No music on weekends @ Serre Torrigiani | 16.07.2020

Tutto stava nel ributtarmi nel mondo on-line con un tempismo che scansatevi (sempre, dalla luce). Grazie all’essere riuscita, dopo numero mesi quattro, a riaprire instagram senza terrore, ieri mattina ho scoperto che ci sarebbe stato il Grande Ritorno delle Presentazioni Live di effequ. A riaprire la stagione, il saggio pop di Gabriele Merlini, No music on weekends | Storia di parte della new wave, uscito a febbraio. Non mi sono promessa niente, non ho fatto squilli di trombe o grandi annunciazioni perché poi sai mai, però, alla fine, ce l’ho fatta. Mi sono traslata a Firenze, da cui mancavo sempre da numero mesi quattro (e un po’), e in qualche modo sono giunta in un luogo incantato, che penso non esistesse fino a tipo poche ore prima, sono fermamente convinta che sia stato creato dalla Fata Smemorina e che già adesso non vi sia più. Nel caso non fosse stato un sogno, il posto era questo.

E dopo aver attraversato un corridoio con le lucine dai cui lati spuntavano genti seminascoste da siepi di piante aromatiche, mi sono ritrovata in mezzo alle fresche frasche e alla verzura, circondata da pomodori e zucchine e dal banchino dei libri. Sarà che:

  • Era tipo la mia terza uscita ufficiale
  • Era la prima volta che rivedevo persone intente a fare una delle cose che più amo al mondo (parlare di libri)
  • Erano tutti BELLISSIMI e leggiadri e sorridenti e in carne ed ossa
  • Di quel libro ne avevo sentito parlare dall’autore una volta a cena lo scorso anno, e vederlo stampato mi ha fatta sentire una vecchia zia coi baffi orgogliosa della creatura
  • Vedere le persone a cui vuoi bene dopo quella che è sembrata una vita intera è una delle botte di felicità più belle che si possano avere

ma ecco, sono state due ore incredibili. Non sono riuscita ad ascoltare con attenzione (too much situation, quando sono arrivata mi è stato offerto di mettermi a sedere come agli anziani sui mezzi pubblici ed è stato magico), eppure mi è sembrato di cogliere in pieno le vibrazioni di benessere che arrivavano dal palco, era proprio una presentazione capite, la presentazione di un libro! Un libro che già da copertina e indice potrebbe finire, e invece per fortuna continua.

Momento prefe

Ieri tornata a casa, ancora inebriata dagli abbracci e dall’essere riuscita a sortire dall’Eremo senza conseguenze, mi sono sparata le prime trenta pagine, e con una banalità imbarazzante mi sento di dire che vi consiglio caldamente di farlo vostro. La mia non-competenza in materia mi fa fermare qui, perché davvero ho già scoperto una valanga di gruppi/parole/luoghi/cose/opere e omissioni che ignoravo del tutto e che mi hanno messo subito in sommossa la testa e, dannazione, che figata. Ed è una scrittura talmente serrata ed evocativa e densa che ha già quasi del mistico, e io sono super esaltata.

Perché, cercando riparo sotto un portico, è bene ribadirlo: una fetta essenziale di storia della musica è topografia di luoghi e analisi di spazi, sequenze di puntini che tra le pieghe delle mappe si uniscono e divergono restituendo informazioni imprescindibili riguardo movimenti giovanili, derive del gusto e rigagnoli di rumore

A fine libro, poi, ci sono sei pagine di discografia scritta fitta fitta, e mi sento già una persona migliore (in realtà mi ci sento per la dedica con disegnino, Zerocalcare attento che il Merlini spakka tutto).

B.

Lunedì, dicembre, piove, sto. Bene.

Il 2019 sta per finire e io ho appena buttato gli scontrini di aprile. La inizio toccandola piano. Questa vitah è buffa, ti sembra sempre di esser lì che ce la stai per fare, ti manca un attimo, stai per acciuffare il lurido cencio del calcinculo, sei a un soffio, e invece no: via che la giostra riparte più veloce, e te rimani fregato (sarei molto curiosa di fare uno studio approfondito sul numero delle volte in cui è stata usata questa metafora, tante suppongo, ma ora pure sticazzi).

Stavo per scrivere che è novembre e il vento sta cambiando, e invece no, è dicembre. Ed è pure lunedì. Ed è iniziato con classic combo, diluvio universale e bestemmie. Poteva andare TAT©, e invece è andata bene, è andata ecco, sono stata molto felice, poi mi sono riconcentrata sulle cose da fare, e adesso non vedo l’ora di essere a Happy Home. A proposito: #notmygatto ha latitato per una settimana intera e ne ho sofferto parecchio, ma ier sera me lo sono trovata in casa senza che me ne accorgessi, deve aver fatto proprio un balzo felino!

