No music on weekends @ Serre Torrigiani | 16.07.2020

Tutto stava nel ributtarmi nel mondo on-line con un tempismo che scansatevi (sempre, dalla luce). Grazie all’essere riuscita, dopo numero mesi quattro, a riaprire instagram senza terrore, ieri mattina ho scoperto che ci sarebbe stato il Grande Ritorno delle Presentazioni Live di effequ. A riaprire la stagione, il saggio pop di Gabriele Merlini, No music on weekends | Storia di parte della new wave, uscito a febbraio. Non mi sono promessa niente, non ho fatto squilli di trombe o grandi annunciazioni perché poi sai mai, però, alla fine, ce l’ho fatta. Mi sono traslata a Firenze, da cui mancavo sempre da numero mesi quattro (e un po’), e in qualche modo sono giunta in un luogo incantato, che penso non esistesse fino a tipo poche ore prima, sono fermamente convinta che sia stato creato dalla Fata Smemorina e che già adesso non vi sia più. Nel caso non fosse stato un sogno, il posto era questo.

E dopo aver attraversato un corridoio con le lucine dai cui lati spuntavano genti seminascoste da siepi di piante aromatiche, mi sono ritrovata in mezzo alle fresche frasche e alla verzura, circondata da pomodori e zucchine e dal banchino dei libri. Sarà che:

  • Era tipo la mia terza uscita ufficiale
  • Era la prima volta che rivedevo persone intente a fare una delle cose che più amo al mondo (parlare di libri)
  • Erano tutti BELLISSIMI e leggiadri e sorridenti e in carne ed ossa
  • Di quel libro ne avevo sentito parlare dall’autore una volta a cena lo scorso anno, e vederlo stampato mi ha fatta sentire una vecchia zia coi baffi orgogliosa della creatura
  • Vedere le persone a cui vuoi bene dopo quella che è sembrata una vita intera è una delle botte di felicità più belle che si possano avere

ma ecco, sono state due ore incredibili. Non sono riuscita ad ascoltare con attenzione (too much situation, quando sono arrivata mi è stato offerto di mettermi a sedere come agli anziani sui mezzi pubblici ed è stato magico), eppure mi è sembrato di cogliere in pieno le vibrazioni di benessere che arrivavano dal palco, era proprio una presentazione capite, la presentazione di un libro! Un libro che già da copertina e indice potrebbe finire, e invece per fortuna continua.

Momento prefe

Ieri tornata a casa, ancora inebriata dagli abbracci e dall’essere riuscita a sortire dall’Eremo senza conseguenze, mi sono sparata le prime trenta pagine, e con una banalità imbarazzante mi sento di dire che vi consiglio caldamente di farlo vostro. La mia non-competenza in materia mi fa fermare qui, perché davvero ho già scoperto una valanga di gruppi/parole/luoghi/cose/opere e omissioni che ignoravo del tutto e che mi hanno messo subito in sommossa la testa e, dannazione, che figata. Ed è una scrittura talmente serrata ed evocativa e densa che ha già quasi del mistico, e io sono super esaltata.

Perché, cercando riparo sotto un portico, è bene ribadirlo: una fetta essenziale di storia della musica è topografia di luoghi e analisi di spazi, sequenze di puntini che tra le pieghe delle mappe si uniscono e divergono restituendo informazioni imprescindibili riguardo movimenti giovanili, derive del gusto e rigagnoli di rumore

A fine libro, poi, ci sono sei pagine di discografia scritta fitta fitta, e mi sento già una persona migliore (in realtà mi ci sento per la dedica con disegnino, Zerocalcare attento che il Merlini spakka tutto).

B.

La presentazione di fine anno

Ieri c’è stata la presentazione del romanzo dell’EstateL’iguana era a pezzi di Giulio Pedani alla Piccola Farmacia Letteraria di Firenze, e per me è stata come la cena di fine anno scolastico. Quel momento in cui ci si vede, ci si saluta, si mette un punto alle cose, si chiudono i cerchi, ci si dice ci si vede a settembre e si può iniziare l’Estate. Sì, quel momento che quando il mondo era bello era in early June, mentre invece qui siamo in late July e siamo pieni pieni pieni ok? Sono arrivata a Firenze un po’ tesa, ma poi ho visto le genti belle, mi sono rasserenata, mi sono sentita a casa in quella minuscola libreria, mi sono accomodata sullo sgabellino Ikea accavallando le gambe come se dovessi giocare a signore e ho fatto la cosa che più mi piace fare, sentir ragionare di libri annuendo e sorridendo spasmodicamente.

Borsine Piccola

Segue cronachina veramente agile a vostro uso e consumo, cuori.

