Rachel Khong, Bye bye vitamine!

Bye bye vitamine! è una specie di memoir: siamo quindi nella non-fiction, ovvero scrittori che parlano di fatti propri – che poi boh, penso che quando qualcosa si posa su carta destinata a un lettore che non sei tu diventa immediatamente fiction, narrativa, invenzione, diobonino letteratura se fatta ammodo, fate voi. Comunque. Si parla di malattia ed è una cosa che tendenzialmente non prediligo, temo il melò o la superficialità. Rachel Khong invece fa bene (come i calciatori) perché riesce a scrivere un diario infilandosi negli interstizi del disagio: fa emergere le piccolezze dell’Io, le paure ataviche, i pensieri meschini, ma anche racconta di momenti di dolcezza estrema che ti fanno venire voglia di abbracciare il primo che passa (o il gatto del vicino nel mio caso). 

Il tema del ricordo è preponderante ed è affrontato sia dal punto di vista di Ruth, la protagonista, che ha appena concluso una relazione – e cerca di riafferrarne pezzi, che da quello del padre, che appunto soffre di Alzheimer – e quindi mi inizia a fare cose a caso perché non si ricorda più come si fanno; le descrizioni sono minute e disarmanti, ironiche e delicate.

Una delle mie manie è proprio quella di ricordarmi tutto quello che succede, è una missione: diari, scatole, foto, pezzi di vita raccolti con amore, liste (e pagine bianche e vuoti e momenti di boh eh). Ho quindi trovato meraviglioso il taccuino su cui il padre di Ruth aveva scritto annotazioni su quando era piccina – ciò che lei gli chiedeva o cose buffe che faceva. Leggerle ti fa sorridere e chiudere un pochino lo stomaco. Sarà poi Ruth a fare la stessa cosa per il padre:

Oggi ti ho sorpreso in garage che mangiavi le pesche del kit di sopravvivenza per terremoti. Ti ho fatto compagnia. Abbiamo bevuto lo sciroppo e poi i pacchetti d’acqua.

Eccomi qua, a collezionare momenti al posto tuo.

Collezionare – credo sia questa la parole chiave. A meno che sia momenti.

Siamo poi in quel filone di letteratura americana delle piccole cose che io adoro, e quindi è un’ottima lettura per chi ama la provincia, la sfiga della provincia, il disagio della provincia. Le immagini che Rachel Khong ci offre sono nitide e le sensazioni che trasmettono ti si appiccicano addosso.

Infine ho goduto tantissimo a leggere la “Nota del traduttore”, in cui Silvia Rota Sperti ci racconta l’importanza che hanno le parole in questo romanzo, e di quanto l’autrice sia stata funambolica nel giocare con esse. Plauso a NNE per queste chicche.

  • Rachel Khong, Bye bye vitamine!
  • Titolo originale: Goodbye, Vitamin
  • Stati Uniti
  • Traduzione dall’inglese di Silvia Rota Sperti
  • NNE, 2019 (febbraio)
  • Pp. 192
  • € 17

B.

Ps. Grazie D. per questo super-regalo di compleanno <3.

