Lunedì, dicembre, piove, sto. Bene.

Il 2019 sta per finire e io ho appena buttato gli scontrini di aprile. La inizio toccandola piano. Questa vitah è buffa, ti sembra sempre di esser lì che ce la stai per fare, ti manca un attimo, stai per acciuffare il lurido cencio del calcinculo, sei a un soffio, e invece no: via che la giostra riparte più veloce, e te rimani fregato (sarei molto curiosa di fare uno studio approfondito sul numero delle volte in cui è stata usata questa metafora, tante suppongo, ma ora pure sticazzi).

Stavo per scrivere che è novembre e il vento sta cambiando, e invece no, è dicembre. Ed è pure lunedì. Ed è iniziato con classic combo, diluvio universale e bestemmie. Poteva andare TAT©, e invece è andata bene, è andata ecco, sono stata molto felice, poi mi sono riconcentrata sulle cose da fare, e adesso non vedo l’ora di essere a Happy Home. A proposito: #notmygatto ha latitato per una settimana intera e ne ho sofferto parecchio, ma ier sera me lo sono trovata in casa senza che me ne accorgessi, deve aver fatto proprio un balzo felino!

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Altre cose che mi preme molto dirvi:

  • Sono diventata ufficialmente, di nuovo, una di quelle persone che paga l’abbonamento annuale in palestra, ha sempre la borsa pronta, e poi non ci va per due settimane di fila. Può succedere, il mio problema è che ogni volta che torno mi sembra di essere stata via per epoche, vorrei salutare tutti, chiedere a ciascuna delle persone che la frequenta come sta, poi mi ricordo che non parlo con nessuno e che le conosco solo nella mia testa.
  • Sono tornata al cinema: era da quando ho visto tipo in anteprima mondiale Once Upon A Time in Hollywood a Novi Sad che non mettevo piede in una sala cinematografica, e insomma passi da gigante. Ho visto questo film, mi è piaciuto molto, io in quanto Bea ve lo consiglio assai.
  • Sono stata al Wom Wonderful Market, ed è stata una boccata di meraviglia: ed è bellissimo vedere che tutto è sempre lì al suo posto, anche quando avevo paura di essermelo persa. E io all’Officina Giovani cambio sempre faccia. Portarmi lì, ieri, è stata un’ottima idea. Ne ho blaterato su @tortadilatte, se vi interessa.
  • Sto riprendendo a leggere, non quanto vorrei, but still. Vorrei un po’ più silenzio intorno a me, sento tanto rumore, e allora non riesco a concentrarmi.
  • Mercoledì vado a Roma, c’è Più Libri Più Liberi, e sono tanto felice, anche se ho un po’ di ansiella, perché insomma non ci vado dal ’14, e ci saranno tantissime persone che voglio salutare, ma credo che la mia strategia sarà mettermi in un punto chiave della Nuvola e ostacolare il passaggio, così magari mi venite a sbattere addosso e ci salutiamo, io vi abbraccio e poi voi andate a fare felici le vostre cose. Che non ho tanta voglia di stare troppo al chiuso. Mi serve ossigeno, mi serve luce, mi serve muovere le articolazioni, che c’è umido e sennò faccio ruggine.
  • Oggi mi sono fatta un tatuaggio, anzi due. Sono due tatuaggi felici, li aspettavo da tanto, non ho sentito male (VE LO GARANTISCO SE CE L’HO FATTA IO POTETE FARCELA TUTTIIIIIIIIIII!), ho avuto un po’ di paura ma mi sono sparata in cuffia la musica trap, e me la sono rigovernata.
  • Ci sono vibrazioni positive nella Conca, e io mi sento un’antenna parabolica in disuso, devo tornare a ricordarmi come funzionano le onde buone.
  • Avevo un po’ di progetti, alcuni si sono auto-eliminati, altri sono in decantazione, altri ancora stanno prendendo forme diverse da quelle che immaginavo. Estarémo a vederecome dice Aracelio.
  • Invece la mia amica Francesca oggi ha dato via al suo, di progetto!: sono mesi che se ne parla, e allora adesso seguitela, amatela, diffondetela, supportatela, bookatela! Io ci credo abbestia, è una cosa importante.

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Mi dico di avere pazienza, che adesso tanto è dicembre, il mondo fuori è in corsa, frenesia portami via, ma io me la prendo con calma, che tanto, come al solito, non vado da nessuna parte.

B.

 

Per essere felici (questo settembre) ci vuole coraggio

Oggi qui in Toscana ricomincia la scuola, e allora mi sembra un ottimo pretesto per un Motivational Monday – anche perché, bimbi miei, ce n’è di molto bisogno: Lunedì è il giorno delle streghe e lo sarà sempre, ma qui la paura si guarda in faccia e ci si ride su.

Sono giorni strani, sono giorni complessi, sono giorni faticosi. Della serie che a volte vorrei solo stare sotto le coperte a piangere per la nonna, e un secondo dopo mi si apre un sorriso enorme e mi sale il momento Forrest Gump in cui vorrei solo camminare fino a quando non sono un po’ stanchina.

Sento settembre, settembre sono io, è il mio mese, da sempre, proprio perché era il mese in cui ricominciava la scuola, e a me andare a scuola piaceva tantissimo, anche quando non mi piaceva per niente. La scuola è sempre stato l’emblema di molte delle cose che sono, un misto di nerdaggine, curiosità, voglia di conoscere, e ansia da prestazione, terrore di deludere le aspettative altrui, disagio sociale, isolamento, ma insieme voglia di condivisione, passione, allegria. Non lo so, non lo so, vorrei avere tempo di pensarci ancora tanto, a queste cose, ma mi sto ritagliando giusto cinque minuti per fermarle, che mi devo rimettere subito al lavoro, perché per la prima volta da quando mi sono laureata alla magistrale è arrivato settembre e io ho qualcosa di concreto e bello da fare, non mi devo inventare niente, era già tutto pronto, ed è qualcosa che mi piace tantissimo, e mi sembra una conquista così enorme che no, non riesco a smettere di sorridere, perché avere da fare è bello, avere un obiettivo, credere in qualcosa di superiore, anche se non ho tempo per fare i lavoretti in casa, o per stare sdraiata sul pavimento ad ascoltare sempre le stesse canzoni, per sistemare tutte le cosine che ho accumulato durante il viaggio, per scrivere, di questo viaggio, per mettere a posto i vestiti, per smaltire la pila di libri che ho accumulato negli ultimi mesi (perché finalmente ho accettato il fatto che io in estate non leggo, fine), per fare liste di cosa c’è dopo.

