notti meravigliose con #Notmygatto – che rende molto difficile la vita del mio futuro fidanzato, continuando ad alzare l’asticella del benessere che mi infonde, ho chiuso il disagio in camera da letto e posso fingere che Happy Home sia perfetta, ho trascorso una notte nel giardino di una biblioteca di provincia ascoltando racconti seduta su teli da mare di alto livello, ho visto l’ennesimo catartico, esplosivo concerto della Rappresentante di Lista, che poi è degenerato in un dj-set con cd della peggio musica fine Novanta anni Zero, che se mi avessero detto che un giorno sarei stata felicissima di ascoltare, ma proprio contenta matta, piuttosto mi sarei tirata giù dal Monte Serra, ho presieduto la Festa di Croci perché quando c’è la sagra, si sta alla sagra.

Dormo poco, ma bene. E siccome non vogliamo farci male, ce la sto mettendo tutta per abbrutirmi, sì, ma fino a un certo punto – perché tanto lo so, io se non mi abbrutisco non do il meglio, ma se mi abbrutisco troppo mi butto di sotto (sempre per la felice serie It’s not easy to be B.). Credo che l’unico problema reale sia che continuo da due mesi ad ascoltare Visiera a becco di Sfera ebbasta tipo in un loop infinito, vi prego aiutatemi, non riesco a smettere. Ah sì, non sono ancora riuscita a finire Orange is the new Black, dannazione. Ma anche se continua a fare caldo ho ricominciato a mangiare di gusto e, appunti per me stessa: scriverne in maniera approfondita. Ho voglia di fare dolci, di rimettere a posto casa, di rinnovare le cosine, di mettere via, fare spazio, perché è settembre, e quando a settembre non ho provato queste sensazioni poi è stata merda, la merda vera, di nuovo. Me lo sono ricordata ieri, anzi me lo ha ricordato Facebook riproponendomi un video che avevo realizzato per GoodBook.it in quanto The Buzzing Page. È stato stranissimo rivedermi. Non facile. Ma importante.

E allora adesso che ho quasi sconfitto la tisi (sono stata giorni sotto cortisone, quando siete malati fateci caso), una delle settimane più lunghe della mia vita è stata archiviata (un tutto a troie continuo), ho scoperto che l’okra mi piace da matti, che mi arrivano notizie di merda da ogni fronte, ma io continuo ad aver voglia di riappropriazione, voglia di stare fuori, voglia di camminare, di scoprire, ma pure voglia di stare dentro, di leggere, di colorare, di guardare compiaciuta i miei libri. Adesso che è un giro di schiaffi – e che la vita continua appunto a prendermi a ciaffate, è sempre più chiaro che non c’è altro da fare, senza bestemmiare zitto e non fiatare, perché non provavo questa sensazione di appartenenza e adesione a me stessa da anni, con in più il sollievo dell’essere finalmente consapevole dei miei limiti e non voler fare la super eroina a tutti i costi – che è faticoso eh, a combattere contro se stessi si dura una fatica che signoramia, ma mi metto le cuffie, ne ho comprate di nuove ed enormi, e via andare, basta autosabotarsi, guardare il cielo e sentirsi meglio, mi sono anche rimessa in pari con quello che è successo ad agosto grazie a PropagandaLive, che cosa voglio di più. Non penso, trattengo il respiro, studio l’apnea, penso alle cose belle, perché pensare a quelle brutte no bimbi, non ce la posso più fare.

E allora viva il Back to school, viva quell’ansiella da compiti da finire, viva la gioia di ricominciare, voler dormire ancora cinque minuti, preparare lo zaino, sentire l’emozione di un nuovo quaderno, credere che tutto potrà cambiare. Io ci credo davvero, mi sono resa conto di questo, e non ne provo vergogna.

Chissà cosa quante cose saranno cambiate quando arriverò a questa pagina del diario.

Lo scrivo ancora Maggica, puoi continuare a prendermi in giro <3.

B.

Buon compleanno Blog!