  • Luca Starita, che presentava l’incontro, ha esordito chiamando in causa, nell’ordine: Marco Balzano con Resto qui,  Paolo Cognetti con Otto montagne e Andrea Pomella con Anni luce, rispettivamente per la politica, il paesaggio e la musica che scandiscono la storia.
  • Io mi meraviglio sempre di come un romanzo possa far innescare i collegamenti più diversi e disparati: è una cosa che mi rende felice.
  • 25 luglio 2019 rimarrà nella storia come “giornata infame” in cui comunque un manipolo di irriducibili si è recato alla presentazione di un libro.
  • Effettivamente Giulio Pedani nel 2016 ha percorso la Via Francigena, e da lì è nato lo scheletro del libro. Poi ha fatto quello che sogno di fare anch’io da una vita fallendo miseramente, ovvero deviare dall’esperienza personale che rende la scrittura solo un diario poco interessante e costruire invece delle storie. Yasss.
  • È stato confermato ciò che avevo sperato, ovvero che Saltatempo di Benni fosse uno dei romanzi che aveva influenzato L’iguana. Non ci voleva molto a capirlo eh, ma insomma volevo sentirlo dire ad alta voce e così è stato ed è stato bellissimo perché poi insieme a StefanoAmoreMio sono seguiti Luciano Bianciardi, e Gianni Celati, ed Enrico Brizzi, e che gli vuoi dire?
  • Ma ci sono state pure influenze indirette e scoperte a posteriori, come quella di Joe Lansdale, da cui risultano “affinità clamorose, ma non fatte apposta eh!”.
  • Durante tutta la presentazione continuavano a venir fuori robe che mi facevano sospirare e insieme volare, tipo lo stretto legame tra lo scrivere e il camminare, perché sei continuamente distratto dalle cose incredibili che ti stanno intorno, e poi vuoi che rimangano, e allora avrei voluto alzarmi e gridare Giulio, te lo spiego io cosa può fare una donna innamorata della vita come me (questa la capite leggendo il libro eh), e invece alla fine ho solo timidamente chiesto come mio solito cose a caso, tuttavia complimentandomi per averci regalato la definizione di twerking più bella di sempre.
  • Abbiamo una listina di libri da leggere prima di morire made in Giulio Pedani che vi favorisco: A sangue freddo di Truman Capote, Revolutionary Road di Richard Yates e Il vecchio che leggeva romanzi d’amore di Luis Sepúlveda.
  • Lasciatevi comunque del tempo prima di trapassare per leggervi anche Guerra e Pace, che dice sia un bel romanzo.
  • Abbiamo anche vinto il saggio suggerimento di guardare Mulholland Drive di Lynch come se fosse un film dei Vanzina, con l’intento di mettersi l’animo in pace, smettere di farcisi i trip e vivere sereni.
  • Ho capito che io mi faccio coraggio nella vita pensando a Britney Spears che ha superato il 2007 come quelli più grandi e fighi di me lo fanno pensando a Iggy Pop che ha superato il 1976-1978.
  • Siena è un’allucinazione immensa e io penso solosolosolo a questo.

B.

Vanni Santoni alla Cité – le combo, quelle belle

Il tour dell’ultimo romanzo di Vanni Santoni, I fratelli Michelangelo, assomiglia a quello di una rock-band che si spara decine e decine di concerti in qualsiasi spazio, evento, manifestazione, rimbalzando come una pallina da un capo all’altro del Paese. La prima è stata a Roma il 16 marzo, e ci sono già alle spalle librerie con solo posti in piedi, a Firenze I fratelli avevano esordito all’IBS, ma la presentazione alla Cité è una “sacra tradizione” che non si può disonorare.

COSÌ PARLÒ SARMI ZEGETUSA

A me sentire Santoni è una cosa che mi fa star bene, quindi vi meritate pure voi le sue perle di saggezza – ma vi assicuro che rendono meglio se leggete il romanzone (che è una bomba, una bomba!).