Su Materia, Benevolenza cosmica ed esordi letterari

A  marzo ho letto due libri belli: sono due romanzi d’esordio molto diversi tra loro, ma che tratteggiano entrambi scenari futuribili e che hanno il grande pregio di far azionare parecchio il cervello del lettore: Materia • la fuga degli elementi di Jacopo La Forgia per effequ (due presentazioni, due strilli perfetti: “romanzo di racconti”, Laura Pugno. “Romanzo distopico-mitologico”, Francesco D’Isa) e Benevolenza cosmica di Fabio Bacà per Adelphi (un esordio letterario made in Adelphi è esso stesso un evento distopico-mitologico). Dicevo, mi son proprio garbati: Materia è una favola ecologica che evoca un futuro negativo parecchio vicino al nostro, ma siamo già al dopo, e in realtà è un’apocalisse rimandata penso io, in cui navighiamo in scenari che sono e non sono, e che ci lascia punte di amaro, punte di dolcezza onirica, e voglia di combattere anche se forse è troppo tardi (nulla via mi è garbato proprio abbestia). Benevolenza cosmica – definito “divertentissimo” in quarta di copertina – io volo al pensiero del concetto di divertente dei tipi di Adelphi, è effettivamente un romanzo intrigante e ironico, collocato in una Londra spostata un pelo in avanti rispetto a ora (quindi leggermente distopico), in cui succedono cose strane e ci si interroga sul destino e in generale sugli eventi della vita. In me ha suscitato pensieri e domande, ho sottolineato molto e disegnato cuori accanto a frasi e quindi ve lo consiglio.

Sulla scia di queste letture e quindi dei loro autori vi lascio dei cenni sugli esordi letterari, cose random che però oh, a me interessano un sacco.

  • Quando si parla di esordi ci sono delle basi che non si possono ignorare. Vanni Santoni sta facendo da anni proseliti sulla questione, quindi mi limito a riportare alcuni dei suoi mantra che ho ascoltato/letto in molteplici situazioni, non ultima l’incontro  “Gli esordi letterari”, in collaborazione con il Premio Calvino, a Firenze RiVista: bisogna conoscere il mondo dell’editoria (adorabile aneddoto di lui che manda il suo manoscritto a Iperborea); bisogna scrivere ammerda e far circolare le proprie cose sulle riviste; bisogna partecipare, e magari organizzare cose letterarie. Nello specifico il Calvino, di cui è stato in giuria lo scorso anno, è sicuramente uno dei concorsi che più si dà per cercare e sondare tra le giovini scritture.
  • Proseguendo l’argomento Santoni è impossibile non parlare della collana romanzi di Tunué da lui diretta da quando è nata nel ’14. “Qui si persegue un lavoro artigianale e incendiario, portando alla luce proprio quei romanzi in cui è racchiuso qualcosa di nuovo. Ciò che si cerca è l’ormai celebre sconfinamento, una modalità che era già presente, ma che da allora determina una direzione nella narrativa italiana di qualità. In altre parole, sono romanzi fighissimi, ve li dovete leggere tutti, io ancora non ne ho trovato uno che mi abbia delusa” (scusate mi autocito dall’articolo che ho scritto per GoodBook.it in occasione dell’imminente uscita del romanzo d’esordio dello Zandomeneghi, Il giorno della nutria). Vi ricordo che l’esordio di Funetta, Dalle rovine, per me resta una delle cose più pazzeschissime di contemporanea in circolazione.
  • Se nei primi anni Duemila (si legge quindici anni fa, ci si mettono le mani nei capelli) il ruolo primario di fucina di nuovi talenti era ricoperto da minimum fax – credo sia insindacabile l’importanza che ha ricoperto la casa editrice romana nella cernita e nel lancio di scrittori emergenti che adesso già rientrano nel canone della letteratura italiana (sì porca miseria, leggetevi i nomi di antologie come La qualità dell’aria Voi siete qui), adesso quel ruolo prima di ricerca deep down nei blog e nelle riviste e nei premi letterari e poi di aggregazione la sta facendo effequ, a partire da Selezione naturale • Storie di premi letterari, a cura di Gabriele Merlini, del 2013, che iniziava a raccogliere scrittori (già editi) della “scena” fiorentina, e poi con ODI • Quindici declinazioni di un sentimento nel 2017 (sempre a cura di Merlini, in cui c’è una postfazione del mai citato Santoni che spiega in maniera estesa tutto quello che sto cercando di riassumere io). Leggete chi c’è in Odi e tra un pochino se ne riparla.
  • Poi succedono pure cose assurde tipo quello che è successo a Marco Marrucci che ha mandato dal niente un manoscritto (di qualità altissima eh) e glielo hanno pubblicato. Ribadisco che, come canta ManuelAgnelliAmoreMio, Ci sono molti modi.
  • Sempre parlando di canzoni, Caparezza cantava che il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista: ebbene, non è così scontato che il secondo romanzo esca in tre balletti, tutt’altro: ne parlava per esempio, proprio da scrittrice esordiente che presentava il secondo romanzo di un’altra scrittrice, Marta Zura-Puntaroni (che ha esordito con minimum fax) con Maura Chiulli (che ha trovato in Hacca una seconda casa). Però forza bimbi, che io vi voglio leggere ancora!