Ma intanto ho rimesso le fodere al divano e da lì tutto in discesa, ho finito di postare le foto su instagram e vi dico, gioia tripudio e gaudio, trascorro notti meravigliose con #Notmygatto – che rende molto difficile la vita del mio futuro fidanzato, continuando ad alzare l’asticella del benessere che mi infonde, ho chiuso il disagio in camera da letto e posso fingere che Happy Home sia perfetta, ho trascorso una notte nel giardino di una biblioteca di provincia ascoltando racconti seduta su teli da mare di alto livello, ho visto l’ennesimo catartico, esplosivo concerto della Rappresentante di Lista, che poi è degenerato in un dj-set con cd della peggio musica fine Novanta anni Zero, che se mi avessero detto che un giorno sarei stata felicissima di ascoltare, ma proprio contenta matta, piuttosto mi sarei tirata giù dal Monte Serra, ho presieduto la Festa di Croci perché quando c’è la sagra, si sta alla sagra.

Dormo poco, ma bene. E siccome non vogliamo farci male, ce la sto mettendo tutta per abbrutirmi, sì, ma fino a un certo punto – perché tanto lo so, io se non mi abbrutisco non do il meglio, ma se mi abbrutisco troppo mi butto di sotto (sempre per la felice serie It’s not easy to be B.). Credo che l’unico problema reale sia che continuo da due mesi ad ascoltare Visiera a becco di Sfera ebbasta tipo in un loop infinito, vi prego aiutatemi, non riesco a smettere. Ah sì, non sono ancora riuscita a finire Orange is the new Black, dannazione. Ma anche se continua a fare caldo ho ricominciato a mangiare di gusto e, appunti per me stessa: scriverne in maniera approfondita. Ho voglia di fare dolci, di rimettere a posto casa, di rinnovare le cosine, di mettere via, fare spazio, perché è settembre, e quando a settembre non ho provato queste sensazioni poi è stata merda, la merda vera, di nuovo. Me lo sono ricordata ieri, anzi me lo ha ricordato Facebook riproponendomi un video che avevo realizzato per GoodBook.it in quanto The Buzzing Page. È stato stranissimo rivedermi. Non facile. Ma importante.

E allora adesso che ho quasi sconfitto la tisi (sono stata giorni sotto cortisone, quando siete malati fateci caso), una delle settimane più lunghe della mia vita è stata archiviata (un tutto a troie continuo), ho scoperto che l’okra mi piace da matti, che mi arrivano notizie di merda da ogni fronte, ma io continuo ad aver voglia di riappropriazione, voglia di stare fuori, voglia di camminare, di scoprire, ma pure voglia di stare dentro, di leggere, di colorare, di guardare compiaciuta i miei libri. Adesso che è un giro di schiaffi – e che la vita continua appunto a prendermi a ciaffate, è sempre più chiaro che non c’è altro da fare, senza bestemmiare zitto e non fiatare, perché non provavo questa sensazione di appartenenza e adesione a me stessa da anni, con in più il sollievo dell’essere finalmente consapevole dei miei limiti e non voler fare la super eroina a tutti i costi – che è faticoso eh, a combattere contro se stessi si dura una fatica che signoramia, ma mi metto le cuffie, ne ho comprate di nuove ed enormi, e via andare, basta autosabotarsi, guardare il cielo e sentirsi meglio, mi sono anche rimessa in pari con quello che è successo ad agosto grazie a PropagandaLive, che cosa voglio di più. Non penso, trattengo il respiro, studio l’apnea, penso alle cose belle, perché pensare a quelle brutte no bimbi, non ce la posso più fare.

E allora viva il Back to school, viva quell’ansiella da compiti da finire, viva la gioia di ricominciare, voler dormire ancora cinque minuti, preparare lo zaino, sentire l’emozione di un nuovo quaderno, credere che tutto potrà cambiare. Io ci credo davvero, mi sono resa conto di questo, e non ne provo vergogna.

Chissà cosa quante cose saranno cambiate quando arriverò a questa pagina del diario.

Lo scrivo ancora Maggica, puoi continuare a prendermi in giro <3.

B.

La mia più bella cosa mai successa

Avevo accennato durante i mesi passati al fatto che il Bullet Journal mi stesse aiutando con un progetto, e che se casomai fosse andato in porto ne avrei parlato. Ebbene:

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Posso dirlo? Posso dirlo. Ho smesso di fumareE come è potuto succedere, cara B., che sei una tabagista di merda che fumava un pacchetto di Lucky Strike al giorno e che non aveva mai – mai – mai desiderato smettere e che avrebbe voluto dare affettuose testate contro il muro a chiunque mi intimasse di farlo?

