Lunedì, dicembre, piove, sto. Bene.

Il 2019 sta per finire e io ho appena buttato gli scontrini di aprile. La inizio toccandola piano. Questa vitah è buffa, ti sembra sempre di esser lì che ce la stai per fare, ti manca un attimo, stai per acciuffare il lurido cencio del calcinculo, sei a un soffio, e invece no: via che la giostra riparte più veloce, e te rimani fregato (sarei molto curiosa di fare uno studio approfondito sul numero delle volte in cui è stata usata questa metafora, tante suppongo, ma ora pure sticazzi).

Stavo per scrivere che è novembre e il vento sta cambiando, e invece no, è dicembre. Ed è pure lunedì. Ed è iniziato con classic combo, diluvio universale e bestemmie. Poteva andare TAT©, e invece è andata bene, è andata ecco, sono stata molto felice, poi mi sono riconcentrata sulle cose da fare, e adesso non vedo l’ora di essere a Happy Home. A proposito: #notmygatto ha latitato per una settimana intera e ne ho sofferto parecchio, ma ier sera me lo sono trovata in casa senza che me ne accorgessi, deve aver fatto proprio un balzo felino!

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Altre cose che mi preme molto dirvi:

  • Sono diventata ufficialmente, di nuovo, una di quelle persone che paga l’abbonamento annuale in palestra, ha sempre la borsa pronta, e poi non ci va per due settimane di fila. Può succedere, il mio problema è che ogni volta che torno mi sembra di essere stata via per epoche, vorrei salutare tutti, chiedere a ciascuna delle persone che la frequenta come sta, poi mi ricordo che non parlo con nessuno e che le conosco solo nella mia testa.
  • Sono tornata al cinema: era da quando ho visto tipo in anteprima mondiale Once Upon A Time in Hollywood a Novi Sad che non mettevo piede in una sala cinematografica, e insomma passi da gigante. Ho visto questo film, mi è piaciuto molto, io in quanto Bea ve lo consiglio assai.
  • Sono stata al Wom Wonderful Market, ed è stata una boccata di meraviglia: ed è bellissimo vedere che tutto è sempre lì al suo posto, anche quando avevo paura di essermelo persa. E io all’Officina Giovani cambio sempre faccia. Portarmi lì, ieri, è stata un’ottima idea. Ne ho blaterato su @tortadilatte, se vi interessa.
  • Sto riprendendo a leggere, non quanto vorrei, but still. Vorrei un po’ più silenzio intorno a me, sento tanto rumore, e allora non riesco a concentrarmi.
  • Mercoledì vado a Roma, c’è Più Libri Più Liberi, e sono tanto felice, anche se ho un po’ di ansiella, perché insomma non ci vado dal ’14, e ci saranno tantissime persone che voglio salutare, ma credo che la mia strategia sarà mettermi in un punto chiave della Nuvola e ostacolare il passaggio, così magari mi venite a sbattere addosso e ci salutiamo, io vi abbraccio e poi voi andate a fare felici le vostre cose. Che non ho tanta voglia di stare troppo al chiuso. Mi serve ossigeno, mi serve luce, mi serve muovere le articolazioni, che c’è umido e sennò faccio ruggine.
  • Oggi mi sono fatta un tatuaggio, anzi due. Sono due tatuaggi felici, li aspettavo da tanto, non ho sentito male (VE LO GARANTISCO SE CE L’HO FATTA IO POTETE FARCELA TUTTIIIIIIIIIII!), ho avuto un po’ di paura ma mi sono sparata in cuffia la musica trap, e me la sono rigovernata.
  • Ci sono vibrazioni positive nella Conca, e io mi sento un’antenna parabolica in disuso, devo tornare a ricordarmi come funzionano le onde buone.
  • Avevo un po’ di progetti, alcuni si sono auto-eliminati, altri sono in decantazione, altri ancora stanno prendendo forme diverse da quelle che immaginavo. Estarémo a vederecome dice Aracelio.
  • Invece la mia amica Francesca oggi ha dato via al suo, di progetto!: sono mesi che se ne parla, e allora adesso seguitela, amatela, diffondetela, supportatela, bookatela! Io ci credo abbestia, è una cosa importante.

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Mi dico di avere pazienza, che adesso tanto è dicembre, il mondo fuori è in corsa, frenesia portami via, ma io me la prendo con calma, che tanto, come al solito, non vado da nessuna parte.

B.

 

Bollettino sulle voci inside my head #14

Dieci anni fa ho fatto l’Erasmus. Potrei scartavetrarvi i coglioni su cosa pensi in generale della possibilità di poter trascorrere un periodo di studio all’estero, ma non lo farò perché penso sia abbastanza deducibile. Ho bisogno invece di far fuoriuscire le voci inside my head dopo che ieri ho cenato con i miei irlandesi – che non vedevo da cinque anni.

Qui è dove vi avevo raccontato delle condizioni in cui vertevo quando ero a Dublino, se volete rifarvi due risate. A peggiorare le cose c’era il mio stramaledetto e precocissimo senso del dovere, che mi aveva imposto il dazio del lavoro se volevo sbronzarmi ammerda nei week-end – sì, ho avuto un Erasmus difficile perché è molto difficile essere me, ed era ancora più difficile essere me quando non bevevo la birra – che grande idea l’Erasmus a Dublino, direte voi!