Fine del pippone, ci vediamo lunedì con un post stupido, addio.

B.

Ovunque sulla terra un’altra cena: cronache di una presentazione incrociata

Seguendo le regole del buon senso che ha ricordato quel giovanotto di Francesco Quatraro, editore della pluriamata effequ – per cui se sei under 40 sei un giovane scrittore, e se pubblichi per la prima volta sei un esordiente, nel felice contesto di Green,go! una bottega sostenibile in cui si servono pure dell’ottimo alcol e dei deliziosi aperitivi, in una serata di fine inverno gli autori fiorentini Simone Lisi e Marco Marrucci hanno presentato uno le fatiche letterarie dell’altro, e ne è venuta fuori una delle mie combo prefe, risate da lacrime e discorsi (involontariamente?) altissimi sulle cose del libro e quindi della letteratura e quindi della vita.

C’è da dire, lo ammetto senza pudore, che io a Un’altra cena O di come finiscono le cose (effequ, 2018) e a Ovunque sulla terra gli uomini (Racconti, 2018) voglio particolarmente bene, ed è stato molto bello sentirne parlare ancora, e in questa modalità ganzissima.

Ma ecco i tratti salienti della sit down comedy chiacchierata tra i due scrittori. 

  • I giovini scrittori si sono sinceramente piaciuti molto (e se ne sono pure stupiti).
  • Il Lisi alza le mani e dichiara di non saper mai rispondere alle domande.
  • Uno ha fatto editing innamorandosi (perché quando scrive poi non si capisce niente e allora torna indietro), l’altro ha scritto prima l’indice e poi l’opera.
  • In uno lo spazio sono le poche stanze di un appartamento, e si sta isolati come in un dramma di struttura aristotelica. Con l’altro si viaggia in posti lontanissimi e sconosciuti, come sfogliando un atlante.
  • In uno siamo estremamente dentro questo tempo – senza che ciò provochi il solito fastidio per un qui e ora posticcio, nell’altro c’è una a-temporalità immaginifica – senza che sia sganciata totalmente dalla realtà.

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  • La mia frase su Un’altra cena “Un libro che può leggere un adolescente ma anche la mi’nonna” è ormai diventata patrimonio comune, perché Marco Marrucci la cita non sapendo che l’ho pronunciata io che son lì nel mezzo. Divento rossa, moltissimo.
  • Le questioni, quelle urgenti, quelle che dividono, quelle che ti rimangono dentro giorni dopo aver finito la lettura: dove si fa colazione e perché? 
  • La filosofia che non impegna ma emoziona.
  • Ci sono molti modi per arrivare alla pubblicazione, checché se ne dica.
  • Se siete editori probabilmente mangiate alette di pollo davanti al pc, sudando per l’ennesimo manoscritto che vi intasa la casella di posta elettronica.
  • Andare al ristorante dopo le presentazioni piace molto a Marco Marrucci – così come il brivido di parlare del proprio libro a qualcuno che non ne sa assolutamente nulla.
  • T.S. Eliot ha subito dei maltrattamenti durante questa presentazione.

Io direi che non potete più stare senza aver letto questi funambolici talenti, no?

B.