È successo a caso, come la maggior parte delle cose. Un giorno avevo la nausea e il mal di pancia e mi accendevo le cicche e le spengevo, una via l’altra. Così, tanto per, mi ero fatta du’ calcoli su quanto avrei potuto risparmiare se non fossi stata una tabagista di merda. Poi ho pensato al viaggio che volevo fare in estate, e a molte altre cose, le ho scritte, ne ho parlato con chi di dovere, e mi sembravano sensate. E allora ho detto dai. Così con un riserbo e un’incredulità e una non contentezza e un senso di sconfitta e irrealtà e una sensazione di resa e di nostalgia e tristezza e fine di un mondo ho proprio consapevolmente fumato l’ultima sigaretta. Ed è stato come quando le genti si lasciano perché si amano troppo, ma sanno che è davvero giusto farlo. Perché tra me e i cicchini c’era (c’è) una storia d’amore vera. Sì, son di fòri come i tegoli, lo sapete via. Però è proprio questo, bisogna che io sia onesta. Nessuno riuscirà a farmi credere che fumare non sia una cosa meravigliosa: perché i cicchini sono parte di quello che sono, ma forse era giunto il momento di essere proprio qualcos’altro, di cavalcare l’onda della Consapevolezza e provare a farcela. E avevo bisogno di una motivazione che davvero per me fosse dotata di senso – e il cash mi sembrava l’unica cosa che ce lo avesse. Mi sono scaricata una app che si è rivelata la svolta. Ho aspettato tre giorni, ho visto che continuavo a, e allora ho investito tipo 4 euro per la versione pro, con tutti i traguardini da sbloccare di volta in volta. Una specie di videogioco. Io faccio le garette con me stessa, e avere sotto gli occhi traguardi tangibili mi ha dato una carica diocrishto!, che proprio scansatevi.

Poi è successo che a un certo punto non avevo più la casa che sapeva di fumo, la macchina che sapeva di fumo, i vestiti, i capelli, l’armadietto della palestra, la bocca. Ho sofferto fisicamente. Ho sentito il raschino alla gola per molti più giorni di quelli che mi ero immaginata.  Banalmente, ho dovuto imparare ad affrontare la vita senza sigarette. Le genti. Le situa. La merda. La gioia. Il disagio. Le attese. Il nervoso. La pace. La contemplazione. L’euforia. Le sbronze. Il post orgasmo. Il caffè della mattina. I concerti. Le uscite dai posti. La digestione. L’ansiella. Le code in macchina. Le conversazioni di ore. I momenti di vuoto. I momenti di panico. I successi. Mi sembra tutt’ora così sorprendente che forse non ci voglio pensare davvero, però sono passati i 180 giorni che mi ero data per dichiararlo, e mi sembra giusto festeggiarmi ecco.

E quindi dico solo un grazie a:

  • QuitNow
  • I kinder cioccolato
  • Il gatto del vicino
  • Le mie persone che non mi hanno mollata per un attimo
  • Le persone a cui ho mandato vocali inutili ogni volta che all’inizio avevo voglia di accendermi un cicchino
  • Le persone che non mi hanno rotto il cazzo
  • I fumatori che non mi hanno fatto sentire sbagliata
  • Gli ex fumatori che non mi hanno fatto credere che un giorno avrei smesso di avere voglia
  • Chi mi ha accolta nelle sue pause cicchino anche senza cicchino
  • La palestra che ha dato un senso ai miei polmoni ritrovati
  • Chi mi fa sorridere tantissimo permettendomi di mostrare i miei denti non più macchiati
  • Il mio salvadanaio effettivamente pieno dei soldi con cui andrò in vacanza
  • La mia forza di volontà che mi permette di non fare manco un tiro, perché so che altrimenti ripartirei a fumare come una Bea
  • Il self love che mi permetterà di perdonarmi e ricominciare se quel tiro lo dovessi fare.
  • La mia pelle, che è PAZZESKA

Questo non è solo un Motivational Monday (se ce l’ho fatta io a fa ‘sta cosa voi bimbi davvero potete fare TUTTO, ANDATE E REALIZZATE I VOSTRI SOGNI CAZZO), ma pure un gigantesco #scusatemavelodovevodire. Perché è tipo la cosa più assurda che io abbia mai fatto nella vita. E non sono per niente contenta, ma sono contentissima.

B.

Proud to be B.

Nel 2015 ho attraversato un periodo di merda, non la solita merda in cui adoro sguazzare, bensì la depressione maggiore. Non è un dato importante se non per dire che quello che ti resta è una paura fottuta che risucceda. Mi sono detta che dovevo fare qualcosa di forte per scongiurare questo rischio, perché la prima volta che pensavo di esserne fuori non era vero per nulla. E quindi vabbè da quando ho iniziato il Bullet Journal a febbraio del ’17 è iniziato il mio periodo di “lavorare su noi stessi per migliorare”, e ho raggiunto dei traguardi importanti, tra i quali:

  • Riesco ad accarezzare i gatti, a prenderli in braccio, a provare stima nei loro confronti se non addirittura una forma d’affetto
  • Sono 161 giorni che non tocco una sigaretta (#serenità)
  • Ho affrontato tre primavere senza desiderare di togliermi la vita
  • Sto riuscendo a portare avanti dei progetti nonostante i miei svariati tentativi di autosabotaggio
  • Sono pronta per la prova costume, nel senso che io – io, IO, IOOOOOOO! penso che sia così. Il mondo continua a intervenire su questo corpo, io boh.

Per il momento direi che sono a posto. Perché, ultima illuminazione e poi non ne voglio più sapere almeno per altri cinque anni, ci sono invece delle cose di me che non cambieranno mai, alcune carine altre orribili, e ho capito che sono belle pure loro, che sono mie, e che mi caratterizzano da quando ho capacità di intendere e di volere. Ho una voglia matta di fare elenchi, di mettere punti e accanto cose, liste su liste di cazzi miei, sono in piena fase nostalgica anni ’90, è morto pure Mordillo che è tipo uno dei costruttori fondanti del mio immaginario, quindi capitemi. A giugno mi sono persa un attimo di vista e oh, mi sono spaventata un sacco. Avevo confuso un punto di arrivo con un punto di partenza. Non mi ero concessa di riflettere su delle cose che mi hanno fatto e mi fanno male. Mi ero dimenticata che avevo trovato la pace dei sensi a livello di elaborazione del disagio nel 2004, con i Verdena. Mi ero dimenticata di essere una tartarughina. Mi ero dimenticata che se ho un blog che ha come sottotitolo #sentolevoci e le riverso in rete, un motivo ci sarà. Per fortuna non mi ero dimenticata di avere dei meravigliosi salvavita Beghelli, che hanno funzionato alla perfezione, ed eccoci qui.