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Altre cose che mi preme molto dirvi:

  • Sono diventata ufficialmente, di nuovo, una di quelle persone che paga l’abbonamento annuale in palestra, ha sempre la borsa pronta, e poi non ci va per due settimane di fila. Può succedere, il mio problema è che ogni volta che torno mi sembra di essere stata via per epoche, vorrei salutare tutti, chiedere a ciascuna delle persone che la frequenta come sta, poi mi ricordo che non parlo con nessuno e che le conosco solo nella mia testa.
  • Sono tornata al cinema: era da quando ho visto tipo in anteprima mondiale Once Upon A Time in Hollywood a Novi Sad che non mettevo piede in una sala cinematografica, e insomma passi da gigante. Ho visto questo film, mi è piaciuto molto, io in quanto Bea ve lo consiglio assai.
  • Sono stata al Wom Wonderful Market, ed è stata una boccata di meraviglia: ed è bellissimo vedere che tutto è sempre lì al suo posto, anche quando avevo paura di essermelo persa. E io all’Officina Giovani cambio sempre faccia. Portarmi lì, ieri, è stata un’ottima idea. Ne ho blaterato su @tortadilatte, se vi interessa.
  • Sto riprendendo a leggere, non quanto vorrei, but still. Vorrei un po’ più silenzio intorno a me, sento tanto rumore, e allora non riesco a concentrarmi.
  • Mercoledì vado a Roma, c’è Più Libri Più Liberi, e sono tanto felice, anche se ho un po’ di ansiella, perché insomma non ci vado dal ’14, e ci saranno tantissime persone che voglio salutare, ma credo che la mia strategia sarà mettermi in un punto chiave della Nuvola e ostacolare il passaggio, così magari mi venite a sbattere addosso e ci salutiamo, io vi abbraccio e poi voi andate a fare felici le vostre cose. Che non ho tanta voglia di stare troppo al chiuso. Mi serve ossigeno, mi serve luce, mi serve muovere le articolazioni, che c’è umido e sennò faccio ruggine.
  • Oggi mi sono fatta un tatuaggio, anzi due. Sono due tatuaggi felici, li aspettavo da tanto, non ho sentito male (VE LO GARANTISCO SE CE L’HO FATTA IO POTETE FARCELA TUTTIIIIIIIIIII!), ho avuto un po’ di paura ma mi sono sparata in cuffia la musica trap, e me la sono rigovernata.
  • Ci sono vibrazioni positive nella Conca, e io mi sento un’antenna parabolica in disuso, devo tornare a ricordarmi come funzionano le onde buone.
  • Avevo un po’ di progetti, alcuni si sono auto-eliminati, altri sono in decantazione, altri ancora stanno prendendo forme diverse da quelle che immaginavo. Estarémo a vederecome dice Aracelio.
  • Invece la mia amica Francesca oggi ha dato via al suo, di progetto!: sono mesi che se ne parla, e allora adesso seguitela, amatela, diffondetela, supportatela, bookatela! Io ci credo abbestia, è una cosa importante.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

 

Mi dico di avere pazienza, che adesso tanto è dicembre, il mondo fuori è in corsa, frenesia portami via, ma io me la prendo con calma, che tanto, come al solito, non vado da nessuna parte.

B.

 

La presentazione di fine anno

Ieri c’è stata la presentazione del romanzo dell’EstateL’iguana era a pezzi di Giulio Pedani alla Piccola Farmacia Letteraria di Firenze, e per me è stata come la cena di fine anno scolastico. Quel momento in cui ci si vede, ci si saluta, si mette un punto alle cose, si chiudono i cerchi, ci si dice ci si vede a settembre e si può iniziare l’Estate. Sì, quel momento che quando il mondo era bello era in early June, mentre invece qui siamo in late July e siamo pieni pieni pieni ok? Sono arrivata a Firenze un po’ tesa, ma poi ho visto le genti belle, mi sono rasserenata, mi sono sentita a casa in quella minuscola libreria, mi sono accomodata sullo sgabellino Ikea accavallando le gambe come se dovessi giocare a signore e ho fatto la cosa che più mi piace fare, sentir ragionare di libri annuendo e sorridendo spasmodicamente.

Borsine Piccola

Segue cronachina veramente agile a vostro uso e consumo, cuori.