L’oscillazione perpetua e contemporanea tra forze totalmente opposte è un po’ una #storyofmyfuckinglife. Nel disagio irlandese ci sono state molte cose belle, tra cui il mio lavoro come nanny-italian teacher al piccolo Jack, che allora aveva due anni. Due anni sono pochi. Forse non mi rendevo conto di quanti pochi fossero, due anni. Ma io ne avevo venti, e forse non mi rendevo nemmeno conto di quanti pochi fossero, vent’anni. La situa: madre e padre irlandesi innamorati dell’Italia, tanto che ci si sono sposati e ci hanno pure comprato una casa per le vacanze – fatalità della vita, proprio nell’alta Toscana, e avevano pensato di affiancare al babysitteraggio del loro pargolo pure qualche nozione di italiano. Io ovviamente esaltatissima per tanto progressismo e tanta lungimiranza, ero alla mia prima esperienza lavorativa – e avevo una paura fottuta. Ma Julie mi ha sempre sorriso. Sempre. Dal colloquio alla cena di addio in un ristorante italiano dove suo marito mi fece sbronzare tantissimo – e io mi vergognavo un sacco perché pensavo forse che gli adulti non si sbronzassero ammerda, ahah!

Non mi ha mai fatta sentire una cretina, anche se non capivo bene la lingua, anche se andavo vestita come una homeless a tenergli il figliolo, anche se una volta l’ho chiamata con la voce spezzata perché avevo perso la mia paga nel suo vialetto – e lei mi pagò di nuovo, anche se una volta non sono riuscita a calmare il piccolo Jack a cui venne una crisi di pianto inconsolabile, e io allora piangevo con lui, lui voleva la mamma e io volevo casa, un concetto di casa che allora era del tutto generico e che ci ho messo dieci anni a definire.

Con Jack abbiamo fatto molti puzzles, ragionavamo di cose a caso e ci facevamo tante coccole. In quella casa di Blackrock avevo trovato la mia culla di benessere, e vi ottenni anche il più grande successo della mia vita. La passione di Jack era Finding Nemo, lo guardavamo a rotazione, ma io gli rompevo le palle interagendo con lui in italiano. Un giorno gli ho chiesto in inglese chi arriva adesso?, e lui mi ha risposto con un sonoro LO SQUALO!!! Lì mi sono sentita potentissima, abbiamo riso tanto, me lo sono spupazzata tutto, e ho raccontato questo aneddoto forse più volte di quelle che abbiamo visto Nemo insieme. E ieri, ora che ha quasi tredici anni, se lo è ricordato, e non si è nemmeno vergognato a dirlo, anche se poi ha passato gran parte della serata al telefono – ha tredici anni, lo dobbiamo solo lasciare perdere. Io mi sono dedicata alle sue sorelline – che nel frattempo si sono palesate al mondo, abbiamo avuto conversazioni stupende su tutta la loro esistenza, e alla fine hanno fatto come faceva il piccolo Jack (che ieri avevo paura mi mangiasse insieme alla sua pizza salsiccia e cipolla) gli ultimi giorni di Dublino: mi hanno abbracciata forte pregandomi di rimanere.

E quindi sì, rimango. E forse penserò anche a tornare in terra d’Irlanda per salutare la me, smostratissima, ventenne – e dirle che le volevo già bene.

B.

 

Proud to be B.

Nel 2015 ho attraversato un periodo di merda, non la solita merda in cui adoro sguazzare, bensì la depressione maggiore. Non è un dato importante se non per dire che quello che ti resta è una paura fottuta che risucceda. Mi sono detta che dovevo fare qualcosa di forte per scongiurare questo rischio, perché la prima volta che pensavo di esserne fuori non era vero per nulla. E quindi vabbè da quando ho iniziato il Bullet Journal a febbraio del ’17 è iniziato il mio periodo di “lavorare su noi stessi per migliorare”, e ho raggiunto dei traguardi importanti, tra i quali:

  • Riesco ad accarezzare i gatti, a prenderli in braccio, a provare stima nei loro confronti se non addirittura una forma d’affetto
  • Sono 161 giorni che non tocco una sigaretta (#serenità)
  • Ho affrontato tre primavere senza desiderare di togliermi la vita
  • Sto riuscendo a portare avanti dei progetti nonostante i miei svariati tentativi di autosabotaggio
  • Sono pronta per la prova costume, nel senso che io – io, IO, IOOOOOOO! penso che sia così. Il mondo continua a intervenire su questo corpo, io boh.