Il punto è che siccome ci penso già abbastanza da sola a praticare onanismo mentale, ho capito che non ho più voglia di subire le narrazioni false che vengono fatte su me stessa: purtroppo è inevitabile che le genti tendano a dire le cazzate, e allora invece di arrabbiarmi o provare desiderio di scomparire, voglio rivendicare. Voglio provare un po’ di sano orgoglio per quello che sono, e questo va a nozze con l’amore per il mondo rainbow che provo, anche quello, dall’alba dei tempi (forse perché mi sono innamorata di più uomini gay che etero, ma vabbè dettagli trascurabili) e, come ci insegna Wikipedia:

Gay pride or LGBT pride is the positive stance against discrimination and violence toward lesbian, gay, bisexual, and transgender (LGBT) people to promote their self-affirmation, dignity, equality rights, increase their visibility as a social group, build community, and celebrate sexual diversity and gender variance. Pride, as opposed to shame and social stigma, is the predominant outlook that bolsters most LGBT rights movements throughout the world.

Così sabato prossimo andrò al Toscana Pride a Pisa, e sarò favolosa e ballerò e riderò per sostenere chi rivendica il diritto di amare chi diamine gli pare ed essere come diamine gli pare. Sono discorsi lunghi che certo vorrei approfondire, ma fa caldo, e tra le cose che non cambieranno mai c’è che io d’estate non ce la posso fare, divento inaffrontabile. Però ve lo volevo dire, me lo volevo segnare. Perché è a questo che serve Cose con la B, a tenere traccia delle mie cose, fine.

Volevo fare un post totalmente diverso dove vi raccontavo ciò di cui sono orgogliosa di essere, e invece riesco solo a riassumerlo con parole manco mie, ma di chi mi ha fatto bene quando stavo male, perché se pensassi che tatuarsi le scritte fosse bello, mi tatuerei che sono una che “ce la mette tutta per costruire il mondo che vuole e non esita a tirar fuori le unghie se necessario”.

B.

Ps:

  • Un libro, anzi due: Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Bompiani 1989. Andrea Pomella, L’uomo che trema, Einaudi 2018.
  • Una canzone: Verdena, La tua fretta, da Solo un grande sasso, 2001.
  • Un film: Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris, 2006.

 

 

København, Granducato di Toscana

Sarà l’ennesima settimana difficile, e allora voglio iniziarla con un Motivational Monday di quelli belli carichi. Vi ricordate il post sulle fiere di primavera sfigate? Ecco, dimenticatevi tutto. Il fine settimana appena trascorso mi ha proiettata all’improvviso nel mio posto nel mondo, l’Europa del nord. Avete presente la sensazione di avere tutto intorno a voi esattamente ciò che desiderate? Io sì, ma l’avevo provata solo quando vivevo a Copenhagen (e al massimo a Milano – sono anni che dico che quando andavo a Milano mi sembrava di sbarcare in Europa).

Bella Vista Social Fest – Villa Bellavista, Borgo a Buggiano (Pistoia)

Come faccio a spiegarvi cosa ha significato crescere ed essere adolescenti nella Conca della Morte? Dove non c’era nulla nulla nullaaaaaa. Aggiungeteci che all’epoca il nostro capoluogo di provincia, Pistoia, era soprannominato Tristoia. Per dire. Adesso Pistoia è il place to be della vita, ma vi garantisco che negli Anni Zero era impraticabile. Ecco, figuratevi la Val di Nievole. Aiutatemi a dire sfiga. Con tutto l’affetto possibile eh (ma pure no). E quindi per fare le cose si emigrava, si andava nelle altre provincie che avevano le cose fighe, che poi però, puff, sono sparite. Quanti festival sono morti (Arezzo Wave, Marea Fucecchio, giusto per)? Quanti locali hanno chiuso (il Cencio’s a Prato, Il Dresscode nel pisano)? Ecco, a una certa me sono andata via dal Borgo. Chi poteva andarsene se ne andava amici: è la dura legge della provincia.

Ma poi è successo che l’anno scorso ho deciso di tornare, e quindi di restare, e ci voglio credere in questa Conca, ho dei progetti su di lei dannazione. E quindi vedere che c’è qualcun altro che ci crede e organizza una cosa come il Bella Vista Social Fest (che poi era all’interno di un’altra manifestazione cuore, Sgranar Per Colli) mi fa piangere dalla gioia. Le lucine. Lo street food adorabile. Le birre buone. L’artigianato fatto ammodo. I concertini ganzi (con tanto di fangirlismo spinto da parte delle ventenni fiKe, io vi amo). Esposizioni, installazioni. Zero shabby-chic demmerda. Sembrava di essere a un matrimonio country-moderno organizzato nei minimi dettagli. I vasi di vetro coi fiori freschi. I pallett e le balle di fieno per sedersi. Le sedie bianche in ferro battuto. Grazie.

Queste foto sono di Fotoclub – circolo di confusione, perché le mie facevano amabilmente cagare. Andate a godere sulla loro pagina che ce ne sono tantissime altre.

Oltrarno – Firenze 

Solo un breve cenno perché su questo ci faccio un post a parte. Ma volevo dirvi che ho bevuto la mia prima birra in Piazza Santo Spirito dopo aver visto per la prima volta Piazza del Carmine di giorno con una luce pazzesca e un mercatino che mi sembrava di essere a Friburgo (sì, esattamente a Friburgo), e niente, la felicità. Ed era il primo giorno di caldo dopo maggembre. Un benessere che non si descrive.

