Una sarabanda di libri a caso #3

Ho pescato un po’ a caso nello scaffale della letteratura americana: è uscito un titolo letto quattro anni fa, tre titoli letti in questi ultimi strani mesi e uno freschissimo di lettura.

  • Richard Ford, Rock Springs, Feltrinelli 1989: mi sono imbattuta in Ford nel 2014. Ho iniziato a caso da Sport Writers, e poi come il più delle volte mi succede non ho continuato. Nel ’17 ho letto Tra loro, posseggo già Il giorno dell’indipendenza e ora che ho letto questa raccolta di dieci racconti mi sento di dire che lo amo. C’è proprio tanta America, però insieme al disagio di un luogo dimenticato da dio come il Montana e di ciò che Ford ne racconta, c’è una delicatezza e un barlume di positività che traspare sempre da ogni racconto, anche dal più cupo. Racconti prefe: Amore, Figli, In malora.
  • Daniel Woodrell, La versione della cameriera, NNE 2019: regalo della I., me lo sono divorata. Belli, belli quei romanzi da cui non riesci a staccarti; vorresti rallentare ma proprio non riesci, la scrittura non te lo permette, né tanto meno la storia: quella di una sala da ballo che nel 1929 è esplosa durante una festa, e i cui colpevoli non sono mai stati scoperti. Ma Alma, nonna di Alek, la voce narrante (la descrizione iniziale pazzesca), ha raccontato al nipote la sua versione dei fatti e quindi no, dovete proprio galoppare verso la fine per poi scuotervi di dosso lo stupore, la polvere e i detriti che vi sono rimasti addosso.
  • Elizabeth Strout, Olive, ancora lei, Einaudi 2020: dopo lo spavento assoluto per non aver apprezzato Mi chiamo Lucy Barton e il trauma del passaggio da Fazi a Einaudi, ho tirato un sospiro di sollievo con Tutto è possibile, per poi aprirmi in un sorriso definitivo con il ritorno di Olive Kitteridge. Sono felicissima per come Strout sia riuscita a inserire il presente senza farlo sembrare posticcio, come si sia tenuta lontana dai piagnistei ma allo stesso tempo vicina alla commozione (io ho pianto salve), come abbia portato avanti il suo personaggio fino alla fine, inserendo riferimenti anche agli altri suoi romanzi. La adoro, fine. Racconti prefe: Pulizie, Luce, Cuore.
E invece no, aprile 2020
  • Jenny Offill, Sembrava una felicità, NNE 2015: un romanzo che mi ha aspettato cinque anni e che sono molto felice di aver letto a maggio: ci stava abbstia. Sottotitolo implicito: “e invece no”. Mi ha fatto sentire viva, è un romanzo che non tratta chi lo legge come un decerebrato ma che richiede attenzione e ti smuove cuore e cervello. Ti ritrovi a cortocircuitare con la protagonista, ti verrebbe a tratti da tirarle i nocchini e a tratti da farle tante carezze. Il racconto di una storia d’amore moderna senza stereotipi né facili cliché. Pagina 83 POSTER.
  • Roger Rosenblatt, Una nuova vita, Nutrimenti 2016: oh, questo libro. Quanto l’ho amato. E quanto l’ho inaspettatamente, amato. Avevo iniziato a leggerlo con un sacco d’ansia e pregiudizi, e invece mi ha completamente resa inerme e sciolta e fatto versare lacrime e so che dovrei, potrei rileggerlo, ma non ce la fo, fatelo voi per favore. È il memoir dell’esperienza dello scrittore sulla nuova vita che lui e sua moglie hanno iniziato dopo l’improvvisa morte della figlia. Un abbraccio lungo un libro, una secchiata di realtà, di tenerezza e di umiltà: vi ci vorrà la copertina, anche con i 39° odierni.

Buone letture, alla prossima,

B.