  • Luca Starita, che presentava l’incontro, ha esordito chiamando in causa, nell’ordine: Marco Balzano con Resto qui,  Paolo Cognetti con Otto montagne e Andrea Pomella con Anni luce, rispettivamente per la politica, il paesaggio e la musica che scandiscono la storia.
  • Io mi meraviglio sempre di come un romanzo possa far innescare i collegamenti più diversi e disparati: è una cosa che mi rende felice.
  • 25 luglio 2019 rimarrà nella storia come “giornata infame” in cui comunque un manipolo di irriducibili si è recato alla presentazione di un libro.
  • Effettivamente Giulio Pedani nel 2016 ha percorso la Via Francigena, e da lì è nato lo scheletro del libro. Poi ha fatto quello che sogno di fare anch’io da una vita fallendo miseramente, ovvero deviare dall’esperienza personale che rende la scrittura solo un diario poco interessante e costruire invece delle storie. Yasss.
  • È stato confermato ciò che avevo sperato, ovvero che Saltatempo di Benni fosse uno dei romanzi che aveva influenzato L’iguana. Non ci voleva molto a capirlo eh, ma insomma volevo sentirlo dire ad alta voce e così è stato ed è stato bellissimo perché poi insieme a StefanoAmoreMio sono seguiti Luciano Bianciardi, e Gianni Celati, ed Enrico Brizzi, e che gli vuoi dire?
  • Ma ci sono state pure influenze indirette e scoperte a posteriori, come quella di Joe Lansdale, da cui risultano “affinità clamorose, ma non fatte apposta eh!”.
  • Durante tutta la presentazione continuavano a venir fuori robe che mi facevano sospirare e insieme volare, tipo lo stretto legame tra lo scrivere e il camminare, perché sei continuamente distratto dalle cose incredibili che ti stanno intorno, e poi vuoi che rimangano, e allora avrei voluto alzarmi e gridare Giulio, te lo spiego io cosa può fare una donna innamorata della vita come me (questa la capite leggendo il libro eh), e invece alla fine ho solo timidamente chiesto come mio solito cose a caso, tuttavia complimentandomi per averci regalato la definizione di twerking più bella di sempre.
  • Abbiamo una listina di libri da leggere prima di morire made in Giulio Pedani che vi favorisco: A sangue freddo di Truman Capote, Revolutionary Road di Richard Yates e Il vecchio che leggeva romanzi d’amore di Luis Sepúlveda.
  • Lasciatevi comunque del tempo prima di trapassare per leggervi anche Guerra e Pace, che dice sia un bel romanzo.
  • Abbiamo anche vinto il saggio suggerimento di guardare Mulholland Drive di Lynch come se fosse un film dei Vanzina, con l’intento di mettersi l’animo in pace, smettere di farcisi i trip e vivere sereni.
  • Ho capito che io mi faccio coraggio nella vita pensando a Britney Spears che ha superato il 2007 come quelli più grandi e fighi di me lo fanno pensando a Iggy Pop che ha superato il 1976-1978.
  • Siena è un’allucinazione immensa e io penso solosolosolo a questo.

B.

Giulio Pedani, L’iguana era a pezzi • Tre vite lungo la Francigena

Quando ho letto il sottotitolo dell’ultimo romanzo targato effequ ho dovuto ricacciare dentro un grido di terrore: ho il trauma della Via Francigena dalla tenera età di 17 anni, quando al liceo venne una coppia di tizi cattolicissimi a raccontarci il loro pellegrinaggio lungo la Via Francigena, e io e la Maggica si rimase tramortite dal tedio e dal disagio, e non servirono le risate con cui provammo a esorcizzare il tutto: da lì in poi ho avuto il disgusto vero nei confronti di ‘sta cosa che pensavo fosse dedicata esclusivamente a religiosi fanatici, una setta di gente noiosa che scendeva verso la Capitale raccolta in preghiera. Grazie a uno scherzo della vita ho dovuto addirittura accogliere i pellegrini quando facevo il tirocinio alla biblioteca di Altopascio, e mettevo i timbrini sulla loro tessera pensando santinumi, e però poi portavo ‘sta gente un po’ matta e tutto sommato ganza alla foresteria offrendo loro la versione migliore di Bea Magia dell’Accoglienza. Un paio d’anni dopo ho scoperto invece che la Francigena sembrava essersi improvvisamente trasformata nella cosa più cool da fare tipo per ritrovare se stessi, e lì proprio mi partì l’odio cieco.

Ora, che io abbia dei problemi è pacifico, ma poi la verità è che ho solo bisogno di esser presa a ciaffate nel muso in modo da potermi ripigliare ma soprattutto riappacificare con le cose. Ebbene, curiosamente, ancora una volta, le ciaffate me le tira effequ, e bimbi io ve lo dico, questo per me è ufficialmente Il Libro dell’Estate 2019. Adesso vi spiego perché (per la trama, qui. Per una recensione vera, qui).