WOM Wonderful Market – Corte Genova, Prato

La ciliegina sul travolgente effetto-Europa (riscontrato anche da giovani e rinomati scrittori fiorentini che si sono spinti con mezzi di fortuna fino alla provincia pratese) è stata la domenica al Wonderful Market. Non avevo idea che esistesse Corte Genova, e mi informerò ancora meglio. Intanto cliccate e amate pure voi. Domenica 2 giugno ci hanno fatto questo mercatino vintage, ma anche di artigianato figo, ma pure di illustrazioni, arredamento, e vinili, e poi c’erano i libri ganzi, e mostre d’arte, e ti insegnavano a fare cose artistiche, e c’era pure qui lo street-food con gli apini, e c’era l’orto urbano, e tutto questo post industriale che mi ha ricordato La Fabbrica del Vapore dove hanno fatto l’ultimo Book Pride, e un cielo blu stupendo e il venticello e la birra, la birra. Come l’ho scoperto? Perché c’è stato il reading di Forme d’autore, e quindi c’era tantissima Toscana di provincia, ma contemporanea. C’era il contemporaneo. E io ho pensato di essere a Christiania, perché oltre al visual dj c’erano le famiglie giovani coi bimbi piccini e tantissime barbe (c’era pure un barbershop estemporaneo!) e tanti vestiti colorati e camicette con stampe invidiabili. E non c’era la sensazione di posticcio, di chiuso, di finto. C’era solo una voglia di condivisione meravigliosa, e di bello, e di buono. E non ero oltreconfine. Ero a Prato.

E stavo bene, non volevo morire, non pensavo che la domenica fa schifo, non pensavo a “quello che non c’è”, non pensavo ai “passeggini rotolare e gente comperare quello che non può avere”. Quindi forse – forse, ce la possiamo fare.

B.

Ps. Grazie alla mia amica Silvia per la compagnia, le chiacchiere, la lotta vs il disagio.

Come rivalutare il mese più crudele ma anche no

April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.

La lettura dei primi versi di The Waste Land, l’ultimo anno di liceo, è stata una delle cose più potenti della mia vita. Mi sono sentita finalmente capita e quindi benissimo ma poi sopraffatta dal vuoto e quindi malissimo. Che bella l’adolescenza. Insomma c’era un tizio che partendo dalla crudeltà di Aprile aveva scritto uno dei capolavori della letteratura mondiale. Ganzo. Io poi La terra desolata l’ho rinfilata ovunque, la mia edizione economica è consumata e provo un amore patologico sia per Eliot che per ogni singola parola e ogni singolo concetto che ha espresso, quindi potete capire il mio turbamento da quando, a partire dal ’16, al mese di Aprile ho cominciato a volergli un po’ bene: stavo tradendo uno dei miei padri letterari, dannazione! Eppure quest’anno inizio il mese (e la stagione) che più ho odiato per anni con un benessere e una serenità che a ogni ora mi tasto il polso per verificare che non stia per crepare. Mi importa una sega della pioggerellina e del freddo improvviso dopo giorni di sole. Ho imparato a vestirmi a seconda delle diverse situazioni, ad accettare le escursioni termiche che manco nel deserto tra giorno e notte. Ho imparato a scrollarmi di dosso un po’ di culo pesante e uscire anche solo per stare al parco a leggere. Ho imparato a fottermene se in una giornata di sole che grida en plein air ho bisogno di stare sotto il piumone – mica lo si può abbandonare così senza un po’ di margine per farlo abituare al suo ritorno nell’armadio, d’altra parte.

Per fortuna è però rimasta intatta una delle mie più grandi idiosincrasie nei confronti della primavera: il pullulare di fiere sfigate. Non appena le temperature iniziano a farsi più miti, infatti, è tutto un tirar fuori gazebi e sistemare la propria mercanzia invenduta dagli ’90 sui banchi; che nella mia testa ho invece un susseguirsi di deliziosi mercatini francesi, organic markets, o quelle bancarelle a Copenhagen o nelle cittadine tedesche piene di oggetti in legno chiaro, biglie, fiori freschi avvolti da carta di giornale e pane caldo coi semini, e invece no.

Con il ritorno della primavera, noi abitanti della provincia italiana ci meritiamo bancarelle di robe brutte: pasta di mandorla vecchia e dolciumi appiccicosi, foulard con fantasie di Klimt o Van Gogh, orrenda bigiotta da cesse e scacciasogni color evidenziatore, orrenda bigiotta “altertantiva”, piantine di terza scelta che muoiono solo a guardarle, targhette con nomi e varie robe per camerette bimbi di pessimo gusto, minerali e gioielli tardo fricchetoni, centrini e tendine, borse/borsellini fatti a maglia (perché?), oggettistica inguardabile di robe riciclate, tutte cose in legno d’ulivo, roba in pannolenci, porta-pane coi gufi, creme sfigate QVC style, bigiotteria per tamarre, prodotti NEOLIFE, gioielli fai da te, pellame triste, bamboline in pasta di sale, formaggi del centritalia, delizie siciliane, perline postcoloniali, massaggi alla cervicale e barbie rivestite da battone e ghirlande con fiori finti, il re dei bomboloni, borselli e bracciali da uomo, porchetta, alberi della vita in tutte le salse, birre artigianali fatte in cantina, bavaglini ricamati e porta cose per infanti dipinte male, salami stagionati in grotta, sottoli forse risalenti ai primi anni ’10, bijoux in plexiglas, taralli e giganteschi caciocavalli pugliesi, superfood sovrapprezzati, plotoni di cinture, manufatti con tessuti africani aka artigianato etnico, pecorini nostrani, miele di toscana acquistabili alla Coop, robe strane da colorare per pubblico incerto, foulard bamboo, cactacee brutte, bambole inquietanti, saponette alla lavanda, diffusori aromaterapia emozional-motivazionali, nani da giardino da tavola, portachiavi agghiaccianti, giochi in legno noiosi.