Per il momento direi che sono a posto. Perché, ultima illuminazione e poi non ne voglio più sapere almeno per altri cinque anni, ci sono invece delle cose di me che non cambieranno mai, alcune carine altre orribili, e ho capito che sono belle pure loro, che sono mie, e che mi caratterizzano da quando ho capacità di intendere e di volere. Ho una voglia matta di fare elenchi, di mettere punti e accanto cose, liste su liste di cazzi miei, sono in piena fase nostalgica anni ’90, è morto pure Mordillo che è tipo uno dei costruttori fondanti del mio immaginario, quindi capitemi. A giugno mi sono persa un attimo di vista e oh, mi sono spaventata un sacco. Avevo confuso un punto di arrivo con un punto di partenza. Non mi ero concessa di riflettere su delle cose che mi hanno fatto e mi fanno male. Mi ero dimenticata che avevo trovato la pace dei sensi a livello di elaborazione del disagio nel 2004, con i Verdena. Mi ero dimenticata di essere una tartarughina. Mi ero dimenticata che se ho un blog che ha come sottotitolo #sentolevoci e le riverso in rete, un motivo ci sarà. Per fortuna non mi ero dimenticata di avere dei meravigliosi salvavita Beghelli, che hanno funzionato alla perfezione, ed eccoci qui.

Il punto è che siccome ci penso già abbastanza da sola a praticare onanismo mentale, ho capito che non ho più voglia di subire le narrazioni false che vengono fatte su me stessa: purtroppo è inevitabile che le genti tendano a dire le cazzate, e allora invece di arrabbiarmi o provare desiderio di scomparire, voglio rivendicare. Voglio provare un po’ di sano orgoglio per quello che sono, e questo va a nozze con l’amore per il mondo rainbow che provo, anche quello, dall’alba dei tempi (forse perché mi sono innamorata di più uomini gay che etero, ma vabbè dettagli trascurabili) e, come ci insegna Wikipedia:

Gay pride or LGBT pride is the positive stance against discrimination and violence toward lesbian, gay, bisexual, and transgender (LGBT) people to promote their self-affirmation, dignity, equality rights, increase their visibility as a social group, build community, and celebrate sexual diversity and gender variance. Pride, as opposed to shame and social stigma, is the predominant outlook that bolsters most LGBT rights movements throughout the world.

Così sabato prossimo andrò al Toscana Pride a Pisa, e sarò favolosa e ballerò e riderò per sostenere chi rivendica il diritto di amare chi diamine gli pare ed essere come diamine gli pare. Sono discorsi lunghi che certo vorrei approfondire, ma fa caldo, e tra le cose che non cambieranno mai c’è che io d’estate non ce la posso fare, divento inaffrontabile. Però ve lo volevo dire, me lo volevo segnare. Perché è a questo che serve Cose con la B, a tenere traccia delle mie cose, fine.

Volevo fare un post totalmente diverso dove vi raccontavo ciò di cui sono orgogliosa di essere, e invece riesco solo a riassumerlo con parole manco mie, ma di chi mi ha fatto bene quando stavo male, perché se pensassi che tatuarsi le scritte fosse bello, mi tatuerei che sono una che “ce la mette tutta per costruire il mondo che vuole e non esita a tirar fuori le unghie se necessario”.

B.

Ps:

  • Un libro, anzi due: Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Bompiani 1989. Andrea Pomella, L’uomo che trema, Einaudi 2018.
  • Una canzone: Verdena, La tua fretta, da Solo un grande sasso, 2001.
  • Un film: Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris, 2006.

 

 

Bollettino sulle voci inside my head #13

Ho pensato eccoci, dannazione, è già finito maggio – ma una volta maggio non durava quanto gennaio, com’è possibile, ansia panico paura. Poi mi sono andata a leggere quello che avevo scritto prima di partire per il Salone e beh, avrei potuto scriverlo oggi. E non riesco ancora a definire se questo tende al bene bene o bene ma non benissimo o addirittura al male a tratti malissimo. Chissà.

Nella mia personale GORM (Grande Opera di Rinnovamento e Mutazione) sto cercando di prendere le cose con calma e lentezza, ma a volte proprio non si può, e quindi le ultime settimane sono state un po’ in modalità girandola sul terrazzo (quelle che non capisci mai chi le ha messe ma oh, ci sono ovunque) – una girandola di cose belle ma pure impegnative, di sonno intermittente, di pasti di plastica ma poi cenini rinfrancanti, di messaggi vocali infiniti, di incastri e parcheggi sbarazzini, di pioggia interminabile che ormai non mi scalfisce manco più e oggi mi sono vestita con una maglietta a maniche corte senza canottiera sotto perché magari se glielo fai capire che è praticamente giugno il Sig. Meteo si ripiglia.

Domenica ho pulito la mia casina e mi sono messa a riordinare i souvenir di questi giorni, programmi di eventi, cartoline, biglietti, libri che stanno lì ad aspettarmi pazienti. Ho il mio block notes con l’ananas e i brillantini colmo di parole e di pensieri che vorrei lasciare qui, e so che lo farò. Dopo l’aprile della visualizzazione dei traumi e della riappropriazione, maggio è il mese della rivendicazione. Di ciò che ero, di ciò che mi ero scordata di essere, di ciò che non avevo mai creduto abbastanza di poter essere, di ciò che ero sempre stata troppo pigra o distratta per essere.