  • È un romanzo che mi ha ricordato chi sono, chi sono sempre stata e chi vorrò ancora essere: mi ha riportato al liceo, mi ha riportato agli universi delle canzoni, dei film e dei libri che mi hanno formata. Gli universi a cui appartengo.
  • È un romanzo che man mano che il testo si svela ti fa provare dei tuffi al cuore che Tania Cagnotto non si qualifica neppure. I gruppi di amici coi soprannomi. I vecchi al circolo. La provincia. Gli oggetti desueti. Gli elenchi di cianfrusaglie. La musica ammodo. La strada. Il cammino. La solitudine. La polvere. L’umorismo come garba a me. La nostalgia. La voglia. Gli aneddoti. Le incomprensioni. Le cose brutte. La rabbia.
  • È un romanzo in cui il paesaggio è il quarto protagonista. Perché è il paesaggio che vedi camminando, e ci sono delle cose che si vedono solo a piedi, e sono le cose che guardo anch’io. Nelle parole di Giulio Pedani, negli occhi di Cile, ho trovato i miei occhi.
  • È un romanzo che racconta davvero l’Italia, il Paese cui voglio un bene dell’anima ma che odio con altrettanta forza: L’iguana era a pezzi pulsa di vita, dentro ci sono le storie di tutti, ce ne sono tante, sembrano inesauribili, tuttavia non ti bastano, ne vorresti ancora.
  • È un romanzo allora che non vorresti finisse mai, e che quando finisce ti senti male.
  • È un romanzo che mi ha fatto pensare con precisione a tutte le persone da cui vorrei venisse letto.
  • È un romanzo che le cose te le fa vedere, leggendo non riuscivo a smettere di pensare Giulio Pedani raccontami la vita, ho sentito tutto, e io devo sentire sulla pelle, nel cuore, negli occhi.
  • È un romanzo che ha realizzato uno dei miei sogni più grandi: essere un maschio, nello specifico un maschio nato una decina d’anni prima di me (poi un giorno ‘sta cosa ve la spiego meglio).

Laura Pausini - Innamorata
Laura Pausini – Innamorata

 

A due settimane esatte dallo scioglimento formale della Democrazia Cristiana, ininterrottamente partito di governo dal dopoguerra a quel momento, nel grande castagneto del Bosco di Marmo cominciarono i preparativi per l’ennesimo cenone. Da molte stagioni ormai, per un’unica sera ogni estate, vi trasmigrava tutto il borgo. Non c’era niente da commemorare; nessuna processione in onore di qualche martire; neanche la classica sagra dei sapori tipici. Qualcuno, anni prima, aveva semplicemente deciso, all’apice della calura di agosto, di spostarsi lassù con sedie, radio, birra, ghiaccio, vino, salumi affettati, carte, scacchi e sigari. Poi aveva portato altri tavoli e altri amici.

Quindi adesso andate e accaparratevi ‘sta meraviglia. Leggetela con calma, piano piano, tappa tappa. C’è pure la mappetta, ci sono i disegnini che dividono i pezzi. E poi ne possiamo parlare insieme tantissimo e forever? Grazie.  

  • Giulio Pedani, L’iguana era a pezzi • Tre vite lungo la Francigena
  • effequ, 2019 (giugno)
  • Pp. 2304
  • € 15

B.

Effequ fa i libri belli, lo sapevate?

Cose che funzionano ogni tanto nella vita: fermarsi a riflettere sulle situazioni che si stanno vivendo. Ebbene, mi sono soffermata un attimo a pensare al perché, nel Grande Cerchio della (mia) Vita, sarò di nuovo a spacciare i librini effequ durante un evento letterario, in questo caso il più importante appuntamento dell’editoria italiana, il Salone del Libro (è la nostra Fashion Week amici, dateci agio). E mi sono fatta dei trip che vorrei condividere con voi.

L’editoria indipendente è ciò in cui credo, nonostante tutto. Ci sono molti modi di essere editori, e io su The Buzzing Page li stavo raccontando con miriadi di dettagli, interviste, approfondimenti. Da quando ho aperto Cose con la B dico a Francesco Quatraro e Silvia Costantino, editori effequ, “ora vi fo un’intervistina per il blog eh!”. Invece non l’ho mai fatto. È successo però che la pila dei loro libri crescesse e io me ne innamorassi sempre di più, e da qui l’illuminazione: ma che cosa meravigliosa non sono le storie che riescono a raccontarsi da sole? E io poi sono stupidina e sento il bisogno di condividerle. È questo che cerco di fare qui e in generale nella vita, condividere la felicità. Che di disagio ne abbiamo tutti già a sufficienza.

E allora la storia che sta raccontando effequ, che è stata sì fondata nel 1995 a Orbetello, ma l’anno scorso si è trasferita a Firenze (ed è questo che volevo farmi raccontare per bene, ma vabbè sono pur sempre una Bea), e che sta quindi festeggiando un anno dal nuovo corso, merita di essere conosciuta ancor di più. Perché per me, adesso, rappresenta la casa delle idee in cui credo fermamente – e insieme ciò che dovrebbe essere una casa editrice, ovvero bacino del nuovo e ponte di un pensiero.