Una sarabanda di libri a caso #2

Libri che mi ricordano l’estate perché letti in estate, quel periodo sospeso, sempre uguale a se stesso a prescindere dall’anno, dal momento, dalle cose che stai vivendo, da chi hai accanto. L’estate è solo l’estate.

Tre di questi libri hanno la dedica dell’autore. Due di questi libri mi sono stati regalati. Hanno tutti la copertina con i colori del mare, o a volte del cielo. In due di queste copertine c’è chi sta in acqua: una donna galleggia, un uomo nuota nel volto di una donna. In uno di questi libri ci sono disegni incredibili. Tutti questi libri ti sanno restare addosso, come la sabbia dopo un giorno di mare, che rimane ovunque, e ritrovarla nei posti più impensabili ti fa sorridere e ti aiuta a respirare.

  • Valeria Parrella, Almarina, Einaudi 2019: romanzo finalista all’edizione 2020 del Premio Strega, l’ho letto a giugno dell’anno scorso: è pieno di sottolineature e orecchie e riflessioni scritte in obliquo: “gente che ci sa fare con le parole”, “la meraviglia”, e poi frecce, asterischi, cuori. Segni inequivocabili che un libro mi è piaciuto davvero, ma davvero tanto. Mi accodo a coloro che lo hanno già spassionatamente consigliato: leggetelo, che poi vi sentirete diversi.
  • Paolo di Paolo, Una storia quasi solo d’amore, Feltrinelli 2016: una delle letture agostane del 2016, approcciato con un po’ di diffidenza perché e la parola amore nel titolo, e i narratori italiani, e la contemporaneità… io sempre inquietudine e terrore. E invece rimasi così colpita e cullata dalla storia di Nino e Teresa, e dal modo di raccontarla dell’autore – che non mi faceva incazzare ma anzi, mi restituiva sorrisi e silenziosi cenni di approvazione, che mi sento proprio di suggerirne la lettura pure a voi.
  • Eshkol Nevo, Pax Paloscia, Vocabolario dei dei desideri, Neri Pozza, 2020: micro racconti abbinati a illustrazioni che quasi ti verrebbe l’istinto di strappare dal libro e appendere in casa ma no ovviamente no. Un dono improvviso, inaspettato, che avvolge di ulteriore significato le frasi secche e precise di Nevo. Uno stile che non prediligo, ma che alla fine del libro si è dotato di senso, ed è riuscito a trasportarmi in luoghi e situazioni altre e a loro modo affascinanti, lasciandomi sospesa e con il cuore che vibrava.
Happy B.
  • Alan Pauls, Storia dei capelli, Edizioni SUR, 2012: Alan Pauls (il bonissimo Alan Pauls) era ospite all’edizione 2016 della Grande Invasione, per presentare in realtà Il fattore Borges. Ma a me piace sempre cominciare dall’inizio (anche se questo è il secondo volume della trilogia, ma il primo pubblicato da SUR). Insomma, Storia dei capelli è uno dei miei libri prefe, un continuum narrativo che non ti permette quasi di staccare gli occhi dalle pagine, un capolavoro, oh! Non riesco mai a dirlo in modo diverso: la letteratura sudamericana si invischia nella pelle e si fa sudore, brividi e materiale che ti spalanca i sensi verso pensieri e percezioni inimmaginabili fino a poche parole prima.
  • Yves Pagès, ricordarmi di, L’Orma editore, 2015: questo libro risale ai tempi di Roma. Fu presentato alla libreria minimum fax a Trastevere, non ne ho purtroppo ricordo (per l’appunto la dedica dell’autore dice “un libro di amnesia selettiva”: della serie, non avrei saputo dirlo meglio). Però le parole depositate su carta permangono, e questa raccolta di memorie sparse, piccole o grandi, divertenti o malinconiche, sono uno di quei gioiellini letterari che solo case editrici indipendenti e di ricerca possono pubblicare, e di cui noi possiamo godere.

Alla prossima, abbracci sudati,

B.