La rivendicazione porta con sé i ricordi, e io apro le mie scatole divise per anno solare, o sfoglio ciò che sta dentro ai raccoglitori dell’Ikea – ritagli di articoli, appunti sparsi, foto, proto bullet journal, le mie dispense dell’università, e dico adesso tornate, tornate anche voi, mi avete aspettata qui dentro tutti questi anni bellini archiviati e protetti dalla polvere che riprendervi in mano ora è facilissimo e meraviglioso, e anche sorprendente, perché davvero mi dico brava Bea, ma bada te come eri avveduta, sembri una irrecuperabile gonfia, e invece… e invece tutto è al suo posto. 

Quindi sì, siccome sono giorni importanti, di inclusione di cose nuove, cose agognate, cose per cui ho capito che mai smetterò di combattere, allora me li volevo ricordare.

  • Mi sono goduta abbestia i giorni alla Polveriera per il IV Festival della Letteratura Sociale.
  • Ho visto Dolor Y Gloria e mi sono emozionata.
  • L’Oltrarno mi ha rapito il cuore – infiniti posticini, vicoli, piazze che si aprono all’improvviso, sensazione fortissima di scoperta come se mi fossi appena trasferita in una città all’estero e allo stesso tempo vertigine per non aver vissuto cose che comunque non avrei potuto vivere perché ero per forza di cose altrove (sempre per la serie è facilissimo essere me).
  • Sudare e cantare in palestra sembrando completamente cretina mi continua a far fare dei sorrisoni enormi.
  • Lo yogurt la mattina è una gioia che prosegue impertinente.
  • Il mio zainetto con gli elefanti me l’ha svoltata.
  • “Il neoliberismo ha i giorni contati”.
  • Quando il gatto del vicino non si manifesta provo cieca gelosia.
  • Continuo ad appuntarmi serie tv da vedere e mi autoconvinco di poterlo fare molto presto.
  • Pistoia spacca sempre i culi.
  • Ho votato nel terzo comune diverso della mia vita. A questo giro in una scuola elementare in collina, eravamo io i carabinieri e gli scrutatori, l’ho trovato molto romantico.

B.

Blossom-stalking e nuove prospettive

Oggi vi voglio raccontare di quando ieri mattina, visto che non avevo un cazzo da fare e dovevo prendere a schiaffi quell’urgenza di abbandonarmi a una morte lenta e dolorosa che si stava sempre più radicando in me, mi sono vestita abbastanza bene, mi sono truccata anche un pochino – ormai la me trentenne (sappiate che la me trentenne finirà al compimento dei 40, ho deciso che avrò trent’anni per un decennio raga) pretende che io vada in giro in modo da non sembrare una eterna scappata di casa (almeno almeno un po’) e ho fatto finta di avere avuto il divieto di usare la macchina, approfittando quindi della “domenica a piedi” per compiere il percorso che tutti i giorni mi porta dall’Eremo dove sono abbarbicata all’ufficio dove lavoro, che si trova a 8,4 km di distanza. Ah, i miei progetti assurdi! 

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Questo è l’Eremo che domina la Conca

Tutto questo aveva in realtà un obiettivo ben preciso: evitare di rischiare la morte per tamponamento o l’arresto della polizia stradale a causa delle mie improvvise inchiodate in mezzo alla carreggiata per fotografare gli alberi in fiore. La strada che scende la collina, si immette nella Conca e mi porta fino al lavoro, infatti, è disseminata da file di alberi in piena fioritura, un tripudio di petalini e boccioli e carnose magnolie che hanno iniziato a manifestarsi proprio a inizio marzo (lo so perché è in atto uno stalking pesante), e per tutta la settimana ho controllato l’andamento della fioritura con invio di diapositive e segnalazioni puntuali alla mia amica, in modo da tenerne traccia certa – entusiasta del fatto che il tutto fosse ancora al suo posto per l’assenza di vento e pioggia. Sì, lo sapete, è difficile essere me.

E così mi son detta Bea, è il momento, perché poi sta per piovere, fingiti viandante nonché reporter e godi della prospettiva diversa che i piedi ti possono offrire. E di quanto bello sia vedere il mondo in maniera lenta, scoprire angoli nuovi di una strada che fai tutti i giorni, di quanti “possibili scenari” si nascondano e poi siano pronti a manifestarsi in tutta la loro bellezza – o bruttezza. Complice una giornata grigia (e pure fredda), che è quello che io di solito mi aspetto dalla primavera – ma che quest’anno, per la prima volta, non mi turba, ho immortalato scorci di uno squallore che forse manco Sarajevo resi belli dai rami di ciliegio, il cielo bianco-sudicio frapposto all’esplosione rosa della magnolia – la cui visione non smetterà mai di provocarmi orgasmi multipli, ho sbirciato nei giardini degli altri, ho goduto perché la vita in collina mi provoca una sensazione di pace interiore che non mi sarei mai aspettata, ho fatto considerazioni tenero-apocalittiche sulla Conca  e su me stessa e dopo due ore e mezza di cammino e stop&go fotografici sono approdata in libreria, giusto in tempo per proteggermi dalla temuta pioggerellina (poi mi sono fatta venire a recuperare dai miei combinandoci un pranzo fuori – evvai con lo scrocco di pasti!).