Boh, avevo pensato al momento della stesura di questo post come una di quelle situa catartiche e piene di vibrazioni ed energie positive, tipo me immersa nella luce del mattino di Happy Home con musica emotivamente azzeccata, vestita di lino bianco, con una tazza di tisana alle erbe e il profumo di una torta nel forno, per prendere tutte le sensazioni che volevo comunicare per l’agognato, sudato, impensato traguardo del raggiungimento di un anno di Cose con la B, e invece no.

  • Sono ancora sotto l’odiata luce al neon dell’ufficio
  • Ho finito di lavorare da cinque minuti (finito, ora, mi sembra uno statement così aggressivo)
  • Sono sommersa da arretrati della qualsiasi perché non solo mi sono eclissata per tre settimane, ma anche ho avuto tipo il rientro più difficile della vita, giacché la mia nonna, The Only and The Real Queen ha deciso bene di rimanere in vacanza per sempre.
  • Mi sono persa cose da nulla come il matrimonio di una delle Mie Persone
  • Ho fatto la Funeral Planner (Taffo mi aspetta, già lo so)
  • Ho avuto una proposta di lavoro come lettrice ufficiale del Vangelo (giuro)
  • Ho rischiato di farmi saltare la vena per l’overdose di famiglia
  • Ho vanificato i miei sforzi di lasciare casina in condizioni perfette gettando letteralmente roba ovunque (ho quattro zaini sparsi in giro, fermatemi)
  • Il tema del mese sembra essere #allegria che proprio Mike ha solo da imparare
  • Ricevo notizie esilaranti ma anche sconvolgenti e allo stesso tempo non so minimamente cosa stia succedendo intorno a me (crisi di governo who?)
  • Non leggo un libro da luglio
  • Ho dei peli che Tarzan potrebbe usare come liane,
  • Continuo a non capire che cazzo di taglia c’ho e oggi ho dei pantaloncini che un mese fa erano fantastici e oggi bimbi sembro Fantozzi (ma la mia sis mi ha spiegato la vita su ciò grazie Barbi)
  • Continuo a tossire come una tisica senza motivo
  • Mi sono resa conto di aver già perso tutta l’abbrozzantura balcanica.
  • Vorrei solo essere in Albania

Però. Però mi prenderete per pazza, e beh, grazie mille, è ciò che sono!, ma sono felice.

  • Sono circondata, subissata, infarcita d’amore.
  • Ho ritrovato le energie che a luglio se ne vanno sempre, ma solo per un attimo.
  • Ho una voglia matta di riprendere in mano le cose, che ci sono tutte, sono tutte al loro posto.

Quindi sì, non è andato come immaginavo questo compleanno, volevo fare discorsi molto più sensati e carini, ma hey, va bene così. Ci sono: è questo quello che conta. Mi tengo stretta, non vado da nessuna parte. E questa è la mia casa. Oggi compie un anno, e io le voglio augurare solo di continuare a non avere paura, anche se ha una paura fottuta.

E, dannation, voglio dire grazie. Grazie a voi che mi leggete. Un grazie che vi arrivi dritto in ogni microparticella dei vostri corpi. Buon compleanno Cose con la B, buon anno a voi. Dai che la sfanghiamo pure a questo giro!

B.

Ps. Vi invito a iniziare a ridere, che vi devo raccontare cose sul mio viaggio che allacciatevi le cinture, perché si vola.

La mia più bella cosa mai successa

Avevo accennato durante i mesi passati al fatto che il Bullet Journal mi stesse aiutando con un progetto, e che se casomai fosse andato in porto ne avrei parlato. Ebbene:

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Posso dirlo? Posso dirlo. Ho smesso di fumareE come è potuto succedere, cara B., che sei una tabagista di merda che fumava un pacchetto di Lucky Strike al giorno e che non aveva mai – mai – mai desiderato smettere e che avrebbe voluto dare affettuose testate contro il muro a chiunque mi intimasse di farlo?