  • Svolta assoluta su “questa cosa del trombare”, che un tempo “era parecchio importante” – la prima parte del romanzo indaga infatti la tardiva educazione sentimentale di uno dei figli, Enrico: aveva senso “finché aveva senso politico, fino a che cioè poteva rivendicare territori di libertà che non c’erano, e quindi andavano fatti i conti con questa questione”. Boh, amici, pensiamoci davvero.
  • Anche perché adesso per Vanni Santoni la questione spirituale è quella centrale (affrontata nell’ultima parte), “quindi il passaggio dalla figa a Dio è emblematico ma pure tragico”. Grazie. Grazie.
  • Nel romanzo ci sono sì delle chiavette che esplicano i vari congegni allegorici, però dai, non è che i libri devono essere dei passepartout.  D’altra parte, le sezioni di Louis e Rudra, quelle che contengono chiavi, sono anche le uniche che gli editor avevano proposto di togliere (risate da sit-com in sottofondo).
  • Stiamo uscendo da un’epoca in cui essere realizzati corrispondeva a un determinato posizionamento della società, adesso è una questione personale ed è una conquista (qui mi sono illuminata San Paolo style).
  • La questione dell’arte contemporanea è indagata nella parte di Cristiana: l’arte da Duchamp in poi, si è liberata dal medium,diventando pura idea, ed è per questo che l’arte contemporanea spesso viene accusata di essere fuffa: il fatto che conti solo l’idea è più difficile, e Cristiana non ce la può fare malgrado il suo enorme talento.
  • L’editoria è la versione sfigata dell’arte, a *** (fiera di cui mi son persa il nome) ci sono le stesse dinamiche del Salone del Libro, ma estremizzate e con più riccanza.
  • Ho scoperto il fenomeno dello Zombie Formalism (please ask google).

la citè vanni
Foto della Cité (io in pole position as usual, sia mai)

LE VOCI INSIDE MY HEAD

  • Una delle svolte vere delle presentazioni alla Cité è vedere le persone oltre le grandi vetrate che, passando, guardano dentro stupite, incuriosite, perplesse, compiaciute. E quando a qualcuno si schiude un sorriso è bellissimo.
  • Federico Di Vita, che presenta il romanzo, dice che la nostra generazione ha problemi con quella precedente, perché ha avuto molto, noi non riusciamo ad avere altrettanto (sì, son d’accordo). C’è quindi un rimosso con cui adesso si sta tornando a fare i conti, e ritroviamo abbestia il tema del padre in molti romanzi recenti (ne scriverà presto un articolo). E io mi chiedo, allora, ma poi chissà se è proprio recente ‘sta cosa o se è sempre stata così, non c’era un riquadro sul Luperini che indagava la tematica paterna quando si è fatta la Coscienza di Zeno? Non è invero la queen di tutte le tematiche, un esondante GTR (Grande Tema Ricorrente), e quindi insomma va bene flasharsi ma anche no? Poi io sono basica e quindi la risposta sarà sicuramente no, ma vabbè. 
  • Federico Di Vita dice che I fratelli Michelangelo è un flusso, perché procede con grande rapidità – e io un po’ penso a Tegamini che dice che se vuoi leggere una roba scorrevole ti leggi il rubinetto dell’acqua (cuoroni), e un po’ penso al flow dei rapper che non va interrotto (Ninna nanna, ninna ninna oh / Uooh ooh / Questo flow a chi lo do?), e appunto, io sono basica, e rido da sola.
  • A un certo punto parlano di roba induista che no entiendo, e i criceti fan fatica.
  • Sponsorizzo tantissimo un Vanni-Pocket che ti legge i suoi libri sempre a disposizione, perché è tipo imprescindibile.
  • Da Sabatino si mangia bene – e si ride molto.

B.

 

An evening with Manuel Agnelli – cronachina del live al Tuscany Hall di Firenze

Disclaimer

Se su libri/letteratura/fiere/festival sento di poter aprir bocca (o, in questo caso, battere sulla tastiera) con dovuta cognizione di causa, non posso certo dire lo stesso su musica/musicisti/concerti. Che in realtà è un’altra delle cose che più amo, ma come sui film/cinema non mi sento preparata abbastanza, arrivo sempre un po’ dopo, ho gusti che contaminano la purezza di un’opinione, non ho basi che mi permettano di fare i giusti confronti, non colgo riferimenti, non conosco discografie o filmografie complete, e quindi ci vado sempre piano o addirittura sto proprio nel mio, perché parlare di una cosa che non conosco alla perfezione mi genera ansia e scompensi. Bene, da ora in poi invece sticazzi: ma di che si ragiona, c’è gente inutile che apre le fauci ergendosi a tuttologo laureato all’università di Salcazzo e io non posso raccontare di un concerto che m’è garbato?

I fatti miei

Se c’è una band su cui mi sono davvero sfondata (Verdena esclusi), sono gli Afterhours. Io e la V., durante la nostra tormentata storia d’amore adolescenziale, sui loro album ci siamo spaccate le orecchie e l’anima e ieri, dopo un triplo salto carpiato del destino, ce l’abbiamo finalmente fatta a vedere insieme se non tutti almeno una parte della rock band number one in Italia, ovvero Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo, in questa cosa strana che hanno chiamato An Evening with Manuel Agnelli. Io l’anno scorso mi ero fatta pure l’evento “One night only” al Forum di Assago a chiusura dei festeggiamenti per i trent’anni degli Afterhours, tre ore di godimento allo stato puro (featuring la Z., cuori), ma anche il set intimo di ieri ha generato orgasmi multipli uno via l’altro