Quindi ecco, vi lascio con del materiale fotografico che non ha subito nessun tipo di post produzione e con un invito in pieno stile Motivational Monday, quello ogni tanto di provare a guardare le cose da un altro punto di osservazione e con una nuova meraviglia – lo so che ve lo dicono tutti, però siccome siamo duri come le pigne verdi (come si dice in da Conca) ce lo scordiamo sempre, e invece talvolta è proprio la cosa che la svolterebbe drasticamente – e io adesso ho proprio bisogno di questa svolta.

B.

Bollettino sulle voci inside my head #6

Tarli mentali e dove trovarli: l’annosa questione della gestione dei pasti.

Credo sia giunto il momento di parlarne perché pensavo che il problema prima o poi sarebbe giunto a un felice capolinea, e invece no.

Le tappe del disagio

  • Nel 2007 faccio finta di abbandonare la Conca e mi trasferisco a Pisa per studiare all’Università. Si tratta dell’anno della “dieta cattiva”, quindi insieme al mio disagio-base porto nella mia prima casa da studentessa l’angoscia per il cibo. Agogno i pasti che si preparano le mie adorate coinquiline sarde, patisco la fame come da mesi a quella parte e infine esplodo davanti a un cornetto alla Nutella. Addio, ho bisogno di farmi una vita sociale, quindi sì alla mensa e ai cenini e alla scoperta dei sapori del Sud e delle Isole, no alla base proteica. Riprendo peso ma ritorno felice (e grazie a Sylvie imparo a cucinare).
  • Vogliamo davvero parlare dell’ansia che mi generava nutrirmi in Erasmus? Le cucine condivise che ogni tre giorni erano inagibili. Gli armadietti da cui le genti mi rubavano cose. L’orrore del cibo anglosassone, carissimo e senza senza sapore e che ti gonfiava e basta. I pasti consumati in camera perché avevo problemi a relazionarmi con le genti. La mensa dell’Uni che serviva chiaramente cibo per cani. I fast food ogni 100 metri. L’assenza di alternative sane e convenienti. Voglio regalarvi un raro momento di disperazione: io che con i soldi guadagnati dal babysitteraggio vado in un ristorante italiano, da sola, di domenica a pranzo, spendendo una cifra esorbitante per mangiare finalmente qualcosa di decente. Si capisce?
  • Il terzo anno dell’Uni, nel nuovo coinquilinaggio, inizio a prendere coraggio e forte di avere l’amica coinqui ci spalleggiamo per garantirci un’alimentazione migliore, improntata su salutismo, km zero e spezie. Va tutto bene finché non inizia un giro di aperitivi e cene moleste, che annienta i nostri sforzi di pasti equilibrati e alternativi. Però cucinare insieme era bello, è capitato che si facesse il minestrone, c’erano torte salate col tofu che adoravo, e uno degli highlights è indubbiamente l’aver cucinato le polpette di Serra delle Fate Ignoranti.
  • L’ultima tappa di vita da sola prima della specialistica (sono tornata a vivere dai miei), sono stati i quatto mesi a Copenhagen, meglio noti come “il periodo più bello della mia vita” (still). Ecco, di Copenhagen sottolineo l’entusiasmo di avere la Coop con il logo Coop, e una cultura del cibo del tutto differente rispetto a Dublino, per cui ero motivata e felice e le mie skills culinarie si facevano sempre più avanzate. In più la mensa dell’Uni offriva una sarabanda di verdure crude e cotte, e tutta la roba che ora va di moda anche da noi, ma nel 2010 lì mangiavano già come le instagrammer di punta di adesso. Quindi zero ansia da cibo, in più i momenti più belli sono state le cene indoor con contributi da mezza Europa, ci sfondavamo di cibo e di amore. Sì, ero una Bea davvero felice.
  • Nel 2015 c’è stato il baratro, la parentesi romana anticamera e incubatrice della morte. Il cibo, come sempre, ha rappresentato l’asticella del mio status mentale. Mi ero fissata di riperdere peso con una dieta assurda consigliatami dalla mia ex-suocera, preparavo pastoni e brodaglie che propinavo alla mia povera coinqui-amica e compravo cartoni di albumi. Poi è andata sempre peggio, non riuscivo mai a farmi pranzo, ricordo pezzi di pizza volanti, tramezzini scadenti, molto spesso niente. E poi il buio.
  • Ma attenzione, arriva il 2016, e bam!, vado a convivere. E tiro fuori la vera massaia che è in me, e non ce n’è per nessuno: complice il vivere in pieno centro storico con il mercato della frutta e della verdura sotto casa e un benessere economico dato dalla divisione delle spese, faccio la sciura comprando in bottega e propongo al mio amato manicaretti di livello altissimo, ma tipo tutti i giorni: pietanze da riviste di cucina, forno acceso fisso, grembiulino. Nota bene: avevo la lavastoviglie.

E in un attimo son passati più di dieci anni (merda), vivo da sola sull’eremo, sono costantemente a dieta e il benessere economico è finito.