Come sono le loro idee? Nitide, nette, nuove. Si fa una narrativa “leggera e inquieta”, si azzarda e si fa da vivaio per le nuove voci (e ve ne avevo parlato qui), si raccontano storie che scardinano l’ordinario o che vi si immergono totalmente, sempre con qualità e vocazione letteraria (leggi: sono alcuni dei romanzi più fighi che ho avuto fra le mani nell’ultimo anno e mezzo, fine). E si fanno saggi POP che, porca miseria, vogliono raccontare, capire, indagare veramente il mondo in cui stiamo vivendo qui e ora (ma anche tutti i mondi possibili). Sono saggi curati, approfonditi, ma estremamente fruibili. Al momento il mio preferito è uno, Non siamo che alberi, di cui non riesco a parlarne senza piangere ma io ho dei problemi.

effequ

E sapete qual è il segreto dietro le cose belle? Le persone belle. Altra visualizzazione: le cose le fanno le persone. Pazzesco eh? Dietro la merda, c’è spesso e volentieri la merda. Dietro la meraviglia, c’è quasi sempre la meraviglia. Eccezioni comprese. Perciò dietro a un logo efficace e accattivante ci sono due ragazzi di trent’anni (remember: dai 20 a 30, siamo ventenni; dai 30 ai 40, trentenni) che si fanno il culo. Perché oltre che ad essere una fucina di idee, la casa editrice è un’impresa. Le case editrici sono imprese, gli editori sono imprenditori. Lo so, è sconcertante anche questo, uh! E cosa fa l’impresa? Rischia. Vi sembra una cosa da poco, in codesti anni strambi?

Perciò non vedo l’ora di poter sproloquiare again and again di libri belli con degli sconosciuti come se fosse una cosa del tutto normale, e di mettere le mani sulle novità pazzesche che ci sono in catalogo.

Buone letture, alzando il volo.

B.

Rachel Khong, Bye bye vitamine!

Bye bye vitamine! è una specie di memoir: siamo quindi nella non-fiction, ovvero scrittori che parlano di fatti propri – che poi boh, penso che quando qualcosa si posa su carta destinata a un lettore che non sei tu diventa immediatamente fiction, narrativa, invenzione, diobonino letteratura se fatta ammodo, fate voi. Comunque. Si parla di malattia ed è una cosa che tendenzialmente non prediligo, temo il melò o la superficialità. Rachel Khong invece fa bene (come i calciatori) perché riesce a scrivere un diario infilandosi negli interstizi del disagio: fa emergere le piccolezze dell’Io, le paure ataviche, i pensieri meschini, ma anche racconta di momenti di dolcezza estrema che ti fanno venire voglia di abbracciare il primo che passa (o il gatto del vicino nel mio caso). 

Il tema del ricordo è preponderante ed è affrontato sia dal punto di vista di Ruth, la protagonista, che ha appena concluso una relazione – e cerca di riafferrarne pezzi, che da quello del padre, che appunto soffre di Alzheimer – e quindi mi inizia a fare cose a caso perché non si ricorda più come si fanno; le descrizioni sono minute e disarmanti, ironiche e delicate.

Una delle mie manie è proprio quella di ricordarmi tutto quello che succede, è una missione: diari, scatole, foto, pezzi di vita raccolti con amore, liste (e pagine bianche e vuoti e momenti di boh eh). Ho quindi trovato meraviglioso il taccuino su cui il padre di Ruth aveva scritto annotazioni su quando era piccina – ciò che lei gli chiedeva o cose buffe che faceva. Leggerle ti fa sorridere e chiudere un pochino lo stomaco. Sarà poi Ruth a fare la stessa cosa per il padre:

Oggi ti ho sorpreso in garage che mangiavi le pesche del kit di sopravvivenza per terremoti. Ti ho fatto compagnia. Abbiamo bevuto lo sciroppo e poi i pacchetti d’acqua.

Eccomi qua, a collezionare momenti al posto tuo.

Collezionare – credo sia questa la parole chiave. A meno che sia momenti.

Siamo poi in quel filone di letteratura americana delle piccole cose che io adoro, e quindi è un’ottima lettura per chi ama la provincia, la sfiga della provincia, il disagio della provincia. Le immagini che Rachel Khong ci offre sono nitide e le sensazioni che trasmettono ti si appiccicano addosso.

Infine ho goduto tantissimo a leggere la “Nota del traduttore”, in cui Silvia Rota Sperti ci racconta l’importanza che hanno le parole in questo romanzo, e di quanto l’autrice sia stata funambolica nel giocare con esse. Plauso a NNE per queste chicche.

  • Rachel Khong, Bye bye vitamine!
  • Titolo originale: Goodbye, Vitamin
  • Stati Uniti
  • Traduzione dall’inglese di Silvia Rota Sperti
  • NNE, 2019 (febbraio)
  • Pp. 192
  • € 17

B.