Il concerto

Il buon Manuel è in forma smagliante (ma quando non lo è stato?): dà l’idea di essere in un momento di super fermento creativo e di voglia di fare cose (l’apertura di Germi, ricomincia Ossigeno, questo tour). Dopo trent’anni il rischio di spaccarsi i coglioni è molto concreto, e invece lui si presenta al pubblico con un “grazie per essere venuti sulla fiducia a questa cosa che non si sa bene cosa sia”. Ma io tesoro pagherei pure per vederti fare colazione, ma di cosa stiamo parlando! Comunque questa fiducia che il pubblico gli ha donato così a scatola chiusa (…) è stata ripagata abbestia. Mi piace un sacco la formula del concerto a teatro, dove l’artista tra una schitarrata e una tappa al pianoforte ripercorre la sua vita, ti racconta cazzi suoi sapientemente costruiti ma che sembra che vengano detti proprio a te per la prima volta (tipo il racconto del suo viaggio in giro per l’Europa unita ante litteram, non per scoprire ma per trombare, e la relativa presa di coscienza che le canzoni tristi facilitano l’erezione per introdurre un pezzo di Lou Reed), con scenografia un po’ da salotto un po’ da baretto, cover (tra l’altro le cover degli Afterhours secondo me sono proprio una delle loro chicche) e reading che si alternano ai pezzoni da cantare a squarciagola. Si respira un’atmosfera amicale e onirica, il violino di Rodrigo è quasi magia e i continui cambi di potenza nelle canzoni generano pelle d’oca e subbuglio interiore costanti.

Le perle di saggezza

“Ho sempre apprezzato quelli che morivano di tisi a trent’anni, ora mi sa che l’ho presa anch’io”; “adesso va un po’ il sesso emo… l’ho inventato io!”; “molta della musica che mi fa sentire mia figlia mi fa schifo, ma è giusto così, anche a mio padre faceva schifo la musica che gli facevo sentire… ma aveva torto”; “un concerto di Manuel Agnelli non può finire con tutta questa allegria… immotivata”. 

La scaletta

  • Place to be (cover di Nick Drake, piango)
  • Padania
  • Male di miele
  • Come vorrei
  • Pelle
  • Ti cambia il sapore
  • The bed (cover di Lou Reed)
  • Bianca
  • Reading da Una solitudine troppo rumorosa  di Bohumil Hrabal
  • Shadowplay (cover dei Joy Division)
  • State trooper (cover di Bruce Springsteen)
  • Dove si va da qui
  • Video games (cover Lana Del Rey – momenti altissimi)
  • Né pani né pesci
  • Adesso è facile
  • È solo febbre
  • Perfect day (Lou Reed cover)
  • Reading da un racconto di Vasco Pratolini (che avevo riconosciuto e mi sono esaltata tantissimo)
  • Ballata per la mia piccola iena
  • Ci sono molti modi
  • Non è per sempre
  • Quello che non c’è

Note a margine

  • Il merchandising è decisamente inquietante.
  • Durante il pre-concerto mi innamoro sempre una cinquantina di volte, uomini barbuti che rispondo al mio ideale di maschio e donne che vorrei essere. Poi puntualmente mi ritrovo accanto alla gente più rompicoglioni e devo fare training autogeno per non coprirli di insulti. Cuori.

B.

 

Ovunque sulla terra un’altra cena: cronache di una presentazione incrociata

Seguendo le regole del buon senso che ha ricordato quel giovanotto di Francesco Quatraro, editore della pluriamata effequ – per cui se sei under 40 sei un giovane scrittore, e se pubblichi per la prima volta sei un esordiente, nel felice contesto di Green,go! una bottega sostenibile in cui si servono pure dell’ottimo alcol e dei deliziosi aperitivi, in una serata di fine inverno gli autori fiorentini Simone Lisi e Marco Marrucci hanno presentato uno le fatiche letterarie dell’altro, e ne è venuta fuori una delle mie combo prefe, risate da lacrime e discorsi (involontariamente?) altissimi sulle cose del libro e quindi della letteratura e quindi della vita.

C’è da dire, lo ammetto senza pudore, che io a Un’altra cena O di come finiscono le cose (effequ, 2018) e a Ovunque sulla terra gli uomini (Racconti, 2018) voglio particolarmente bene, ed è stato molto bello sentirne parlare ancora, e in questa modalità ganzissima.

Ma ecco i tratti salienti della sit down comedy chiacchierata tra i due scrittori. 