Vedere ‘sta roba tutta insieme è un serio attentato alla mia ricerca di stabilità mentale, tuttavia posso continuare a far parte del team aprile mese più crudele, evviva!

B.

Blossom-stalking e nuove prospettive

Oggi vi voglio raccontare di quando ieri mattina, visto che non avevo un cazzo da fare e dovevo prendere a schiaffi quell’urgenza di abbandonarmi a una morte lenta e dolorosa che si stava sempre più radicando in me, mi sono vestita abbastanza bene, mi sono truccata anche un pochino – ormai la me trentenne (sappiate che la me trentenne finirà al compimento dei 40, ho deciso che avrò trent’anni per un decennio raga) pretende che io vada in giro in modo da non sembrare una eterna scappata di casa (almeno almeno un po’) e ho fatto finta di avere avuto il divieto di usare la macchina, approfittando quindi della “domenica a piedi” per compiere il percorso che tutti i giorni mi porta dall’Eremo dove sono abbarbicata all’ufficio dove lavoro, che si trova a 8,4 km di distanza. Ah, i miei progetti assurdi! 

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Questo è l’Eremo che domina la Conca

Tutto questo aveva in realtà un obiettivo ben preciso: evitare di rischiare la morte per tamponamento o l’arresto della polizia stradale a causa delle mie improvvise inchiodate in mezzo alla carreggiata per fotografare gli alberi in fiore. La strada che scende la collina, si immette nella Conca e mi porta fino al lavoro, infatti, è disseminata da file di alberi in piena fioritura, un tripudio di petalini e boccioli e carnose magnolie che hanno iniziato a manifestarsi proprio a inizio marzo (lo so perché è in atto uno stalking pesante), e per tutta la settimana ho controllato l’andamento della fioritura con invio di diapositive e segnalazioni puntuali alla mia amica, in modo da tenerne traccia certa – entusiasta del fatto che il tutto fosse ancora al suo posto per l’assenza di vento e pioggia. Sì, lo sapete, è difficile essere me.

E così mi son detta Bea, è il momento, perché poi sta per piovere, fingiti viandante nonché reporter e godi della prospettiva diversa che i piedi ti possono offrire. E di quanto bello sia vedere il mondo in maniera lenta, scoprire angoli nuovi di una strada che fai tutti i giorni, di quanti “possibili scenari” si nascondano e poi siano pronti a manifestarsi in tutta la loro bellezza – o bruttezza. Complice una giornata grigia (e pure fredda), che è quello che io di solito mi aspetto dalla primavera – ma che quest’anno, per la prima volta, non mi turba, ho immortalato scorci di uno squallore che forse manco Sarajevo resi belli dai rami di ciliegio, il cielo bianco-sudicio frapposto all’esplosione rosa della magnolia – la cui visione non smetterà mai di provocarmi orgasmi multipli, ho sbirciato nei giardini degli altri, ho goduto perché la vita in collina mi provoca una sensazione di pace interiore che non mi sarei mai aspettata, ho fatto considerazioni tenero-apocalittiche sulla Conca  e su me stessa e dopo due ore e mezza di cammino e stop&go fotografici sono approdata in libreria, giusto in tempo per proteggermi dalla temuta pioggerellina (poi mi sono fatta venire a recuperare dai miei combinandoci un pranzo fuori – evvai con lo scrocco di pasti!).

Quindi ecco, vi lascio con del materiale fotografico che non ha subito nessun tipo di post produzione e con un invito in pieno stile Motivational Monday, quello ogni tanto di provare a guardare le cose da un altro punto di osservazione e con una nuova meraviglia – lo so che ve lo dicono tutti, però siccome siamo duri come le pigne verdi (come si dice in da Conca) ce lo scordiamo sempre, e invece talvolta è proprio la cosa che la svolterebbe drasticamente – e io adesso ho proprio bisogno di questa svolta.

B.

Le nuove classifiche di qualità – o di come motivarsi pensando all’editoria

Il Motivational Monday di oggi è un featuring con il post del venerdì, quello sul Magico Mondo dell’Editoria. Perché ragazzi, chi può ispirare più motivazione della più grande industria morente italiana?, che nonostante tutto è lì, c’è, ci crede, gli editori che sono imprenditori investono soldi, e poi ci sono addirittura dei pazzi che la finanziano acquistando i loro prodotti (i libri! i libri!), ci sono operatori editoriali che organizzano cose, ci sono persone che aspirano a lavorarci (tipo la sottoscritta), ci sono ancora i critici letterari, ma c’è anche tutto un nuovo mondo di profili instagram stupendi dedicati ai libri, per non parlare del lavoro di librai e bibliotecari.

Insomma, se vi sentite scoraggiati, pensate a tutto l’universo che ruota intorno al libro e rinfrancate i vostri animi, perché sicuramente loro stanno peggio di voi ma ci credono abbestia, quasi quanto i testimoni di geova (loro non li batte nessuno).

Forse è proprio per questo motivo che sono così legata a questo mondo, ora che ci penso: io e l’editoria abbiamo la stessa indole, entusiasmo a manetta ma contesto disagiato, il non rinunciare a crederci ma scenari che dovrebbero scoraggiarti in tre due uno, unicorni e arcobaleni e schifo rivoltante. Però con tutte le contraddizioni e realtà distorte e le cose che non capirò mai, ne sono sempre innamorata – e si va a finire sempre lì, l’amore ti frega sempre. Anche perché negli ultimi cinque anni ho conosciuto persone pazzesche; una di queste è Vanni Santoni, scrittore, editor, docente di scrittura e soprattutto, appunto, uno che ci crede abbestia, sempre con una nuova idea in testa e fatti di qualità a coronamento delle idee.