È successo a caso, come la maggior parte delle cose. Un giorno avevo la nausea e il mal di pancia e mi accendevo le cicche e le spengevo, una via l’altra. Così, tanto per, mi ero fatta du’ calcoli su quanto avrei potuto risparmiare se non fossi stata una tabagista di merda. Poi ho pensato al viaggio che volevo fare in estate, e a molte altre cose, le ho scritte, ne ho parlato con chi di dovere, e mi sembravano sensate. E allora ho detto dai. Così con un riserbo e un’incredulità e una non contentezza e un senso di sconfitta e irrealtà e una sensazione di resa e di nostalgia e tristezza e fine di un mondo ho proprio consapevolmente fumato l’ultima sigaretta. Ed è stato come quando le genti si lasciano perché si amano troppo, ma sanno che è davvero giusto farlo. Perché tra me e i cicchini c’era (c’è) una storia d’amore vera. Sì, son di fòri come i tegoli, lo sapete via. Però è proprio questo, bisogna che io sia onesta. Nessuno riuscirà a farmi credere che fumare non sia una cosa meravigliosa: perché i cicchini sono parte di quello che sono, ma forse era giunto il momento di essere proprio qualcos’altro, di cavalcare l’onda della Consapevolezza e provare a farcela. E avevo bisogno di una motivazione che davvero per me fosse dotata di senso – e il cash mi sembrava l’unica cosa che ce lo avesse. Mi sono scaricata una app che si è rivelata la svolta. Ho aspettato tre giorni, ho visto che continuavo a, e allora ho investito tipo 4 euro per la versione pro, con tutti i traguardini da sbloccare di volta in volta. Una specie di videogioco. Io faccio le garette con me stessa, e avere sotto gli occhi traguardi tangibili mi ha dato una carica diocrishto!, che proprio scansatevi.

Poi è successo che a un certo punto non avevo più la casa che sapeva di fumo, la macchina che sapeva di fumo, i vestiti, i capelli, l’armadietto della palestra, la bocca. Ho sofferto fisicamente. Ho sentito il raschino alla gola per molti più giorni di quelli che mi ero immaginata.  Banalmente, ho dovuto imparare ad affrontare la vita senza sigarette. Le genti. Le situa. La merda. La gioia. Il disagio. Le attese. Il nervoso. La pace. La contemplazione. L’euforia. Le sbronze. Il post orgasmo. Il caffè della mattina. I concerti. Le uscite dai posti. La digestione. L’ansiella. Le code in macchina. Le conversazioni di ore. I momenti di vuoto. I momenti di panico. I successi. Mi sembra tutt’ora così sorprendente che forse non ci voglio pensare davvero, però sono passati i 180 giorni che mi ero data per dichiararlo, e mi sembra giusto festeggiarmi ecco.

E quindi dico solo un grazie a:

  • QuitNow
  • I kinder cioccolato
  • Il gatto del vicino
  • Le mie persone che non mi hanno mollata per un attimo
  • Le persone a cui ho mandato vocali inutili ogni volta che all’inizio avevo voglia di accendermi un cicchino
  • Le persone che non mi hanno rotto il cazzo
  • I fumatori che non mi hanno fatto sentire sbagliata
  • Gli ex fumatori che non mi hanno fatto credere che un giorno avrei smesso di avere voglia
  • Chi mi ha accolta nelle sue pause cicchino anche senza cicchino
  • La palestra che ha dato un senso ai miei polmoni ritrovati
  • Chi mi fa sorridere tantissimo permettendomi di mostrare i miei denti non più macchiati
  • Il mio salvadanaio effettivamente pieno dei soldi con cui andrò in vacanza
  • La mia forza di volontà che mi permette di non fare manco un tiro, perché so che altrimenti ripartirei a fumare come una Bea
  • Il self love che mi permetterà di perdonarmi e ricominciare se quel tiro lo dovessi fare.
  • La mia pelle, che è PAZZESKA

Questo non è solo un Motivational Monday (se ce l’ho fatta io a fa ‘sta cosa voi bimbi davvero potete fare TUTTO, ANDATE E REALIZZATE I VOSTRI SOGNI CAZZO), ma pure un gigantesco #scusatemavelodovevodire. Perché è tipo la cosa più assurda che io abbia mai fatto nella vita. E non sono per niente contenta, ma sono contentissima.

B.

