Elvira Navarro, La lavoratrice

Oggi esce in libreria La lavoratrice, per la casa editrice pugliese LiberAria (qui per sapere chi è LiberAria, qui per approfondimenti editoriali, qui per la trama). Io l’ho letto in anteprima già più di un mese fa, e continua a non volersene andare, adesso ve ne parlo così passo a voi la palla del disagio, cuori.

Non mi viene mai un modo intelligente di parlare di un romanzo quando mi è garbato abbestia, perché tendenzialmente succedono queste cose:

  1. Vorrei dire solo bello bello bello BELLO, leggetelo pure voi.
  2. Vorrei scriverci una tesi di laurea. Ecco, pretendo schiere di studenti di lingua ispanica che ci si flashino e ci si intrippino e ci scrivano vagonate di cose sopra.
  3. Vorrei leggere tutta la produzione di chi lo ha scritto, quindi mi sa che devo recuperare il mio spagnolo perché di Elvira Navarro voglio leggere TUTTO.
  4. Vorrei scriverci paginate e paginate di cazzi miei – ma ve le risparmio.

La lavoratrice per me si inserisce nel filone della letteratura che ti piglia a ciaffate di cui mi sto nutrendo negli ultimi anni, e l’effetto che fa è che ne esci centrifugata ma contenta. Ci sono due parti principali, e una terza che chiude e raccoglie. C’è un senso di slittamento continuo, ci si confonde tra ciò che è vero e ciò che è falso, si passa spesso dal dentro di un appartamento al fuori della città, dal dentro della mente al fuori della vita reale. Tuttavia è pure una meravigliosa indagine sul nulla, un loop di pensieri che si accartocciano su se stessi, e di cui è affascinante seguirne le fila. C’è una parte incredibile di riflessione sull’arte, sul lavoro culturale. C’è qualcosa di appiccicoso, come in tutti i romanzi di lingua spagnola. Una delle due protagoniste è pure una specie di flâneur che vaga per le calles di Madrid e viene raggiunta da illuminazioni ed epifanie; allora è anche un racconto dell’urbanità, e il camion della basura è un personaggio del romanzo, così come i fili che rubano l’elettricità. C’è la depressione, ci sono tic della postmodernità che appartengono a tutti noi. E sebbene la menzogna sia una delle sfere primarie del romanzo, le parole di Elvira Navarro sono quantomai reali, esatte, ricercate; non c’è affettazione, ed è questa la cosa che io adoro di più in un testo letterario. Quando ti scarnifica senza dartelo a vedere. Ho pensato tanto al self love che sto cercando di mettere in pratica, mentre lo leggevo. Ho pensato alle teorie orlandiane, al realismo, agli spazi, all’urbanizzazione, all’arte, al disagio, al disagio psicologico, ancora al disagio, ai viaggi in macchina di quando ero bambina. Ho pensato a Joyce, e a Galdós, e a Unamuno, e poi ho sorriso tanto.

c’era la possibilità che quel delirio fosse reale?

Grazie a LiberAria poi è successa una cosa ganzissima: ho potuto parlarne con l’autrice durante il Salone del Libro. Tra un sorso di vino e un boccone di mortazza da Eataly, Elvira Navarro mi ha detto un monte di cose pazzesche perché lei è una super giusta, ma io vvb e non vi tedio, se volete saperne di più pm me, lol.

Insomma leggete ‘sta bomba e poi venitemelo a ridire.

  • Elvira Navarro, La lavoratrice
  • Titolo originale: La trabajadora
  • Spagna
  • Traduzione dallo spagnolo di Sara Papini
  • LiberAria, 2019 (giugno)
  • Pp. 173
  • € 18

B.

Cronachine dal Salone del Libro – #SalTo19

Cronachina sul Salone del Libro 2019 divisa in aree tematiche per facilitarne la consultazione a seconda di ciò che più vi aggrada. Le robe serie le trovate sui canali seri, lo sapete no?

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Logistica e spazi

  • Controlli che manco all’aeroporto – e che ho passato solo grazie alla condivisione social su quello che non si poteva portare (tipo le borracce, Greta e io vi odiamo). Non fanno entrare le bottigliette col tappo come ai concerti (boh) e se hai il deodorante spry nel bagaglio ti senti braccata manco tu stessi trasportando la droga dalla Thailandia.
  • Se non hai il pass giusto o solo il biglietto normale non puoi uscire e poi rientrare: fate qualcosa contro questa barbarie grazie.
  • L’ingresso degli addetti ai lavori riserva sempre delle gioie. Highlight: il tizio che sbraita perché non gli hanno portato il pass e “con tutto quello che faccio per il Salone!” (cazzosei Lagioia?).
  • Il nuovo spazio Oval: per me è un grande sì. Ti permette di pigliare una boccata d’aria ogni tanto e sentirti meno alienato, la passerella sabato era intasata ma la domenica avevano già messo i cordoni per separare le direzioni. Corridoi larghi e tanta luce grazie alle vetrate, tanti editori grandi in modo da evitare che non fosse cagato.