Ecco, per farvi capire: il buon Vanni ha smosso ben sessantasei critici e gli ha fatto quattro domande sullo stato della critica e del romanzo in Italia. Il tutto è stato promosso e pubblicato dalla rivista L’Indiscreto: è un lavoro immenso, necessario, che ha avuto parecchio riscontro, e che ha motivato Vanni Santoni a continuare dritto e a rilanciare, sempre con il patrocinio dell’Indiscreto, le cosiddette “Classifiche di qualità”, dove un gruppo di “grandi lettori” voterà i libri italiani del periodo ritenuti migliori, in contrasto con le classifiche ufficiali di vendita. Ma ecco il comunicato stampa ufficiale:

La rivista culturale L’Indiscreto rilancia le “classifiche di qualità” con duecento giurati dal mondo letterario e editoriale.

Le classifiche di vendita dei libri parlano sempre meno di letteratura, perché sono condizionate dalla massiccia presenza di prodotti editoriali costruiti per cavalcare l’interesse del momento.
Per questo motivo, dal 2009 al 2013 il festival Pordenonelegge e il premio Dedalus avevano istituito le “Classifiche di qualità”, dove un nutrito gruppo di “grandi lettori” votava periodicamente quelli che a suo avviso erano i migliori libri usciti in quel lasso di tempo.
La rivista culturale L’Indiscreto, edita dalla Casa d’Aste Pananti, ha oggi deciso (col placet dei fondatori della prima versione) di rilanciare sotto il proprio patrocinio una nuova edizione delle “Classifiche di qualità”.
A partire dai critici interpellati in una grande inchiesta sullo stato della critica letteraria ad opera dello scrittore Vanni Santoni, l’autore e la redazione si sono operati per ricreare un gruppo di “grandi lettori”, che, oltre ai succitati critici e alle scrittrici e agli scrittori italiani che si sono offerti di partecipare, si estende anche a riviste letterarie, librerie indipendenti, giornalisti culturali, editor e altri operatori del settore, per un totale di 200 giurati. Un numero destinato ad ampliarsi con le nuove edizioni, in modo da garantire una classifica sempre più affidabile.
La nuova Classifica di qualità dell’Indiscreto sarà stilata tre volte l’anno, a metà dei mesi di febbraio, maggio e ottobre, secondo intervalli proporzionati agli archi della produzione editoriale, e interpellerà i votanti in merito ai migliori libri italiani di prosa, poesia e saggistica del periodo immediatamente precedente.
I giurati si esprimeranno con tre voti per ogni categoria; a ogni primo posto saranno assegnati nove punti, cinque al secondo e tre al terzo. Conclusa la votazione, la redazione calcolerà i risultati per poi pubblicare i risultati su L’Indiscreto.
A fine anno si aggiungerà un voto extra sui migliori libri in traduzione.
Scopo di queste classifiche è fornire ai lettori un utile indicatore sui titoli più meritevoli secondo gli addetti ai lavori, di cui è stato scelto un campione capace coprire una grande varietà di interessi e competenze, in numero sufficiente da diluire nella statistica i danni di eventuali partigianerie.
L’industria editoriale ha risposto alla crisi continuando nell’errore di una produzione eccessiva e accelerata, che rischia di far scomparire in breve tempo titoli più che degni di rimanere negli scaffali. Quel che ci proponiamo con queste classifiche, è di ostacolare questa tendenza e riportare l’attenzione sui libri di qualità, che non di rado rischiano di essere travolti in questa escalation.
E visto che sono in giuria (che cosa bella, che felicità), come hanno fatto già altri giurati voglio fare la mia dichiarazione sui criteri di voto che seguirò – che altro non sono che il mio approccio consolidato alla lettura degli ultimi anni:
  • Privilegio dell’editoria indipendente
  • Focus su romanzi/racconti: sulla poesia contemporanea non sono ferrata, sulla saggistica solo se c’è qualcosa che avrei letto comunque.
  • Privilegio su quello che a mio parere vorrei che leggesse una persona a cui voglio bene. Che è esattamente quello che faccio con i libri di cui parlo qui.

Dai che ce la facciamo tutti. Dai che le cosebelle resistono.

B.

Fare le cose da soli è una figata

* Disclaimer * : mentre la mia mente partoriva questo post ha generato anche delle sotto-disquisizioni a proposito del genere. Tutto il ragionamento che segue è infatti concepito in generale nella vita, non è rivolto solo alle ragazze o solo ai ragazzi. Come abitudine personale quando uso il genere maschile lo faccio seguendo la norma grammaticale che vi include anche quello femminile. Non mi sono mai garbati gli asterischi in fondo alle parole, abbiate pietà. Quindi seguo la lingua italiana, anche quando è effettivamente stronza. #scusatemavelodovevodire

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Il Motivational Monday odierno (il primo di febbraio, urrà, siamo a febbraio) tratta un tema a me molto caro. Ci sono tantissime cose che non sono in grado di fare, ma quelle poche che invece so fare ritengo valga la pena condividerle: si danno sempre per scontate cose che invece non dovrebbero esserlo, perché lo sono per te ma chiaramente non per gli altri; ancora, la caratteristica che più adoro nel genere umano è la mutevolezza, la spinta al cambiamento, l’opportunità del nuovo, sempre, per fortuna.

Tutto questo per dire che parlando con le genti mi sono stupita di quanto non sia scontato per tutti fare le cose da soli, una roba che per me invece, a un certo punto della vita (molto precocemente credo) è diventata del tutto naturale. Perciò vorrei fare un piccolo e agile elenco sull’argomento.