  • Oscillo tra l’orrore del frigo vuoto e del nutrirmi a latte e cereali (quando c’è il latte – ormai senza lattosio), fottendomene altamente di me stessa, e l’ansia da prestazione per pasti super bilanciati perfetti e moderni e che coglioni basta semini voglio la pasta invece no.
  • Ho provato i NutriBees, non sono per me, ci ho sofferto molto, perché a voi piacciono e a me no?
  • Ho iniziato ad acquistare prodotti che mai mi sarei azzardata fino a poco tempo fa.
  • La Conca è drammaticamente sprovvista di luoghi adeguati alla pausa pranzo (problema enorme, enorme, facciamo qualcosa).
  • Il pasto a scrocco a casa dei miei è sempre un salvavita (ma da usare con parsimonia).
  • Andare in palestra quattro volte a settimana vuol dire che ho bisogno di quattro pranzi pronti e sani: è difficile, non ci riesco sempre, ci provo tantissimo, ho imparato dei trucchetti che mi aiutano.
  • (Guardo ore e ore di video sui meal-prep su Youtube)
  • Cucinare però continua a piacermi da matti, e per le occasioni speciali non mi tiro indietro e adoro dare sfoggio di quello che ho imparato a fare.

Vi prego, possiamo parlarne tanto tutti insieme? Come vi tenete in vita voi?

B.

Bollettino sulle voci inside my head #4

Visto e considerato che, come abbiamo avuto modo di affermare con forza, gennaio è il mese infinito per eccellenza, forse conviene un po’ fare il punto.

Anche perché vi volevo dire, nel caso non ve ne foste accorti, che non è ancora finito. Neanche domani lo sarà. Stiamoci vicini. Seguirà elenco di cose random, quelle mi piacciono tanto.

  • Ho affrontato l’inizio del nuovo anno con un piglio incredibile. Posso affermare senza incertezza che è la prima volta nella mia vita che i buoni propositi non sono solo inchiostro sparso a caso su carta ma il timone che dovrebbe governarmi la vita. Zitti tutti non lo diciamo troppo forte però applausi per me porca miseria.
  • Volevo aprire una parentesi sulla situazione palestra: forse voi non lo sapete, ma quando mi alleno (che già mi fa ridere usare questo verbo, ma in effetti si dice così) è il momento in cui le voci inside my head hanno modo di correre felici e senza freni (intervallate solo dalle bestemmie). Di conseguenza le mie espressioni facciali mutano di continuo, e ciò potrebbe già essere sufficiente per classificarmi come la strana di turno. Aggiungeteci che, quando ascolto la musica, canto; riesco a farlo solo muovendo le labbra, ma lo faccio sempre (a volte chiudendo gli occhi per esprimere maggiore intensità ma rischiando pericolosamente di perdere l’equilibrio). In più è un momento ottimo per ascoltare i vocali (altro che di dieci minuti), e tendenzialmente ci sarà sempre qualcosa che mi farà scoppiare aridere ragliare. In ultimo, mi potreste anche vedere vagare per la sala pesi trasportando con entrambe le mani un manubrio da 8 kg, ridendo da sola perché immagino la scena vista dall’esterno – e pensare a me che non riesco nemmeno a tenere in mano l’attrezzo con cui devo fare gli esercizi mi fa sbellicare.
  • Visto che tanto la mia alimentazione si stava basando sempre di più sulle Insalatissime Riomare (schifate per una vita, provate una volta per emergenza suprema, quindi ringraziate, benedette e comprate in stock) ho deciso di approfittare del codice sconto della mia influencer di fiducia (brave grazie ancora) e provare NutriBees. Mi arriva la prima mandata di cibo martedì prossimo e ho deciso che mi prendo questa responsabilità per tutti i single che hanno il sacrosanto diritto di non avere cazzi di cucinare ma che vogliono mangiare ammodo. Siamo nel 2019, dannazione. Vediamo come va.
  • La cultura di gennaio è stata ricca (grazie tante, ci sono a disposizione infiniti giorni!): cinque libri (tre belli bellissimi, uno una mmmerda e sto finendo Serotonina di Houellebecq che per ora in generale per me è un sì), due film al cinema (Santiago, Italia di Nanni Moretti stupendo dovete recuperarlo per forza, Maria regina di Scozia sì però dopo un po’ a me ‘sti film anche no, ma Saoirse Ronan straordinaria), una serie entusiasmante (Sex Education, produzione Netflix, in questo caso hype assolutamente sensato) e una rappresentazione teatrale (a Lamporecchio, La signorina Else della Compagnia Lombardi-Tiezzi a Lamporecchio, non so per quale corto circuito ciò sia avvenuto ma io ho goduto tantissimo).
  • Secondo voi quante volte di fila si può ascoltare una canzone su Youtube? No perché temo di aver abbondantemente superato il limite legale con Oroscopo di Calcutta. Vi giuro non so come uscirne aiutatemi.

Bene, la prossima volta che ci leggeremo sarà febbraio, non è una certezza meravigliosa?

B.

Bullet Journal – o del metodo che mi ha cambiato la vita

Il Motivational Monday di oggi è dedicato a una delle cose con la B che più ha influito sulla mia vita, ovvero il Bullet Journal.

Ne voglio parlare proprio nel post motivazionale che dovrebbe aiutarci a sopravvivere al lunedìdimerda perché, per me, rappresenta l’essenza stessa della motivazione – e sarei curiosissima di sapere, per voi, qual è la cosa che più di tutte vi spinge a voler fare bene come i calciatori.

Che cos’è il Bullet Journal?