  • I giovini scrittori si sono sinceramente piaciuti molto (e se ne sono pure stupiti).
  • Il Lisi alza le mani e dichiara di non saper mai rispondere alle domande.
  • Uno ha fatto editing innamorandosi (perché quando scrive poi non si capisce niente e allora torna indietro), l’altro ha scritto prima l’indice e poi l’opera.
  • In uno lo spazio sono le poche stanze di un appartamento, e si sta isolati come in un dramma di struttura aristotelica. Con l’altro si viaggia in posti lontanissimi e sconosciuti, come sfogliando un atlante.
  • In uno siamo estremamente dentro questo tempo – senza che ciò provochi il solito fastidio per un qui e ora posticcio, nell’altro c’è una a-temporalità immaginifica – senza che sia sganciata totalmente dalla realtà.

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  • La mia frase su Un’altra cena “Un libro che può leggere un adolescente ma anche la mi’nonna” è ormai diventata patrimonio comune, perché Marco Marrucci la cita non sapendo che l’ho pronunciata io che son lì nel mezzo. Divento rossa, moltissimo.
  • Le questioni, quelle urgenti, quelle che dividono, quelle che ti rimangono dentro giorni dopo aver finito la lettura: dove si fa colazione e perché? 
  • La filosofia che non impegna ma emoziona.
  • Ci sono molti modi per arrivare alla pubblicazione, checché se ne dica.
  • Se siete editori probabilmente mangiate alette di pollo davanti al pc, sudando per l’ennesimo manoscritto che vi intasa la casella di posta elettronica.
  • Andare al ristorante dopo le presentazioni piace molto a Marco Marrucci – così come il brivido di parlare del proprio libro a qualcuno che non ne sa assolutamente nulla.
  • T.S. Eliot ha subito dei maltrattamenti durante questa presentazione.

Io direi che non potete più stare senza aver letto questi funambolici talenti, no?

B.

 

Andrea Zandomeneghi, Il giorno della nutria

Cose che so di me stessa in maniera definitiva e categorica: non potrò mai avere un rapporto asettico con i libri. Ci provai una volta per scrivere una recensione che mi fu chiesta (e poi mai uscita), e mi sentii talmente estranea a quello che provavo a proposito del libro e a quello che volevo effettivamente dire che mi ripromisi che non sarebbe più accaduto. Ecco perché ormai la parola “recensione”, quando parlo di un libro sull’internet, si è svuotata del suo senso primario, è solo di comodo. Questa non è una recensione (ne stanno già fioccando una via l’altra, sono ordinatamente reperibili sulla scheda on-line di tunué) , è finalmente il racconto di una lettura che aspettavo di fare da anni – da quando cioè ho letto il primo folgorante capitolo su degli A4 sgualciti e poi da me riempiti di sottolineature e glosse durante il corso di scrittura alla Cité – e che adesso vorrei tantissimo che faceste anche tutti voi.

zando
Reperti storici di un certo rilievo – io fossi in voi terrei d’occhio anche la compagna di banco dello Zando

A fine ottobre Il giorno della nutria è stato presentato a Pistoia a L’anno che verrà: è lì che ho visto per la prima volta l’iconica copertina del romanzo d’esordio di Andrea Zandomeneghi, e assaporato l’attesa attraverso la lettura di qualche passaggio, il pubblico incantato e l’editor (giustamente) gasato. Quando Goodbook.it mi ha chiesto, a dicembre, di raccontare la novità editoriale da me più attesa del 2019, non ho esitato, indicando la nutria, i perché e i per come. Bene, i mesi son passati, il romanzo è finalmente uscito, io me ne sono impossessata e l’ho letto in una manciata di ore, fregandomene di centellinarmelo, sottolineandolo forsennatamente, riempiendolo di cuori ma soprattutto godendo tantissimo.

Sì, perché non solo il capitolo 0 e il capitolo 1 hanno raggiunto la perfezione, ma perché anche il resto del romanzo è pazzesco, nuovo, glorioso. C’è tutto quello che mi fa impazzire: un protagonista immerso nel disagio (Davide Aloisi) la provincia (Capalbio!) l’alterazione dei sensi (alcol analgesici psicofarmaci e thc) la commistione tra alto e basso il citazionismo i dilemmi esistenziali la realtà che si confonde col sogno personaggi al limite del grottesco (la madre allettata Eufemia, il nipote Giulio, la badante Dorota con il figlio Esteban, l’amico Emanuele, Don Stefano e altri ancora) la malattia l’ironia l’alterità la colpa lo sprofondare nel baratro l’accumulazione e le parole, le parole della lingua italiana che si ergono splendide sulla pagina e ti fanno smuovere le budella e prendere il dizionario. La sintassi, l’elaborazione strutturale della storia, l’assenza di manicheismo, l’assenza totale di espedienti narrativi del cazzo, il superamento del terrore di fare qualcosa di diverso, le cose che sono dette, il modo in cui sono dette, la necessità che fossero dette. E quella nutria mezza congelata e scorticata che fa da perno alla giornata (interiore ed esteriore, mio binomio prefe della letteratura) che ci viene raccontata dal protagonista Davide.