Ps. Grazie D. per questo super-regalo di compleanno <3.

Book Pride Milano – 2019 edition

Il Book Pride è giunto alla sua quinta edizione e corre veloce verso il podio di fiera che forse mette d’accordo quasi tutti gli attori del mondo libro (da chi i libri li fa a chi li legge). Chissà. Io di certo provo molto affetto nei suoi confronti, e se volete un mio agile recap su cosa sia questa manifestazione libresca potete leggere qui, se volete la cronaca della prima edizione la trovate qui, mentre, se non avete davvero nulla da fare, su quello del ’16 ne ho scritto per sempre, partendo da qui.

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Detto ciò, ecco a voi una serie di cose e considerazioni random sul week-end appena trascorso:

  • Location diesci: la Fabbrica del Vapore (che mi dicono di solito non brilli per qualità degli eventi ospitati) mi è sembrato un ottimo salto di qualità, anche se al Base ho voluto molto bene (ai Frigoriferi Milanesi invece solo solo alienazione). Bella storia i diversi ambienti, abbastanza bene le sale per gli eventi, molto bene l’aria che potevi respirare all’esterno – e poi io ho un debole per gli spazi industriali riconvertiti.
  • Location diesci/bis: cosa non secondaria, il trovarsi in uno dei miei quartieri prefe di Milano. Poter raggiungere in un attimo del cibo cinese untissimo (e condividerlo a sorpresa con un’amica che non mi aspettavo di vedere), fiancheggiare il Cimitero Monumentale e bersi un caffè da Otto è stato impagabile.
  • Ho conosciuto Laura Pezzino e mi sento un po’ un persona migliore: la presentazione insieme ad Alessandro Raveggi di Nero, il gatto di Parigi di Osvaldo Soriano, tradotto da Ilide Carmignani, prossima uscita LiberAria (che è di una bellezza che porta via), è stato un delicato e nostalgico sogno ad occhi aperti tra i tetti parigini e Buenos Aires. Bravi tutti.
  • Quella meraviglia di mia sorella non solo è una meraviglia, ma anche una lettrice ufficiale di mappe e una supereroina che salva le sciure milanesi con cappotto rosso che cadono in tram. Momenti di esaltazione massima.
  • Continuo a vedere Marco Rossari solo in eventi organizzati da Sur – a questo giro ha fatto un reading delle poesie di Lawrence Ferlinghetti (occhi a cuore) in occasione del suo centesimo compleanno (grande festa alla corte della City Lights Books).
  • Viva i giovani eh, ma le anziane allo stand Adelphi spostatevi tutti.
  • Sarò per sempre grata alla Zoe per la sciallanza hard-core che cerca di trasmettermi, per le uscite icastiche che prontamente mi segno #pernondimenticare, per gli aneddoti sulla vita milanese che fanno strabuzzare gli occhi a noi della Conca, per le lezioni di make-up e per i pattern del palazzo dove abita.
  • Consigliare i miei libri del cuore degli adorati effequ (grazie al vinello che ha camuffato il mio diventare rosso pomodoro) è stato tanto bello: fatemi parlare di libri che ho amato come se non ci fosse un domani e sarò una Bea felice.
  • Gli hipster milanesi mi sembra che godano sempre di ottima salute.
  • Spratarsi è sempre l’idea che te la svolta.
  • Seguire un panel sedute per terra dove donne fighe parlano di femminismo, pure.
  • Posso affermare con convinzione che il 60% degli incontri di questo Book Pride è stato presenziato da Violetta Bellocchio (stima e applausi).
  • La birra non era male.
  • O vai a sbattere nella gente che conosci, o incontrarsi con qualcuno senza accordi stringenti è impossibile (evviva per chi ho salutato, uffa chi no).
  • Ho comprato, senza rendermene conto, libri prevalentemente sudamericani: ciò vuol dire che ho un bisogno assoluto di evasione immaginifica (per l’evasione fisica ho preso libri che per ora rimangono top-secret, muahah!).

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Alla mia amica Fede e al mio portafoglio non piace questo elemento. 

B.

Ovunque sulla terra un’altra cena: cronache di una presentazione incrociata

Seguendo le regole del buon senso che ha ricordato quel giovanotto di Francesco Quatraro, editore della pluriamata effequ – per cui se sei under 40 sei un giovane scrittore, e se pubblichi per la prima volta sei un esordiente, nel felice contesto di Green,go! una bottega sostenibile in cui si servono pure dell’ottimo alcol e dei deliziosi aperitivi, in una serata di fine inverno gli autori fiorentini Simone Lisi e Marco Marrucci hanno presentato uno le fatiche letterarie dell’altro, e ne è venuta fuori una delle mie combo prefe, risate da lacrime e discorsi (involontariamente?) altissimi sulle cose del libro e quindi della letteratura e quindi della vita.