Bollettino sulle voci inside my head #15 – Speciale Estate

L’unica cosa seria che ti dovrebbero dire quando fai la maturità nessuno te la dice mai, quindi vorrei pensarci io. Dall’anno prossimo mi posizionerò fuori dalle scuole, e man mano che i bimbi finiscono gli orali consegnerò loro dei volantini con scritto:

STAI PER VIVERE L’ULTIMA ESTATE DECENTE DELLA TUA VITA: GODITELA SENZA SEGHE.

Questa è la Verità Suprema, e magari avrebbe aiutato saperlo (così evitavo di stare in depre pure quell’estate lì, porcodklajdajajo). Quindi sì, il mio statement è che di base l’Estate fa schifo. Purtroppo tutto ha origine con una menzogna, quella appunto che ti porta per diciannove anni a credere che l’Estate sia la stagione più bella. Anch’io da piccola l’amavo (grazie tante, me ne stavo due mesi al mare e uno in montagna, avevo anche ad avere da ridire!), ed è proprio in estate che ho imparato a fare tutto quello che mi riesce meglio (vedi alla voce ozio produttivo). Poi chiaramente la vita ti piglia a schiaffi e scopri che ti hanno ingannato:

  • Fa un caldo porco. In città si schianta. In qualsiasi luogo, si schianta.
  • Quindi si sta male. Si patisce. Viene la nausea, si sviene, ci si squaglia, si soccombe, il cervello è oppresso dal calore, i criceti non riescono a muoversi, la scimmia non ha la forza di battere i piatti, è una pressa che ora dopo ora schiaccia sempre di più il cranio, ti senti il viso formicolare, senti la morte avvicinarsi a intervalli regolari.
  • Ma devi rimanere in vita: hai da dare gli esami della sessione estiva (che dovrebbe essere illegale), o devi, curiosamente, lavorare.
  • Tendenzialmente il nostro Paese mi va ancora in ferie in agosto – perlomeno io sì, e quindi a luglio ci sono le scadenze prima delle feriesi concentrano i disagi peggiori, tutti sono ostili perché sono stanchi, vogliono solo spararsi l’aria condizionata sotto le ascelle, e sono pure incazzati perché vanno in vacanza ad agosto insieme ai 4/5 della popolazione.
  • La gente, che puzza anche a cose normali, in estate diventa fetente, e se ti toccano incombenze che prevedono di mischiarti con i tuoi simili puoi star certo di provare la sensazione di passare del tempo in una stalla adibita a mensa prestata a spogliatoio maschile.
  • La gente, che si veste di merda a cose normali, in estate diventa la versione peggiore di Snooki di Jersey Shore, e a me sanguinano gli occhi ogni volta che esco.

Dopo estati in cui io letteralmente sparivo a causa del disagio di cui sopra, l’anno scorso mi sono un po’ ridimensionata, ho capito che:

C’è solo una cosa peggiore del lunedì. Il lunedì a luglio (autocit. #1).

E quindi:

Vietato, vietatissimo, fare considerazioni esistenziali sulla vita – e dioneguardi prendere conseguenti decisioni – a luglio (autocit. #2).

Queste consapevolezze mi hanno regalato del benessere, e vorrei che lo provaste anche voi. Quello che sogno è un mondo migliore in cui, grazie a una mia proposta di legge, sia prevista la rotazione delle vacanze: a turno, ogni cinque anni, ogni abitante della terra avrebbe diritto a tre mesi di vacanza, per godere della possibilità di poter stare novanta giorni di fila a grattarsi, come ci hanno fatto credere fosse possibile da piccini. Preso atto di ciò, mi sembra chiaro che un paese civile dovrebbe rasserenarsi all’idea che in Estate si dovrebbero fare solo le seguenti cose:

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Grazie unsplash.com

  • Leggere talmente tanto da finire tutti i libri acquistati, tutte le riviste accumulate, tutti gli articoli salvati nei preferiti, tutti i Topolino della tua infanzia (TUTTI). 
  • Dormire otto ore di fila, di giorno.
  • Poter andare in giro con i gonnellini di paglia e mettersi a ballare Shakira ogni qual volta lo si desideri.
  • Guardare le Olimpiadi, i Mondiali, gli Europei, senza attendere quattro anni ogni volta.
  • Bere dei drink fatti con criterio e non doversi mai lamentare di un Mojito preparato ammerda.
  • Ascoltare tutti i tormentoni di tutte le estati in loop e in filodiffusione senza l’interferenza di chi non porta rispetto per gli scienziati che durante la stagione buia se ne stanno confinati nei loro laboratori a dosare le quantità giuste di lalala, culi, addominali, playa, festa, alcol da inserire nei pezzi che verranno passati in radio.
  • Godere dell’illuminazione notturna scaturita soltanto dalla luna piena, da file di lucine, lanterne e lucciole.
  • Il mercoledì sera NESSUNO dovrebbe azzardarsi a organizzare eventi o chiederti di uscire: il mercoledì sera in estate si sta in casa a guardare SuperQuark.
  • Poter mangiare gelato senza aver bisogno di nessun altro tipo di nutrimento.
  • Poter stare al mare fino al tramonto, sempre, senza nessuno che ti dica che bisogna andare.
  • Avere degli amici che ti portano in motorino per sentire il vento tra i capelli.
  • Poter essere promiscui fino all’inverosimile, scoprirsi sempre di più, erotizzare qualsiasi situazione, dare un senso al sudore, senza gli sguardi cattolici e patriarcali delle fasce di popolazione culturalmente arretrate.
  • Avere tutti i concerti a cui si vorrebbe andare a due passi da casa, ovviamente gratis.
  • Poter guardare il cinema all’aperto senza essere divorati dalle zanzare.
  • Saper ballare il liscio e poterlo fare alle sagre dopo aver mangiato primo secondo contorno e dolce.
  • Innamorarsi e crederci tantissimo.
  • Ballare senza provare stanchezza, tutta la notte, in discoteca, in spiaggia, ai dj-set, davanti a muri di casse, ovunque, qualsiasi cosa, ballare e basta.

#scusatemavelodovevodire, e avevo bisogno di pensieri belli per sopravvivere fino al 2 agosto.

B.

 

Bollettino sulle voci inside my head #14

Dieci anni fa ho fatto l’Erasmus. Potrei scartavetrarvi i coglioni su cosa pensi in generale della possibilità di poter trascorrere un periodo di studio all’estero, ma non lo farò perché penso sia abbastanza deducibile. Ho bisogno invece di far fuoriuscire le voci inside my head dopo che ieri ho cenato con i miei irlandesi – che non vedevo da cinque anni.

Qui è dove vi avevo raccontato delle condizioni in cui vertevo quando ero a Dublino, se volete rifarvi due risate. A peggiorare le cose c’era il mio stramaledetto e precocissimo senso del dovere, che mi aveva imposto il dazio del lavoro se volevo sbronzarmi ammerda nei week-end – sì, ho avuto un Erasmus difficile perché è molto difficile essere me, ed era ancora più difficile essere me quando non bevevo la birra – che grande idea l’Erasmus a Dublino, direte voi!

L’oscillazione perpetua e contemporanea tra forze totalmente opposte è un po’ una #storyofmyfuckinglife. Nel disagio irlandese ci sono state molte cose belle, tra cui il mio lavoro come nanny-italian teacher al piccolo Jack, che allora aveva due anni. Due anni sono pochi. Forse non mi rendevo conto di quanti pochi fossero, due anni. Ma io ne avevo venti, e forse non mi rendevo nemmeno conto di quanti pochi fossero, vent’anni. La situa: madre e padre irlandesi innamorati dell’Italia, tanto che ci si sono sposati e ci hanno pure comprato una casa per le vacanze – fatalità della vita, proprio nell’alta Toscana, e avevano pensato di affiancare al babysitteraggio del loro pargolo pure qualche nozione di italiano. Io ovviamente esaltatissima per tanto progressismo e tanta lungimiranza, ero alla mia prima esperienza lavorativa – e avevo una paura fottuta. Ma Julie mi ha sempre sorriso. Sempre. Dal colloquio alla cena di addio in un ristorante italiano dove suo marito mi fece sbronzare tantissimo – e io mi vergognavo un sacco perché pensavo forse che gli adulti non si sbronzassero ammerda, ahah!