 

Domitilla Pirro, Chilografia • Diario vorace di Palla

Quando leggo un libro bello mi sento estremamente fortunata. Arrivo all’ultima pagina un po’ confusa e incerta, e chiudo il volume con gli occhi vacui e la necessità di riportare al più presto su carta le sensazioni che mi ha lasciato. E poi, una volta che mi sono ripresa, succede che lo voglio dire a tutti, quanto è bello questo libro. Ecco, per Chilografia vorrei proprio fare dei manifesti pubblici da attaccare personalmente con la colla sui muri delle città, vorrei pilotare l’aereo che si tira dietro lo striscione con scritto “leggete il diario vorace di Palla!”, vorrei avere una libreria dove invitare Domitilla Pirro almeno una volta al mese per parlarne, vorrei poterlo votare per le Classifiche di Qualità dell’Indiscreto (oddio ma questo ho potuto farlo, che sciocchina!). E adesso vi dico perché:

  • Palma detta Palla detta Mina è la versione estrema di tutte noi. Nessuna esclusa, ma qualcuna più di altre. E avevamo bisogno che qualcuno ci raccontasse, anche se non abbiamo raggiunto i 147 kg.
  • Questa è una storia di disagio. E io nel disagio ci sguazzo. Disagio provincia e famiglie disfunzionali, what else?
  • Creare mondi che tengano e risultino sinceri e non posticci è la cosa più difficile in letteratura, ma anche quella che, se riesce, decreta insindacabilmente la riuscita di una storia. E il mondo di Palma è un microcosmo letterario potente.
  • Giocare con la lingua italiana è una delle cose che fanno gli scrittori che più adoro: qui c’è il dialetto laziale, che non risulta affatto disturbante perché utilizzato in maniera attenta e dosata, senza il quale non riesco a immaginare la narrazione: è un utilizzo significante.
  • Ritengo che ci sia un gran bisogno di questo tipo di letteratura: non edulcorata, non ripiegata in se stessa, non alla ricerca di vie facili per colpire il lettore, respingente in senso positivo: respingente rispetto a cose che ci si potrebbe rifiutare di affrontare, e che invece ti ritrovi davanti e boom, adesso ti ci scontri e muto (i disturbi alimentari, il sangue, la violenza, il disamore nei confronti di se stessi, il vuoto da colmare, il senso di inadeguatezza perpetuo che genera mostri).
  • Ho odiato e amato Palma. Non so se l’ho capita sempre. Non so se a volte non l’ho voluta capire. Le voglio un gran bene e ho provato dolore fisico in più di un passaggio. Tanta, tantissima inquietudine.
  • Una volta si diceva che è una lettura catartica, ora forse usa di più dire “ombelicale”, forse confondo le cose ma insomma: leggere questa storia vi smuoverà tutte le viscere.
  • Un racconto degli anni ’80, ’90 e inizi del 2000, così sincero, non fasullo insomma, è cosa di cui secondo me c’è profondo bisogno e per cui ringrazio, gioisco, esulto.

Poi c’è una parola che non è corpo e non è cosa. Che non si può contare. Che è e basta, e non è finito. È il sangue. Sangue non ha plurale.

Quindi, datemi retta, compratene e leggetene tutti. E poi, da bravi, scoprite anche il resto del catalogo di effequ, perché stanno facendo davvero i “libri che non c’erano”.

B.

 

Andrea Zandomeneghi, Il giorno della nutria

Cose che so di me stessa in maniera definitiva e categorica: non potrò mai avere un rapporto asettico con i libri. Ci provai una volta per scrivere una recensione che mi fu chiesta (e poi mai uscita), e mi sentii talmente estranea a quello che provavo a proposito del libro e a quello che volevo effettivamente dire che mi ripromisi che non sarebbe più accaduto. Ecco perché ormai la parola “recensione”, quando parlo di un libro sull’internet, si è svuotata del suo senso primario, è solo di comodo. Questa non è una recensione (ne stanno già fioccando una via l’altra, sono ordinatamente reperibili sulla scheda on-line di tunué) , è finalmente il racconto di una lettura che aspettavo di fare da anni – da quando cioè ho letto il primo folgorante capitolo su degli A4 sgualciti e poi da me riempiti di sottolineature e glosse durante il corso di scrittura alla Cité – e che adesso vorrei tantissimo che faceste anche tutti voi.