Di quando alla Grande Invasione c’era Alessandro Leogrande

In questi giorni a Ivrea c’è La grande invasione. Io ci sono stata nel 2016 con The Buzzing Page, facevo BlogNotes – ideato da Laura del Té Tostato, insieme a un sacco di gente carina (tra cui Francesca di Nuvole D’Inchiostro, Diana di Non riesco a saziarmi di libri, Andrea di Un antidoto contro la solitudine). Ma erano giorni strani, insomma facevo troppe cose, non ci stavo dietro. Non ci sono le cronache sul blog (su The Buzzing Page non facevo cronachine ma reportage lunghissimi – oh my), erano stati giorni pienissimi, avevo avuto tanto mal di testa, aveva piovuto in abbondanza. E non averli raccontati, così come non avevo raccontato il SalTo16, o il Festival di Gavoi, mi aveva generato un’ansia estrema. Perché contemporaneamente ne facevo altre mille. Mi riferisco a questo quando scrivo che le cose che faccio mi devono stare dietro, e non davanti. Che devo fare le cosine con calma. Mi riferisco a quell’anno, quando dopo i mesi di depressione avevo una voglia di vivere che spostatevi, non riuscivo a gestirla, la ingurgitavo bulimica, senza però fermarmi a elaborare quello che mi succedeva, a far sedimentare le cose, a godermi un giorno di vuoto, a prendermi cura delle mie emozioni. Facevo cose bellissime, ma senza rendermene conto davvero.

Comunque erano stati tanto belli, quei giorni di Ivrea, avevo partecipato a un sacco di incontri e conosciuto persone che, nonostante tutto, sono rimaste. Stavo imparando a fare quello che sto cercando di riprendere adesso, ovvero lavorare coi social. Mi piaceva tanto, mi piace ancora, voglio continuare a farlo. Avevo conosciuto le ragazze che curavano le pagine ufficiali del Festival, mi ero divertita tantissimo con loro. C’erano state cene con le genti dell’editoria, tante birre, tanti colori, tantissime idee. La grande invasione è un festival unico, si respira un’atmosfera incredibile e c’è una cura inimmaginabile nell’organizzazione. Cammini per le strade adorabili di questo posto in culo ai lupi in Piemonte e ti senti felice senza motivo, ci sono libri ovunque, balconi fioriti, piazzette luminose. C’è pace, c’è il chiostro di Santa Marta, ci sono luoghi che si aprono per l’occasione, ci sono colazioni letterarie, pranzi con l’autore, dopo cena ridanciani.

Quello che volevo dire però è un’altra cosa, ovvero che durante quei giorni del ’16 ho partecipato a un panel (allora forse non si chiamavano nemmeno così) in cui c’erano Goffredo Fofi, Paolo Cognetti, Alessio Torino e Alessandro Leogrande. Chi seguiva The Buzzing Page sa che Goffredo Fofi è il mio spirito guida, e trovarlo a ragionare con un gruppo di giovani scrittori meravigliosi fu uno dei momenti più ispiranti di sempre. Da qualche parte ce li ho gli appunti, ne sono certa.

leogrande

Ero rimasta talmente rapita che mi sono comprata subito La frontiera, e andai a farmi autografare il libro, timida. E poi l’ho letto. E lo so che nella Bolla lo sanno tutti ma ecco, vorrei dire che per capire il presente leggere Alessandro Leogrande è una cosa indispensabile che non bisogna smettere di fare. Perché dopo poco più di un anno da quel giorno lui non ci sarebbe stato più, e l’impatto della sua perdita è stato fortissimo, ma la cosa bella, invece, è che se ne continua a parlare, incessantemente (il 4 giugno ad esempio, a Cosenza, ci sarà il conferimento del Premio Sila’49 proprio in sua memoria: “La frontiera e l’umanità per Alessandro Leogrande”).