C’è da dire, lo ammetto senza pudore, che io a Un’altra cena O di come finiscono le cose (effequ, 2018) e a Ovunque sulla terra gli uomini (Racconti, 2018) voglio particolarmente bene, ed è stato molto bello sentirne parlare ancora, e in questa modalità ganzissima.

Ma ecco i tratti salienti della sit down comedy chiacchierata tra i due scrittori. 

  • I giovini scrittori si sono sinceramente piaciuti molto (e se ne sono pure stupiti).
  • Il Lisi alza le mani e dichiara di non saper mai rispondere alle domande.
  • Uno ha fatto editing innamorandosi (perché quando scrive poi non si capisce niente e allora torna indietro), l’altro ha scritto prima l’indice e poi l’opera.
  • In uno lo spazio sono le poche stanze di un appartamento, e si sta isolati come in un dramma di struttura aristotelica. Con l’altro si viaggia in posti lontanissimi e sconosciuti, come sfogliando un atlante.
  • In uno siamo estremamente dentro questo tempo – senza che ciò provochi il solito fastidio per un qui e ora posticcio, nell’altro c’è una a-temporalità immaginifica – senza che sia sganciata totalmente dalla realtà.

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  • La mia frase su Un’altra cena “Un libro che può leggere un adolescente ma anche la mi’nonna” è ormai diventata patrimonio comune, perché Marco Marrucci la cita non sapendo che l’ho pronunciata io che son lì nel mezzo. Divento rossa, moltissimo.
  • Le questioni, quelle urgenti, quelle che dividono, quelle che ti rimangono dentro giorni dopo aver finito la lettura: dove si fa colazione e perché? 
  • La filosofia che non impegna ma emoziona.
  • Ci sono molti modi per arrivare alla pubblicazione, checché se ne dica.
  • Se siete editori probabilmente mangiate alette di pollo davanti al pc, sudando per l’ennesimo manoscritto che vi intasa la casella di posta elettronica.
  • Andare al ristorante dopo le presentazioni piace molto a Marco Marrucci – così come il brivido di parlare del proprio libro a qualcuno che non ne sa assolutamente nulla.
  • T.S. Eliot ha subito dei maltrattamenti durante questa presentazione.

Io direi che non potete più stare senza aver letto questi funambolici talenti, no?

B.

 

Domitilla Pirro, Chilografia • Diario vorace di Palla

Quando leggo un libro bello mi sento estremamente fortunata. Arrivo all’ultima pagina un po’ confusa e incerta, e chiudo il volume con gli occhi vacui e la necessità di riportare al più presto su carta le sensazioni che mi ha lasciato. E poi, una volta che mi sono ripresa, succede che lo voglio dire a tutti, quanto è bello questo libro. Ecco, per Chilografia vorrei proprio fare dei manifesti pubblici da attaccare personalmente con la colla sui muri delle città, vorrei pilotare l’aereo che si tira dietro lo striscione con scritto “leggete il diario vorace di Palla!”, vorrei avere una libreria dove invitare Domitilla Pirro almeno una volta al mese per parlarne, vorrei poterlo votare per le Classifiche di Qualità dell’Indiscreto (oddio ma questo ho potuto farlo, che sciocchina!). E adesso vi dico perché:

  • Palma detta Palla detta Mina è la versione estrema di tutte noi. Nessuna esclusa, ma qualcuna più di altre. E avevamo bisogno che qualcuno ci raccontasse, anche se non abbiamo raggiunto i 147 kg.
  • Questa è una storia di disagio. E io nel disagio ci sguazzo. Disagio provincia e famiglie disfunzionali, what else?
  • Creare mondi che tengano e risultino sinceri e non posticci è la cosa più difficile in letteratura, ma anche quella che, se riesce, decreta insindacabilmente la riuscita di una storia. E il mondo di Palma è un microcosmo letterario potente.
  • Giocare con la lingua italiana è una delle cose che fanno gli scrittori che più adoro: qui c’è il dialetto laziale, che non risulta affatto disturbante perché utilizzato in maniera attenta e dosata, senza il quale non riesco a immaginare la narrazione: è un utilizzo significante.
  • Ritengo che ci sia un gran bisogno di questo tipo di letteratura: non edulcorata, non ripiegata in se stessa, non alla ricerca di vie facili per colpire il lettore, respingente in senso positivo: respingente rispetto a cose che ci si potrebbe rifiutare di affrontare, e che invece ti ritrovi davanti e boom, adesso ti ci scontri e muto (i disturbi alimentari, il sangue, la violenza, il disamore nei confronti di se stessi, il vuoto da colmare, il senso di inadeguatezza perpetuo che genera mostri).
  • Ho odiato e amato Palma. Non so se l’ho capita sempre. Non so se a volte non l’ho voluta capire. Le voglio un gran bene e ho provato dolore fisico in più di un passaggio. Tanta, tantissima inquietudine.
  • Una volta si diceva che è una lettura catartica, ora forse usa di più dire “ombelicale”, forse confondo le cose ma insomma: leggere questa storia vi smuoverà tutte le viscere.
  • Un racconto degli anni ’80, ’90 e inizi del 2000, così sincero, non fasullo insomma, è cosa di cui secondo me c’è profondo bisogno e per cui ringrazio, gioisco, esulto.