Non mi ha mai fatta sentire una cretina, anche se non capivo bene la lingua, anche se andavo vestita come una homeless a tenergli il figliolo, anche se una volta l’ho chiamata con la voce spezzata perché avevo perso la mia paga nel suo vialetto – e lei mi pagò di nuovo, anche se una volta non sono riuscita a calmare il piccolo Jack a cui venne una crisi di pianto inconsolabile, e io allora piangevo con lui, lui voleva la mamma e io volevo casa, un concetto di casa che allora era del tutto generico e che ci ho messo dieci anni a definire.

Con Jack abbiamo fatto molti puzzles, ragionavamo di cose a caso e ci facevamo tante coccole. In quella casa di Blackrock avevo trovato la mia culla di benessere, e vi ottenni anche il più grande successo della mia vita. La passione di Jack era Finding Nemo, lo guardavamo a rotazione, ma io gli rompevo le palle interagendo con lui in italiano. Un giorno gli ho chiesto in inglese chi arriva adesso?, e lui mi ha risposto con un sonoro LO SQUALO!!! Lì mi sono sentita potentissima, abbiamo riso tanto, me lo sono spupazzata tutto, e ho raccontato questo aneddoto forse più volte di quelle che abbiamo visto Nemo insieme. E ieri, ora che ha quasi tredici anni, se lo è ricordato, e non si è nemmeno vergognato a dirlo, anche se poi ha passato gran parte della serata al telefono – ha tredici anni, lo dobbiamo solo lasciare perdere. Io mi sono dedicata alle sue sorelline – che nel frattempo si sono palesate al mondo, abbiamo avuto conversazioni stupende su tutta la loro esistenza, e alla fine hanno fatto come faceva il piccolo Jack (che ieri avevo paura mi mangiasse insieme alla sua pizza salsiccia e cipolla) gli ultimi giorni di Dublino: mi hanno abbracciata forte pregandomi di rimanere.

E quindi sì, rimango. E forse penserò anche a tornare in terra d’Irlanda per salutare la me, smostratissima, ventenne – e dirle che le volevo già bene.

B.

 

Vuoi star zitta, per favore? No, non più

Questo non sarà un post leggero, riflessivo, scritto ammodo, ben strutturato, con link di approfondimento, ma solo un post incazzato nero. E siccome il blog è mio e, almeno questo, me lo gestisco io, voi non ve ne avrete a male. Perché io in questa breve vita vorrei occuparmi solo di cose felici, unicorni, stelle filanti, colazioni sull’erba e washi-tape, e invece no.

E oggi, proprio oggi che è la Giornata Mondiale contro l’omotransfobia, io ho bisogno di dire quanto sono piena. Perché quello che mi ha insegnato il mondo LGBTQI è che essere proud è tanto difficile, ma tanto necessario e altrettanto bello. E quindi tu fai tutto un percorso interiore di una difficoltà disarmante, ti imponi di cambiare modelli di riferimento punti di vista abitudini schemi pregressi, ti sforzi ad accettare volere bene rispettare te stessa, e love yourself first di lì, e #selfcare di là, e vai ai panel sul femminismo sulla violenza sul discorso di genere, e ti confronti, e di nuovo ti metti in discussione, e segui quello che delle donne pazzesche ma pur sempre umane stanno facendo, e i movimenti, le associazioni, i blog, i podcast, i libri, i saggi, i romanzi, i pamphlet, e le artiste mainstream che pure loro ce stanno a provà, e insomma diodiddio ce la stiamo mettendo tutta per fare i conti con le nostre sofferenze e la nostra alterità e sì, è difficile faticoso e incerto, ma ti fa sentire parte, ti dà visioni alternative, ti dà speranza. Mi sto dannando per volermi bene, per creare rete e dare forza alle mie amiche a fare altrettanto, i campi d’azione sono i più disparati, individuali, personalissimi, ma le strutture alla fine sono le medesime e quindi è per questo che è giusto fare un discorso collettivo, unirsi, abbracciarsi, farsi forza, dialogare, confrontarsi. Benone. Allegria.

Peccato che poi arriva la realtà a darti le ciaffate, e in sequenza la notizia che in Alabama è stata varata una legge sull’aborto che lo vieta anche in caso di stupro e incesto e dalla cara Italia il respingimento della mozione per abbassare l’iva degli assorbenti, che continuano a essere tassati come un bene di lusso, con tanto di commenti del coglione di turno in tv che ci dice come dobbiamo comportarci durante il nostro ciclo mestruale.