E visti i tempi, penso proprio che non debba passare manco un giorno senza che qualcuno ne parli. Quindi niente #scusatemavelovolevodire, visto che sono i giorni in cui l’avevo conosciuto. Andate alla Grande invasione, leggete Alessandro Leogrande. Io poi rimetto a posto le foto.

B.

Domitilla Pirro, Chilografia • Diario vorace di Palla

Quando leggo un libro bello mi sento estremamente fortunata. Arrivo all’ultima pagina un po’ confusa e incerta, e chiudo il volume con gli occhi vacui e la necessità di riportare al più presto su carta le sensazioni che mi ha lasciato. E poi, una volta che mi sono ripresa, succede che lo voglio dire a tutti, quanto è bello questo libro. Ecco, per Chilografia vorrei proprio fare dei manifesti pubblici da attaccare personalmente con la colla sui muri delle città, vorrei pilotare l’aereo che si tira dietro lo striscione con scritto “leggete il diario vorace di Palla!”, vorrei avere una libreria dove invitare Domitilla Pirro almeno una volta al mese per parlarne, vorrei poterlo votare per le Classifiche di Qualità dell’Indiscreto (oddio ma questo ho potuto farlo, che sciocchina!). E adesso vi dico perché:

  • Palma detta Palla detta Mina è la versione estrema di tutte noi. Nessuna esclusa, ma qualcuna più di altre. E avevamo bisogno che qualcuno ci raccontasse, anche se non abbiamo raggiunto i 147 kg.
  • Questa è una storia di disagio. E io nel disagio ci sguazzo. Disagio provincia e famiglie disfunzionali, what else?
  • Creare mondi che tengano e risultino sinceri e non posticci è la cosa più difficile in letteratura, ma anche quella che, se riesce, decreta insindacabilmente la riuscita di una storia. E il mondo di Palma è un microcosmo letterario potente.
  • Giocare con la lingua italiana è una delle cose che fanno gli scrittori che più adoro: qui c’è il dialetto laziale, che non risulta affatto disturbante perché utilizzato in maniera attenta e dosata, senza il quale non riesco a immaginare la narrazione: è un utilizzo significante.
  • Ritengo che ci sia un gran bisogno di questo tipo di letteratura: non edulcorata, non ripiegata in se stessa, non alla ricerca di vie facili per colpire il lettore, respingente in senso positivo: respingente rispetto a cose che ci si potrebbe rifiutare di affrontare, e che invece ti ritrovi davanti e boom, adesso ti ci scontri e muto (i disturbi alimentari, il sangue, la violenza, il disamore nei confronti di se stessi, il vuoto da colmare, il senso di inadeguatezza perpetuo che genera mostri).
  • Ho odiato e amato Palma. Non so se l’ho capita sempre. Non so se a volte non l’ho voluta capire. Le voglio un gran bene e ho provato dolore fisico in più di un passaggio. Tanta, tantissima inquietudine.
  • Una volta si diceva che è una lettura catartica, ora forse usa di più dire “ombelicale”, forse confondo le cose ma insomma: leggere questa storia vi smuoverà tutte le viscere.
  • Un racconto degli anni ’80, ’90 e inizi del 2000, così sincero, non fasullo insomma, è cosa di cui secondo me c’è profondo bisogno e per cui ringrazio, gioisco, esulto.

Poi c’è una parola che non è corpo e non è cosa. Che non si può contare. Che è e basta, e non è finito. È il sangue. Sangue non ha plurale.

Quindi, datemi retta, compratene e leggetene tutti. E poi, da bravi, scoprite anche il resto del catalogo di effequ, perché stanno facendo davvero i “libri che non c’erano”.

B.