Respiro affannato e irregolare. Sembrò far capolino tra un’ispirazione e l’altra la fame d’aria, pessima in sé ma soprattutto segno di attacco di panico in agguato. Mi immobilizzai, chiusi gli occhi, provai a mappare la situazione, a darle forma, a prendere atto. Grande stronzata strategica: tutto era istericamente metamorfico, turbine d’ideazione mercuriale, la mente […] s’era frammentata sotto il segno dell’incoerenza […].

L’esordio di Andrea Zandomeneghi è uno spartiacque, qui lo dico, mi siete testimoni. E io che credo nei destini incrociati e nelle cose buffe della vita, non potrò mai smettere di gioire ripensando a quella primavera del ’16 in cui per la prima volta ho conosciuto la nutria.

B.

Buona la prima: presentazione di Ovunque sulla terra gli uomini di Marco Marrucci

Ci sono un’infinità di variabili da prendere in considerazione nella riuscita di una presentazione libresca: luogo, tempi, affluenza di pubblico, attenzione del pubblico, qualità del libro presentato, alchimia tra l’autore e chi lo presenta. Quando tutti questi elementi vanno in sintonia lo si percepisce chiaramente, come è successo ieri sera alla Cité – Libreria Caffè di Firenze, dove a un orario finalmente amichevole Edoardo Rialti ha presentato l’opera di esordio di Marco Marrucci, uscita per Racconti Edizioni.

Cos’è Ovunque sulla terra gli uomini?

È una raccolta di dieci racconti che vanno in giro per il mondo narrativo, una sorta di atlante più immaginario che fisico dove sono racchiuse le vicende di personaggi diversi, ma in cui la voce narrante sembra tornare, legata da un fil rouge stilistico ed espressivo di squarci e svolte drammatiche, identità rubate e visioni.

Dicci di più, ma non troppo

  • In tre quarti d’ora, in una Cité davvero gremita, Edoardo Rialti è riuscito a dire cose sul libro senza spoilerare nulla, a fare domande specifiche e intriganti, tenendo il ritmo altissimo.
  • Il fatto che fossero appollaiati su degli sgabelli, e dietro ci fosse una vetrata che dava sul marciapiede dove ogni tanto i passanti si fermavano incuriositi a buttare un occhio dentro per vedere cosa stesse accadendo, ha conferito al tutto una nota così urbana e metropolitana che proprio volavo.
  • Le conversazioni sul racconto per me potrebbero durare per sempre.
  • Carver c’è immancabilmente, anche quando la scrittura è tutt’altro che carveriana.
  • La presenza imponente di sciure fiorentine è stata un plus.

La citè
Foto della Cité

  • Alla domanda “che romanzi d’esordio di autori italiani emergenti consiglieresti di leggere” Marco ha risposto con due miei amoriUn’altra cena di Simone Lisi (effequ) e Dalle rovine di Luciano Funetta (Tunué). Io ho esultato tra il pubblico come una cheerleader. Scusate.
  • La storia editoriale di Marco Marrucci riassunta con “una grande botta di culo” è la vera eccezione alla regola nel mondo degli esordi. Lui non ha fatto la gavetta letteraria che passa per riviste e concorsi, prima di Ovunque sulla terra gli uomini non aveva scritto nient’altro, e infatti Racconti Edizioni lo presenta così: “Marco Marrucci ha inviato un manoscritto che adesso è il suo libro d’esordio”.

Quanto è…

  • Buffo chiacchierare con l’autore (Sergio Oricci) di un romanzo (Cereali al neon edito da efequ) appena letto e che ti è garbato tantissimo e di cui andrai alla presentazione tra due giorni.
  • Benaugurante assistere all’assalto alla pila di libri da parte del pubblico.
  • Balordo fare una figura di merda con l’autore al momento del firma-copie, rispondendo con “Ah boh!” alla domanda “cosa metto?”, che stava chiaramente per “come ti chiami”, ma io non ci sono arrivata.
  • Bello avere una sorella che ha i tuoi stessi gusti sulla Vita.
  • Buono il ramen!
  • Boia dè che figata aver già letto due racconti per la troppa curiosità e non rimanere delusa per niente, bensì coinvolta e rapita da una scrittura che ti tiene senza respiro per tutto il tempo della storia.

B.

 

 

 

Boia che disagio: Firenze Libro Aperto

Sono preda di una vis polemica che scansateve, e voglio rendervi parte senza indugio delle mie considerazioni per niente carine e coccolose.