E allora per me dovete morire male. Perché non ne ho più di sentirmi dire cosa devo fare del mio corpo dai suprematisti bianchi e dai decerebrati che parlano solo per interesse personale ma più che altro perché sono imbecilli. Mi sono scartavetrata tutto lo scartavetrabile e ho deciso che non starò mai più zitta, in nessun contesto. Che vi sbatterò in faccia il mio sangue se necessario. Le mie storie di merda. Le storie di merda di tutte. Perché è la nostra vita e io voglio avere il diritto di avere diritti. Voglio avere il diritto di essere trattata come un essere umano e non come una generatrice di prole per volontà divina, di una rammollita quando ho i dolori lancinanti per le mestruazioni o il giramento di scatole perché sono in preciclo e insomma noi queste cose, ripeto, ce le stiamo raccontando, ci stiamo provando, ma se lo Stato – lo Stato, lo Stato, ve lo voglio ridire ancora, lo Stato non ci aiuta, è una sconfitta che non sono più disposta ad accettare.

B.

Ps. Vi lascio una canzone bella che mi ha caricata e coccolata mentre camminavo incazzata per le vie della mia città pensando a tutto quello che ho scritto sopra.

Bollettino sulle voci inside my head #11

Non so a voi, lettori intorno ai trent’anni che leggete le voci che riverso in rete, ma a me capita, ultimamente, di provare la sensazione che ogni giorno che vivo sia fondante, centrale, che racchiuda in sé un potenziale rivoluzionario enorme, che da un momento all’altro potrebbe esserci un cambiamento epocale nella mia esistenza, che dalla mattina alle undici alla sera alle otto potrebbero succedere eventi che sconvolgono in maniera radicale il mio intero sistema di pensiero.

È faticoso, ma è pure bellissimo, ma è anche sfiancante, ma è altresì entusiasmante. Era moltissimo tempo che la mia testa non era così attiva (e boh forse non lo è mai stata a questi livelli, non saprei), sto macinando una serie di pensieri uno dietro l’altro, ma robe potenti, vaste, che coinvolgono ragionamenti sulla mia vita, sul mondo, su vite che non sono la mia, sull’universo. La tendenza generale è quella di una propulsione positiva e finalmente risolutiva (?) di moltissimi conflitti che mi hanno incatenata nel corso degli anni, quindi la situazione vista dall’esterno è probabilmente io che a un certo punto sgrano gli occhi, sorrido e mi spunta una nuvoletta con la lampadina Archimede Pitagorico style, perché ho capito il motivo per cui nel 2009 non sono riuscita a fare una cosa, o come mai nel 1997 ho fatto quella scelta, o perché il conflitto di classe è ancora così preponderante nella società, oppure ho capito finalmente il testo di una canzone, o la battuta di un film, o il perché una relazione non poteva continuare, o cos’è che mi ha sempre bloccata, e bla bla bla all’infinito – poi non è che posso stare a pensare h24, ci sono le cose pratiche della vita che di base non si fanno da sole ecco – e mi impongo anche di andare piano, io devo andare piano perché “le cose mi devono stare a fianco e non davanti”, e “per stare bene devo fare le cosine con calma” e ok lo so a questo ci sono arrivata.

La sensazione è quella di rinascere ogni giorno ma con già un bagaglio importante di esperienze che rendono la nascita molto più semplice e meno spaventosa e traumatica. I traumi, sto abbandonando la mia cazzo di paura del conflitto e sto affrontando i traumi – ma poi mi succede che vedo pure quelli degli altri, li visualizzo all’improvviso proprio, e mi entrano anche loro in testa e allora vai di pensieri e di voci, e sono felice, serena, in armonia con il mondo, in pace, desiderosa di fare sempre meglio, la vita è meravigliosa, cammino in collina in mezzo ai fiori, ascolto musica che mi carica, leggo libri che mi spalancano mondi, trascorro ore stupende coi miei amici, e quindi andrà tutto bene, per me, per le persone che amo, per tutti.