Eventi, incontri, libri

  • Vanni Santoni : Salone del Libro = Violetta Bellocchio : Book Pride Milano. Panel su panel carichi come le mine a presentare gente bomba e a fare discorsi altissimi, solo applausi e poi barelle.
  • La scena fiorentina (aka scenicchia) fa i culi pure a Torino: il panel per la presentazione dell’ultimo numero di THE FLR – The Florentine Literary Review, a tema FAKE, è stato assai ganzo – ma voglio denunciare l’applauso negato a Gregorio Magini, non si fa diobonino! Volete leggere le voci più interessanti del panorama letterario contemporaneo? Qui ne trovate di veramente bòne.
  • Orgoglio pistoiese allo Spazio Super Festival, gremito per sentir parlare del Festival L’anno che verrà – I libri che leggeremo, ideato dal baldanzoso Martino Baldi. Solo su @tortadilatte trovate il circolino con le stories dell’edizione 2018! Ma bando al campanilismo toscano, vi segnalo pure il Premio Letteraria e Leggo Quindi Sono.
  • La tematica del lavoro è stata preponderante: Elvira Navarro, autrice spagnola in uscita il 23 maggio per LiberAria con La lavoratrice, il sindacalista Aboubakar Soumahoro e Nadia Terranova, insieme per presentare il libro Umanità in rivolta, edito da Feltrinelli – un incontro veramente emozionante, e il messicano Eduardo Rabasa con Peppe Fiore e Giulia Zavagna e il suo Cintura nera (uscito in aprile per edizioni Sur, su L’Eco del Nulla ve lo raccontano).
  • E poi l’accettazione di sé e la bellezza diversa (leggete Petali di Guadalupe Nettel edito da La nuova frontiera), nuovi punti di vista, gli esordi letterari, lo scouting, le riviste, la lingua spagnola (ospite del Salone per mia enorme gioia), i grandi scrittori in assenza (Mircea Cărtărescu e J.D. Salinger rappresentato dal su’ figliolo – che figata).

 

  • Il momento La Bea racconta i libri effequ è stato tanto bello, again. Ho ragionato per due ore e mezza (davvero) con la gente bellina di libri che mi son garbati abbestia, ma secondo voi quanto posso esser stata felice?

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Consigli non richiesti per un futuro migliore

  • Lavatevi di più, oh genti, usate prodotti igienici validi e vestiti puliti, perché PUZZATE.
  • Evitate di piantarvi all’improvviso in mezzo ai corridoi. Vedete qualcuno che conoscete? Spostatevi di lato e ragionateci pure all’infinito. Siete in dubbio su dove andare? Dovete cercare una cosa nello zaino? #scansatevi
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Messaggi assolutamente non subliminali 
  • Portatevi il cibo: barrette, frutta, panini (i kinder cioccolato no, che si sciolgono porcoilkaskdajlj): risparmiate e non dovete fare l’ennesima fila. Una piadina costa sette euro, giuro. L’acqua compratela ai baracchini degli hot-dog fuori ore pasti.
  • Mettersi scarpe comode sembra eccessivo ricordarlo, ma lo farò lo stesso. Farsi venire le vesciche è l’ultima cosa che vorrete, date retta.
  • Se c’è dell’assembramento un occhio buttatecelo, scoprirete senz’altro qualcosa di nuovo e interessante.

Considerazioni random e cazzi miei 

  • Questo è il primo Salone con Lagioia a capo della direzione editoriale a cui partecipavo, e rispetto a prima mi sembra che la qualità si sia impennata verticalmente.
  • Le cose che fanno sanguinare gli occhi per fortuna ci sono sempre e di conseguenza le cronache di Alberto Forni aka Fascetta nera rimangono le mie preferite in assoluto FOREVER.
  • C’erano degli stand pazzeschi, pazzeschi. L’impegno degli editori è qualcosa che a me continua a riempire di gioia.
  • Le genti belle sull’instagram mi hanno fatto partecipare anche a tutto quello che non ho visto live, yay!
  • Sul caso Altaforte, leggere qui.
  • Come si fa antifascismo? Facendo cultura in maniera inclusiva e ragionando di lavoro, diritti, genere, spazi. Mi sembra che in questi giorni sia stato fatto da molte parti.
  • Allo stesso tempo, le genti della cultura si devono ricordare un pochino più spesso che non fanno le cose per loro stessi – per parlarsi addosso c’è il mondo dell’Università amici, basta quello, grazie, cuori.
  • La parte più bella del Salone? Il Bookstock Village, lo spazio dedicato ai bambini e ai ragazzi. Mi sono anche imbattuta nella mostra Herstory e mi sono emozionata.
  • Mantenere le mie buone abitudini durante il delirio del Salone = benessere vero.
  • Sono sempre la solita gonfia e faccio le cazzate, però senza volermi flagellare col cilicio.
  • La guerra delle borsine di tela è una delle parti delle fiere che continuo a preferire.
  • Le mie amiche sono belle, e in presenza, e in assenza.
  • Incontrare la gente al Salone è molto bello ma anche molto difficile. Fare tutto quello che si vuole al Salone è ugualmente arduo. Non sono più un folletto saltellante sotto effetto di coca, e me ne sono grata, cazzo. Quello che non sono riuscita a fare a ‘sto giro lo faccio al prossimo, peace and love. Io me la sono goduta. 
  • Torino, torno presto pure da te (ho promesso a Davide Scabin che vo a fa’ il brunch da lui al Mercato Centrale, d’altra parte).
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C’è della bellezza

B.