Poi c’è una parola che non è corpo e non è cosa. Che non si può contare. Che è e basta, e non è finito. È il sangue. Sangue non ha plurale.

Quindi, datemi retta, compratene e leggetene tutti. E poi, da bravi, scoprite anche il resto del catalogo di effequ, perché stanno facendo davvero i “libri che non c’erano”.

B.

 

Andrea Zandomeneghi, Il giorno della nutria

Cose che so di me stessa in maniera definitiva e categorica: non potrò mai avere un rapporto asettico con i libri. Ci provai una volta per scrivere una recensione che mi fu chiesta (e poi mai uscita), e mi sentii talmente estranea a quello che provavo a proposito del libro e a quello che volevo effettivamente dire che mi ripromisi che non sarebbe più accaduto. Ecco perché ormai la parola “recensione”, quando parlo di un libro sull’internet, si è svuotata del suo senso primario, è solo di comodo. Questa non è una recensione (ne stanno già fioccando una via l’altra, sono ordinatamente reperibili sulla scheda on-line di tunué) , è finalmente il racconto di una lettura che aspettavo di fare da anni – da quando cioè ho letto il primo folgorante capitolo su degli A4 sgualciti e poi da me riempiti di sottolineature e glosse durante il corso di scrittura alla Cité – e che adesso vorrei tantissimo che faceste anche tutti voi.

zando
Reperti storici di un certo rilievo – io fossi in voi terrei d’occhio anche la compagna di banco dello Zando

A fine ottobre Il giorno della nutria è stato presentato a Pistoia a L’anno che verrà: è lì che ho visto per la prima volta l’iconica copertina del romanzo d’esordio di Andrea Zandomeneghi, e assaporato l’attesa attraverso la lettura di qualche passaggio, il pubblico incantato e l’editor (giustamente) gasato. Quando Goodbook.it mi ha chiesto, a dicembre, di raccontare la novità editoriale da me più attesa del 2019, non ho esitato, indicando la nutria, i perché e i per come. Bene, i mesi son passati, il romanzo è finalmente uscito, io me ne sono impossessata e l’ho letto in una manciata di ore, fregandomene di centellinarmelo, sottolineandolo forsennatamente, riempiendolo di cuori ma soprattutto godendo tantissimo.

Sì, perché non solo il capitolo 0 e il capitolo 1 hanno raggiunto la perfezione, ma perché anche il resto del romanzo è pazzesco, nuovo, glorioso. C’è tutto quello che mi fa impazzire: un protagonista immerso nel disagio (Davide Aloisi) la provincia (Capalbio!) l’alterazione dei sensi (alcol analgesici psicofarmaci e thc) la commistione tra alto e basso il citazionismo i dilemmi esistenziali la realtà che si confonde col sogno personaggi al limite del grottesco (la madre allettata Eufemia, il nipote Giulio, la badante Dorota con il figlio Esteban, l’amico Emanuele, Don Stefano e altri ancora) la malattia l’ironia l’alterità la colpa lo sprofondare nel baratro l’accumulazione e le parole, le parole della lingua italiana che si ergono splendide sulla pagina e ti fanno smuovere le budella e prendere il dizionario. La sintassi, l’elaborazione strutturale della storia, l’assenza di manicheismo, l’assenza totale di espedienti narrativi del cazzo, il superamento del terrore di fare qualcosa di diverso, le cose che sono dette, il modo in cui sono dette, la necessità che fossero dette. E quella nutria mezza congelata e scorticata che fa da perno alla giornata (interiore ed esteriore, mio binomio prefe della letteratura) che ci viene raccontata dal protagonista Davide.

Respiro affannato e irregolare. Sembrò far capolino tra un’ispirazione e l’altra la fame d’aria, pessima in sé ma soprattutto segno di attacco di panico in agguato. Mi immobilizzai, chiusi gli occhi, provai a mappare la situazione, a darle forma, a prendere atto. Grande stronzata strategica: tutto era istericamente metamorfico, turbine d’ideazione mercuriale, la mente […] s’era frammentata sotto il segno dell’incoerenza […].

L’esordio di Andrea Zandomeneghi è uno spartiacque, qui lo dico, mi siete testimoni. E io che credo nei destini incrociati e nelle cose buffe della vita, non potrò mai smettere di gioire ripensando a quella primavera del ’16 in cui per la prima volta ho conosciuto la nutria.

B.