E poi di colpo invece, senza preavviso, per dei motivi miseri e meschini di cui mi vergogno assai, mi blocco, e mi immergo e invischio in pensieri senza capo né coda, a cui si appiccica un senso plateale di fallimento, insuccesso, inutilità del tutto, mediocrità, impossibilità palese di ottenere ciò che voglio, domanda base: “che cazzo ho fatto in tutta la mia vita?”. È una cosa indecente questo spostamento del focus, questo cambiamento improvviso di umore, questa mancanza di stabilità per più boh, di cinque giorni di fila. Che se fossero TAT® andrebbe pure bene, ma non so, mi sa che è qualcosa di più e allora un po’ paura, un po’ non capisco, e quindi mi chiedo, lettori intorno ai trent’anni che leggete le voci che riverso in rete, ma capita pure a voi? Ne parliamo? Facciamo qualcosa?

E se sto così, sarà la primavera

Ma non regge più la scusa

No, noooooooooooo

Rsvp.

B.

Jen Beagin, Facciamo che ero morta

Ah, i libri-disagio. Ah, i libri-disagio ambientati negli Stati Uniti. Sono proprio una mia debolezza, lo so, che ci posso fare?

I libri-disagio ammerigani mi si conficcano nel petto come frecce avvelenate, credo che la sensazione sarebbe più o meno quella. Facciamo che ero morta, romanzo d’esordio di Jen Beagin (amo tantissimo che sia un po’ una Bea pure lei), mi è garbato abbestia sotto ogni punto di vista.

È la storia di Mona, una ragazza che viene da un’infanzia non esattamente felice (soprattutto per colpa del padre) che le ha generato una serie di disfunzioni varie, voi pensate a un disagio e probabilmente ce l’ha, ma ne ha anche alcuni che non vi aspettereste e che fanno male. Mi piacciono i libri che fanno male. Leggere le prime sessanta pagine non è stato facile per me, Mister Laido e il Buco mi hanno fatta incupire parecchio, e più che altro l’ho odiata, Mona. Poi da quando da Lowell, in Massachusetts, si è trasferita a Tacos, New Mexico, per provare a svoltarla a quelle duemila miglia di distanza che in America sono due passi, ho imparato a capirla di più e a volerle bene, dannazione, e quindi a patire per lei. Ma non è patetica Mona, nonostante ce la metta tutta per esserlo. È intelligente e ironica, tagliente sì, ma non respingente: ho adorato il suo sguardo sul mondo, i suoi trip mentali, la costellazione di personaggi così assurdi ma così veri che la circondano, le sue paure, le sue manie, i suoi talenti un po’ deviati.

Mona tira a campare pretending to be deadfacendo le pulizie. Ho amato tantissimo ogni descrizione di come pulisce gli spazi delle case dove lavora – mi sono ritrovata nel mio breve passato da donna delle pulizie nelle terre d’Irlanda durante il mio Erasmus, e ho apprezzato il topos dello scoprire il mondo attraverso i segreti altrui, quelli più sordidi e reconditi. Mi è piaciuta un sacco la struttura del romanzo, suddivisa in quattro parti in base ai personaggi che condizionano la vita di Mona in quel momento. Condizionamenti, dipendenze, autolesionismo, voglia di non-farcela, bisogno di farcela. Mi ha ricordato molto Carne viva di Merritt Tierce (edizioni Sur, 2015), un altro libro-disagio che indagava, invece del mondo delle pulizie, quello della ristorazione.

Chi l’avrebbe mai detto che potesse essere così gratificante – così esaltante – distruggere una cosa amata, rendendola inutilizzabile da chiunque altro?

Ci sono anche dei giochi di parole interessanti, non è una scrittura piatta e monocorde (non è nemmeno barocca eh, però io di base voglio anche un po’ godere quando leggo, e qui l’ho fatto), e la traduzione di Federica Aceto è come al solito impeccabile.

  • Jen Begin, Facciamo che ero morta
  • Titolo originale: Pretend I’m Dead
  • Stati Uniti
  • Traduzione dall’inglese di Federica Aceto
  • Einaudi, 2019 (gennaio)
  • Pp. 224
  • € 19

B.