  • Fare le cose insieme è bellissimo, ed è bellissimo, in modo diverso, fare le cose da soli: non è una gara né una lotta, e si può convivere con entrambe le modalità. E lo dice una che è una bestiolina sociale e adora essere circondata da amici o amori o sconosciuti (sì lo sapete che parlo anche coi muri), ma che gode altrettanto quando è completamente sola con se stessa.
  • Nessun discorso che non avete voglia di sentire, nessun compromesso su orari, spostamenti o decisioni logistiche varie, nessuna ansia o aspettativa se siete stati voi a proporre la cosa, nessun malumore, e se qualcosa va male ve la prendete solo con voi stessi.
  • La meraviglia di scoprire nuove parti di voi. La soddisfazione di non esservi lasciati scappare qualcosa cui tenevate perché non vi ci veniva nessuno. Perdersi ed entusiasmarsi e continuare a cercare.
  • Non bisogna obbligarsi a fare le cose da soli, ma se non si è mai provato a farle magari vale la pena: ultimamente sto scoprendo delle cose di me stessa sulle quali non avrei puntato un soldo bucato, e di cui chi mi conosce si sta stupendo assai; perciò è sempre bello darsi una possibilità e provare, sempre per la grande regola che almeno se si capisce di detestare qualcosa vi si può inveire contro con cognizione di causa.
  • Se si pensa di non essere fatti per fare le cose da soli ma si è comunque incuriositi, si può iniziare dalle situazioni in cui, grazie alla modernità, a nessuno fregherà cazzi se non siete in compagnia: il cinema è un ottimo punto di partenza. E poi via via non potrete più farne a meno, ed è un attimo che mi andrete a Parigi, a vedere Dirty Dancing a Londra, in un ristorante fighetto a Roma, a vedere Keith Haring a Milano, al concerto di Mika di Pistoia, alle presentazioni di libri a Firenze.
  • Non bisogna essere per forza single per fare le cose da soli. Non è un ripiego e soprattutto non è una sconfitta. È una scelta, una caratteristica che ti appartiene e a cui non devi rinunciare se sei fidanzato, se ti fa stare bene, perché poi è merda.
  • Mangiare da soli non è reato. Da nessuna parte. Non è da sfigati e se vi fanno sentire tali gli sfigati sono evidentemente loro.
  • Prendete il mondo e andate  <3.

B.

Bullet Journal – o del metodo che mi ha cambiato la vita

Il Motivational Monday di oggi è dedicato a una delle cose con la B che più ha influito sulla mia vita, ovvero il Bullet Journal.

Ne voglio parlare proprio nel post motivazionale che dovrebbe aiutarci a sopravvivere al lunedìdimerda perché, per me, rappresenta l’essenza stessa della motivazione – e sarei curiosissima di sapere, per voi, qual è la cosa che più di tutte vi spinge a voler fare bene come i calciatori.

Che cos’è il Bullet Journal?

Si tratta semplicemente di costruire la propria agenda da soli, come cazzo vi pare; di base è un metodo che si prefigge di aiutarvi a essere più organizzati e quindi più produttivi. È una cosa che è stata inventata, cioè proprio prima non c’era poi a un tizio (che si chiama Ryder Carroll) è venuta in mente e adesso c’è, e quindi in teoria ci sono delle piccole regole da seguire, ma in realtà la cosa meravigliosa del Bullet è il suo permettervi una libertà e una flessibilità assoluta nel fare cosa caspita volete.

Potete immaginare quanto l’internet sia pieno di spiegazioni, tutorial, suggerimenti in proposito – vi lascio giusto il link del video ufficiale di presentazione e vi dico che per me la Queen assoluta da seguire e venerare è Amanda Rach Lee.

Breve storia della mia storia d’amore

Vi voglio far capire bene, invece, che se dico che a me il Bullet ha cambiato la vita dico sul serio. Non mi ricordo come l’ho scoperto. Era marzo del 2017 e avevo un disperato bisogno di qualcosa di materiale che mi riconnettesse alla realtà dopo mesi di buio. Ed è avvenuto il miracolo.

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Questo era marzo del ’17

Lo sforzo di dover creare fisicamente l’agenda, il mettere nero su bianco i giorni di mese, la visione settimanale, le griglie per tenere sotto controllo le tue abitudini, le piccole liste quotidiane delle cose da fare, anche minime, microscopiche, e poi gli spazi dove segnare le cose belle, pagine libere per fermare i pensieri, o le riflessioni sul mese passato, gli obiettivi per quello successivo… tutto questo lo vedi crescere giorno dopo giorno, sei tu e soltanto tu che lo porti avanti, e credetemi, è stato la molla che mi ha permesso di riacciuffarmi.

  • Il Bullet non ti giudicherà mai. Non proverai mai la sensazione di essere guardato da pagine bianche abbandonate a se stesse, perché sei tu che decidi come impostarlo in base alle esigenze del momento. E questa per me è stata la svolta primaria che ha placato l’ansia cronica dello sfogliare le mie vecchie agende e vedere pagine e pagine intonse, pezzi di vita mai fermati e perduti per sempre.
  • Io, custode della memoria e adoratrice del culto della scrittura a mano, della diaristica, dell’organizzazione tramite liste e della cancelleria, ho sempre fatto il Bullet senza saperlo, in maniera scoordinata e su diversi supporti cartacei certo, e con questo metodo ho trovato il paradiso.
  • Se io ho trovato il paradiso, tutta la roba che avevo accumulato negli anni (pennarelli, penne colorate, washi-tape, ritagli di giornali, foto…) ha trovato finalmente uno scopo – e la mia creatività un luogo dove potersi riversare. Ma impazzano pure i Bullet minimalisti, bianco nero due linee e via: ve l’ho detto, la cosa sensazionale è l’assoluta libertà.
  • Il Bullet ti obbliga a prenderti del tempo per te stesso. Ed è un esercizio meraviglioso.
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Questo è gennaio del ’19

Insomma, sono già al mio terzo Bullet e credo di poter affermare con certezza che non riuscirò più a tornare alla (seppur adorata) Moleskine. Anche perché adesso mi sta dando la motivazione per fare una cosa per cui, se mi riesce, gli sarò debitrice a vita (e che se mi riesce ovviamente sbandiererò qui senza pudore).

Quindi grazie Bullet, ma grazie abbestia, ti voglio bene.

B.

Ps. se avete curiosità tecniche, ulteriori domande o pure insulti, non esitate a scrivermi!