Firenze Libro Aperto – Le premesse

Trattasi della nuova fiera del libro di Firenze, seconda edizione. Anzi, come si evince dalla pagina Facebook a essa dedicata, “la seconda storica edizione” (???) del “primo Festival Nazionale del Libro a Firenze, aperto a piccola, media, grande editoria e al pubblico naturalmente. La comunicazione è il tema centrale”. E pensa se non lo fosse stato, dico io. Perché invece il primo grande disagio che ho riscontrato è stato proprio la strategia comunicativa del Festival. E non prendiamoci in giro: la comunicazione, ad oggi, mi è la base di tutto. Non può succedere che il sito ufficiale sia down nei giorni precedenti e negli stessi giorni dell’evento: dove prendo le informazioni che mi occorrono per decidere se andare o no, o cosa voglio vedere? Anche la pagina FB rimanda a un link senza citare il link. Per fortuna dai commenti si è capito dove diamine reperire ‘sto programma, anche perché insomma con “300 case editrici, quasi mille incontri” uno aveva magari voglia di farsi un’idea. Sui social peggio mi sento, pagina Instagram ferma al 6 settembre e pagina Facebook aggiornata a caso, con presentazione che sembra scritta da una quindicenne insicura (quale ero io stessa): “Abbiamo commesso degli errori, e li commetteremo ancora. Siamo nati per farlo, in fondo. Ma per questo progetto stiamo mettendo in gioco tutto quello che abbiamo. Stateci vicini”. Cioè. Boh.

E che cosa ti ha spinto ad andarci, di grazia?

(Visto che l’ingresso costava pure 10 euro, aggiungo io). Il fatto che ho bisogno di vedere con i miei occhi le situa, poi perché comunque il beneficio del dubbio è un diritto sacrosanto e inalienabile, ma soprattutto perché me lo ha chiesto in maniera estemporanea e meravigliosa un’amica che non vedevo da anni, e io agli incontri romantici tra i libri non so proprio resistere. E il tutto ha poi coinciso perfettamente con l’unica presentazione che mi sarebbe piaciuto vedere.

Firenze libro aperto

Ok, quindi nel concreto com’è andata?

Dal punto di vista romantico, benissimo. Chiacchiere, prosecco, un’altra amica riabbracciata e Stefano Solventi che presenta con Elisa Giobbi il suo The Gloaming. I Radiohead e il crepuscolo del rock, pubblicato da Odoya, un “progetto ambizioso” per raccontare cosa succedeva, a più livelli, negli anni dei Radiohead, un “saggio espanso” che racconta di quel simpaticone del rock nato già morto ma che in realtà non morirà mai. Ascoltare Stefano (e conoscerlo dal vivo dopo i social e il suo romanzo, La meccanica delle ombre, che tra l’altro vi consiglio) è stato un piacere, ascoltare i Radiohead in sottofondo, grazie al dj set, ancor di più, e questo sarà il prossimo non romanzo che leggerò.

Daiiii vogliamo le botte e il sangue!

Ok, eccoci. Mi sono rimaste addosso le luci al neon fastidiosissime, la desolazione dell’allestimento del Festival, senza veri e propri stand ma con tavolacci e tovaglie di velluto, smarrimento generalizzato, presentazioni in luoghi di passaggio, un sacco di editori a pagamento, la “ristorazione mai così varia e stupefacente” (glielo spiegate voi, intanto, che per dire “mai così” un precedente solo non basta? …vabbè) di una tristezza infinita (e ovviamente cara), orari dei concerti a caso (che poi anche qui, boh, che c’entra, fatene bene una di cosa intanto), nel seminterrato poi, che ansia.

Quindi no. Proprio no. Decisamente no. Io ci ho provato, e voglio dire, io di base AMO TUTTO, quindi prima di farmi salire il crimine ce ne vuole. Però le cose raffazzonate, gonfiate, non ancorate alla realtà, soprattutto, proprio non ce la posso fare. Addio, è stato orribile (ma grazie a Veronica, Viola – & Company! – The Gloaming e agli arancini di Ivan è stato tanto bello).

B.

 

Bene, bravi, bis: Firenze RiVista

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Il primo fine settimana di autunno un’estate infinita che genera in me scompensi e dubbi esistenziali, mi ha vista fare anda e rianda nel capoluogo toscano – e nello specifico in uno di luoghi che più adoro, il complesso delle Murate – per un evento che aspettavo in gloria da agosto, la quarta edizione di Firenze RiVista.

Ma che è Firenze RiVista?