Si tratta semplicemente di costruire la propria agenda da soli, come cazzo vi pare; di base è un metodo che si prefigge di aiutarvi a essere più organizzati e quindi più produttivi. È una cosa che è stata inventata, cioè proprio prima non c’era poi a un tizio (che si chiama Ryder Carroll) è venuta in mente e adesso c’è, e quindi in teoria ci sono delle piccole regole da seguire, ma in realtà la cosa meravigliosa del Bullet è il suo permettervi una libertà e una flessibilità assoluta nel fare cosa caspita volete.

Potete immaginare quanto l’internet sia pieno di spiegazioni, tutorial, suggerimenti in proposito – vi lascio giusto il link del video ufficiale di presentazione e vi dico che per me la Queen assoluta da seguire e venerare è Amanda Rach Lee.

Breve storia della mia storia d’amore

Vi voglio far capire bene, invece, che se dico che a me il Bullet ha cambiato la vita dico sul serio. Non mi ricordo come l’ho scoperto. Era marzo del 2017 e avevo un disperato bisogno di qualcosa di materiale che mi riconnettesse alla realtà dopo mesi di buio. Ed è avvenuto il miracolo.

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Questo era marzo del ’17

Lo sforzo di dover creare fisicamente l’agenda, il mettere nero su bianco i giorni di mese, la visione settimanale, le griglie per tenere sotto controllo le tue abitudini, le piccole liste quotidiane delle cose da fare, anche minime, microscopiche, e poi gli spazi dove segnare le cose belle, pagine libere per fermare i pensieri, o le riflessioni sul mese passato, gli obiettivi per quello successivo… tutto questo lo vedi crescere giorno dopo giorno, sei tu e soltanto tu che lo porti avanti, e credetemi, è stato la molla che mi ha permesso di riacciuffarmi.

  • Il Bullet non ti giudicherà mai. Non proverai mai la sensazione di essere guardato da pagine bianche abbandonate a se stesse, perché sei tu che decidi come impostarlo in base alle esigenze del momento. E questa per me è stata la svolta primaria che ha placato l’ansia cronica dello sfogliare le mie vecchie agende e vedere pagine e pagine intonse, pezzi di vita mai fermati e perduti per sempre.
  • Io, custode della memoria e adoratrice del culto della scrittura a mano, della diaristica, dell’organizzazione tramite liste e della cancelleria, ho sempre fatto il Bullet senza saperlo, in maniera scoordinata e su diversi supporti cartacei certo, e con questo metodo ho trovato il paradiso.
  • Se io ho trovato il paradiso, tutta la roba che avevo accumulato negli anni (pennarelli, penne colorate, washi-tape, ritagli di giornali, foto…) ha trovato finalmente uno scopo – e la mia creatività un luogo dove potersi riversare. Ma impazzano pure i Bullet minimalisti, bianco nero due linee e via: ve l’ho detto, la cosa sensazionale è l’assoluta libertà.
  • Il Bullet ti obbliga a prenderti del tempo per te stesso. Ed è un esercizio meraviglioso.
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Questo è gennaio del ’19

Insomma, sono già al mio terzo Bullet e credo di poter affermare con certezza che non riuscirò più a tornare alla (seppur adorata) Moleskine. Anche perché adesso mi sta dando la motivazione per fare una cosa per cui, se mi riesce, gli sarò debitrice a vita (e che se mi riesce ovviamente sbandiererò qui senza pudore).

Quindi grazie Bullet, ma grazie abbestia, ti voglio bene.

B.

Ps. se avete curiosità tecniche, ulteriori domande o pure insulti, non esitate a scrivermi!

Avete detto #tenyearschallenge?

Benissimo. Il 2009 è stato l’anno in cui ho raggiunto il mio massimo livello di mostruosità.

Sì, nel 2009 ero proprio smostrata, come si suol dire qui nella Conca.

  • Si dà il caso che fu l’anno dell’Erasmus a Dublino e, per non smentire in alcun modo le statistiche, ingrassai svariati kg, mangiando merda e non facendo alcun tipo di attività fisica (se escludiamo le corse da centometrista per rincorrere l’autobus 17).
  • Ricorderò per sempre i piatti pronti del Mark&Spencer, i sandwich con i pomodori e cetrioli e il prosciutto geneticamente modificati e le tappe fisse ai fast-food nel cuore della notte per fermare la fame chimica, o tutte le volte che semplicemente ingurgitavo cibo per noia.
  • Di conseguenza mi vestivo di merda, ma nel senso che proprio non avevo nessun tipo di coscienza rispetto al mio guardaroba e alla mia fisicità, a cosa potesse oggettivamente starmi bene e cosa no; chiaramente tutti capi di infima qualità, e inoltre a causa dei lavori che facevo (pulivo la casa vomitevole di una famiglia assurda, e facevo da babysitter al bimbo di una famiglia meravigliosa) ero quasi sempre in tuta, o infagottata in mille strati di cenci a poco prezzo, sempre – sempre i soliti. Mi ricordo perfettamente il disagio che provavo ad avere la consapevolezza di non riuscire ad andare in giro in maniera decente – disagio amplificato dal fatto che dovevo quotidianamente relazionarmi con gente che mi garbava, e mi sentivo talmente cessa che mi vergognavo a condividere con loro la stessa aria.
  • Avevo un taglio di capelli a casaccio, tendenzialmente capelli corti ricresciuti in maniera random; ho fatto un tentativo di parrucchiere ma provai un terrore tale che praticamente non cambiò nulla.
  • Ero reduce da Elvis – quella roba oscena che mi venne in viso sfigurandomi e generando il terrore della signora irlandese da cui facevo le pulizie – ho una cartella sul pc che ne testimonia l’evoluzione, mi chiedo come facessi a uscire dalla mia stanza; e inutile dire che truccarmi era un’opzione assolutamente non contemplata. Neanche quel filo di mascara che magari un microscopico aiuto me lo avrebbe dato. E se capitava di farlo, magari il sabato sera, sembravo una tossica.
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Diapositiva di uno dei giorni più felici in quel di Dublino