 

Bill Bryson te la svolta

Mi piace leggere. Tipo abbestia. E quando arrivano quei periodi in cui o non hai testa per leggere determinati libri, o dopo due pagine ti addormenti, o incappi in una sfortunata serie di libri che ti fanno rimpiangere di non stare leggendo Anna Karenina, e senti nascere dentro di te un senso di vuoto misto a spaesamento misto a senso di colpa misto a “moriremo tutti”, c’è un’unica soluzione praticabile: rompere il vetro di emergenza e leggere Bill Bryson (il fatto che sia una cosa con la B rende tutto molto più coerente).

Bill te la svolta sempre. Bill non ti deluderà mai. Bill sarà sempre lì per te, pronto a fornirti storie incredibili che si leggono come un romanzo ma che sono invece reportage  su avventure meravigliose o fatti di vita raccontati dal suo inimitabile punto di vista. E poi Bill ha una delle facce più carine e coccolose di sempre, provate a dire il contrario se avete coraggio!

In case of emergency - Copia

Ecco, potete capire perché a scrivere un post ci metto gli anni, perché devo produrre queste cose idiote che però mi fanno morire dal ridere, quindi bene così. Insomma dicevo, il caro Bill mi capitò tra le mani proprio per caso, uno di quei libri che compri in libreria perché ti piace la copertina, fondamentalmente (e gli strilli sulla quarta fanno il loro dovere: potevo resistere a un “Bryson è straordinario nel raccontare l’America e le sue idiosincrasie. Serio e beffardo allo stesso tempo”, decretato dal The Guardian? Ovviamente no). Mai però mi sarei aspettata di innamorami così tanto di questo adorabile signore, ma soprattutto di sentire la necessità di consigliarlo a chiunque. Perché secondo me lui fa proprio bene, è come indossare un paio di occhiali (tipo quelli bellissimi che mi comprai io due anni fa a una bancarella di occhiali vintage pensando di essere miope, e invece no) e osservare (e giudicare) il mondo con occhi irriverenti ma accorti, stupiti ma consapevoli. Leggere Bill Bryson è divertentissimo, mi sono ritrovata più volte a ridere da sola come un tricheco asmatico, e fa quello che avrei desiderato fare tantissimo anch’io nella vita, ovvero guardare le cose e raccontarle come ti viene spontaneo fare, con un bel lessico, approfondimenti esterni ove necessario e una buona dose di stupidaggini nel mezzo.

Quindi: no recensioni, sì leggere tutti Bill. Io ho già dato con:

  • Notizie da un grande paese (prima edizione originale 1998, edito da Guanda nel 2017 con la traduzione di Isabella C. Blum). Raccolta di suoi pezzi per il The Mail on Sunday, una cosa che mi chiuderei in casa cinque ore di fila e li rileggerei tutti da capo.
  • America perduta (prima edizione originale 1989, edito da Feltrinelli nel 1993, con la traduzione di Amedeo Poggi e Annalisa Melania Galiazzo). Qui c’è Bryson che fa un viaggione deep down into the United States, cioè la provincia sfigata che io adoro, e fa tantissima impressione leggere cose di, ok teniamoci tutti per mano mentre lo dico, trent’anni fa.
  • Una passeggiata nei boschi (prima edizione originale 1997, edito da Guanda nel 2000 con la traduzione di Giuseppe Strazzeri). Questo è l’ultimo letto, è il racconto della rocambolesca impresa che il buon Bill e il suo amico Katz hanno deciso di compiere a caso (percorrere tutto l’Appalachian Trail), così come io a volte dico sì a cose del tutto fuori della mia portata, andando avanti bella convinta e rimanendo poi impantanata nel fiume come è capitato anche loro… ma poi tranquilli, se ne esce sempre. Mi ha insegnato tantissime cose, fatto rimembrare momenti belli trascorsi nei parchi nazionali statunitensi e confermato quanto nella mia vita io abbia bisogno di ridere e degli alberi.

Se avete letto altro della sua fortunatamente vasta produzione, ditemi senza indugio il vostro preferito, perché non vedo l’ora di attraversare un nuovo momento di disagio libresco e prendere in mano un’altra perla dell’amatissimo Bryson.

B.