È un festival letterario – a ingresso libero – che nasce dal basso, nel 2015. Inizialmente l’accorgersi della presenza, in Toscana, di tantissime riviste culturali, poi l’idea di organizzare qualche presentazione per farle conoscere, e infine il coraggio di farsi il culo e creare un vero e proprio festival ad esse dedicato, che rendesse giustizia al fermento culturale indipendente, alle amicizie nate tra le persone e alla voglia di condivisione delle idee.  Tra le fondatrici c’è Silvia Costantino, che è un po’ un certificato di garanzia: se c’è il suo zampino state sicuri che la qualità non manca. E infatti anno dopo anno Firenze RiVista è cresciuto, ha avuto il patrocinio dal Comune e dall’Università di Firenze e il contributo dell’Estate Fiorentina, accoglie riviste da tutta Italia e da quest’anno una mini fiera del libro. Qui il link del sito ufficiale dove potete dare una sbirciata a riviste e case editrici che hanno partecipato.

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Dai, smettila di fare la seria e dicci di più.

Ok, Firenze RiVista è una figata pazzesca. Io bimbi non mi aspettavo un programma così denso, variegato e interessante, la prima cosa che mi è venuta in mente sabato è stata: ma è un festival letterario VERO! E guardate che non è semplice, soprattutto se non ci sono i big money. Però ecco la cosa che mi fa star bene è che c’è chi ha voglia di spaccarsi ammerda per tirare su una manifestazione del genere, portare ospiti e creare un filo conduttore credibile, quest’anno il tema era MUTAZIONI (sociali, linguistiche e culturali) e incontri e workshop hanno spaziato tra le tematiche più disparate, ce n’era davvero per tutti. E poi l’intento di coinvolgere i gggiovani è riuscito alla grande, le Murate pullulavano di evidenti under 30 vestiti in maniera adorabile e che hanno preso parte attivamente agli eventi. Così la Piazza delle Murate con il Caffè Letterario e gli spazi del complesso hanno tenuto insieme in totale armonia gli elementi cardine di tre giornate di successo: tavoli colorati, birrini, protagonisti della scena culturale che si ritrovano in drappelli e chiacchierano felici, alberi, biciclette, spazi urbani sociali e culturali, architettura di recupero, accanita guerra fra borse di tela (la vincitrice indiscussa è l’anziana con la borsa con il lama rosa ed altri elementi meravigliosi perfettamente abbinata alle sue sneakers), presentazioni mega interessanti che ti arricchiscono e ti mettono in moto la materia grigia, e i banchini delle riviste e degli editori dove spulciare la qualsiasi e farti intrigare da mondi sconosciuti.

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E nel concreto, cosa hai fatto?

  • Ho rivisto un’amica che non vedevo da mesi e con cui ci eravamo date un romantico appuntamento proprio a Firenze RiVista; abbiamo bevuto birra e ci siamo messe in pari con i rispettivi disagi.
  • Insieme abbiamo partecipato all’incontro “Gli esordi letterari”, in collaborazione con il Premio Calvino, “segnalatore di mutazioni direzioni in cui va la scrittura”, con Vanni Santoni e Teresa Ciabatti, entrambi in giura, moderato da Chiara D’Ippolito, ufficio stampa del Premio (e questo vorrei raccontarvelo in un altro post).
  • Ho scambiato abbracci, sorrisi e chiacchiere con tante persone che non vedevo da un bel po’, conosciute di nuove (bevendo altra birra), e pensato a quanto è bello avere trent’anni, perché siamo tutti così meravigliosamente instabili e funambolici che ci teniamo insieme a vicenda scambiandoci confessioni pericolose su progetti e sogni. E per me è uno stimolo continuo.
  • Ho ascoltato Giulia Blasi e Beatrice de Vela, moderate da Matteo Pascoletti, raccontare la campagna #quellavoltache, diventata un libro che raccoglie le testimonianze di persone vittime di abusi e i cui proventi verranno devoluti interamente alla Casa delle Donne di Roma. Tema attuale e che deve rimanere tale.
  • Ho sognato l’Olanda di The Passenger grazie a Marco Agosta e Antonio de Sortis. The Passenger è il nuovo progetto editoriale dei tipi di Iperborea, una di quelle cose per veri invasati della carta stampata che non vedo l’ora di essere meno poverah per avere tra le mani.
  • Non ho partecipato ad almeno altri quattro incontri che mi sarebbero interessati abbestia, ma ho passato un po’ di tempo fra gli stand a fare whish list mentali e applausi silenziosi.
  • Mi sono fatta fare foto davanti ai roll-up manco fossi alla #MFW (grazie, Diana!).

presentazioni

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love

Puoi finire questo post, cortesemente?

Sì, avete ragione, ma è stato tanto tanto bello, perché tornare a un Festival Letterario dopo tanto mi ha riempito il cuore e la testa, e non c’è niente da fare, a me queste cose mi fanno stare tanto bene.

B.