 

Tornata in patria, a giugno, per prima cosa mi sono tagliata i capelli, ma faceva così caldo che me li toglievo dal viso tramite una fascia da freakkettona che adoravo ma che proprio da dio non mi stava. Sempre struccata. Sempre sgraziata. Quantomeno però fu un’estate stupenda, amici feste concerti mare, che mi ricaricò abbestia e mi fece cominciare l’ultima parte dell’anno con un gas che spostatevi, e difatti non vi dico che sono diventata all’improvviso un cigno, ma insomma ho cominciato a starci un attimo più dietro (un attimo eh proprio, di strada ne avevo ancora taaaaaaanta tantissima), e ciò mi ha permesso di essere quasi (quasi) decente al primo appuntamento ufficiale con quello che sarebbe stato il mio ragazzo per i successivi otto anni. Rido ancora tantissimo se penso che proprio non ho resistito a dichiaragli che aveva avuto culo a iniziare a uscire con me in quel momento, visto che non facevo cagare come fino a pochi mesi prima. Lui ovviamente rimase molto interdetto e disorientato, devo davvero rivedere la scala di priorità nello #scusamatelodovevodire.

Quindi insomma, in dieci anni non mi sono sposata, non ho figli, ho un lavoro che voglio cambiare al più presto (tra l’altro a questo punto aiutatemi grazie), vivo da sola su un eremo e rido sempre ragliando ma, grazie al cielo, ho imparato, piano piano, a prendermi cura di me stessa, dentro per il fuori e fuori per il dentro, e non essendo mai stata una cosa naturale vi assicuro che è estremamente faticoso, ma poi anche tanto, tanto appagante.

B.

Bollettino sulle voci inside my head #2

Mi sembra arrivato il momento di dare una sistematicità a questo luogo virtuale.

Abbiamo sfangato la prima metà del primo mese dell’anno nuovo, e a me i giri di boa piacciono sempre un sacco: ti fanno riprendere fiato per poi darti l’ulteriore spinta per giungere alla meta.

Sto immaginando da parecchi giorni una Bea migliore, e posso farlo solo perché il 2018 è stato, finalmente, l’anno del cambiamento vero. Quanto è bello potersi celebrare con cognizione di causa! Soprattutto, dopo anni di inseguimenti e cadute e baratri e, ammettiamolo, gigantesche stronzate. Quest’anno l’ho iniziato in uno stato di grazia suprema, sebbene vi siano state vicende che avrebbero potuto impedirmelo. Invece no. Io con sorriso serafico e gatto del vicino acciambellato sulla mia pancia che faccio elenchi, punti della situazione e buoni propositi ragionati.

Un’immagine meravigliosa turbata solamente dal fatto che (per fortuna) ho già avuto modo di constatare che la gonfiaggine che mi contraddistingue non mi abbandonerà mai, tipo che dovevo andare a prendere mia sorella all’aeroporto e se per un caso accidentale non avessi sentito Madre sarei andata felice e contenta in direzione Pisa, mentre lei atterrava a Firenze. Mi faccio proprio ridere da sola.

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Obiettivi, dicevamo. Ne ho molti. E la cosa che mi piace di più è che proseguono i piccoli grandi traguardi (e gli insuccessi!) del 2018. Realismo. Consapevolezza. Consapevolezza è proprio la mia parola del 2019. L’ho scritta sul Bullet Journal (mio fedele alleato e amore sincero) e l’ho detta ad alta voce alle mie persone,  quindi sono pronta anche per buttarla nell’internet.

Insomma tutto questo per dire che vorrei provare a scrivere in maniera cadenzata su Cose con la B. Il lunedì vorrei dare aria al mio cervello con una sorta di Motivational Monday – vi giuro che ieri prima di addormentarmi avevo tutto perfettamente chiaro in testa e adesso non mi ricordo nulla!, boh, si vedrà, il mercoledì aggiornarvi sulle voci inside my head, il venerdì avere finalmente un minimo di utilità sociale ragguagliandovi su libri e dintorni. Sarebbe carino farcela, e io ci proverò :).

Vi lascio dandovi una notizia di cui sicuramente non potevate fare a meno: ho scoperto che il mio gruppo sanguigno è B positivo. Come possono non andar bene le cose?

B.