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Reperti storici di un certo rilievo – io fossi in voi terrei d’occhio anche la compagna di banco dello Zando

A fine ottobre Il giorno della nutria è stato presentato a Pistoia a L’anno che verrà: è lì che ho visto per la prima volta l’iconica copertina del romanzo d’esordio di Andrea Zandomeneghi, e assaporato l’attesa attraverso la lettura di qualche passaggio, il pubblico incantato e l’editor (giustamente) gasato. Quando Goodbook.it mi ha chiesto, a dicembre, di raccontare la novità editoriale da me più attesa del 2019, non ho esitato, indicando la nutria, i perché e i per come. Bene, i mesi son passati, il romanzo è finalmente uscito, io me ne sono impossessata e l’ho letto in una manciata di ore, fregandomene di centellinarmelo, sottolineandolo forsennatamente, riempiendolo di cuori ma soprattutto godendo tantissimo.

Sì, perché non solo il capitolo 0 e il capitolo 1 hanno raggiunto la perfezione, ma perché anche il resto del romanzo è pazzesco, nuovo, glorioso. C’è tutto quello che mi fa impazzire: un protagonista immerso nel disagio (Davide Aloisi) la provincia (Capalbio!) l’alterazione dei sensi (alcol analgesici psicofarmaci e thc) la commistione tra alto e basso il citazionismo i dilemmi esistenziali la realtà che si confonde col sogno personaggi al limite del grottesco (la madre allettata Eufemia, il nipote Giulio, la badante Dorota con il figlio Esteban, l’amico Emanuele, Don Stefano e altri ancora) la malattia l’ironia l’alterità la colpa lo sprofondare nel baratro l’accumulazione e le parole, le parole della lingua italiana che si ergono splendide sulla pagina e ti fanno smuovere le budella e prendere il dizionario. La sintassi, l’elaborazione strutturale della storia, l’assenza di manicheismo, l’assenza totale di espedienti narrativi del cazzo, il superamento del terrore di fare qualcosa di diverso, le cose che sono dette, il modo in cui sono dette, la necessità che fossero dette. E quella nutria mezza congelata e scorticata che fa da perno alla giornata (interiore ed esteriore, mio binomio prefe della letteratura) che ci viene raccontata dal protagonista Davide.

Respiro affannato e irregolare. Sembrò far capolino tra un’ispirazione e l’altra la fame d’aria, pessima in sé ma soprattutto segno di attacco di panico in agguato. Mi immobilizzai, chiusi gli occhi, provai a mappare la situazione, a darle forma, a prendere atto. Grande stronzata strategica: tutto era istericamente metamorfico, turbine d’ideazione mercuriale, la mente […] s’era frammentata sotto il segno dell’incoerenza […].

L’esordio di Andrea Zandomeneghi è uno spartiacque, qui lo dico, mi siete testimoni. E io che credo nei destini incrociati e nelle cose buffe della vita, non potrò mai smettere di gioire ripensando a quella primavera del ’16 in cui per la prima volta ho conosciuto la nutria.

B.

Miguel Bonnefoy, Zucchero nero

Tre anni fa mi ero innamorata. Qui vi avevo raccontato dell’esordio dello scrittore francese Miguel Bonnefoy e del viaggio meraviglioso nel Venezuela che gli appartiene geneticamente. Adesso, nelle settimane in cui il Venezuela è al centro della cronaca internazionale a causa della crisi che sta vivendo, mi sono letta il suo secondo romanzo, uscito nel 2018 sempre per 66thand2nd (e menomale, dico io, e grazie, aggiungo pure: sono riusciti a fare una copertina ancora più bella della precedente – nuovo sogno proibito, una stampa dell’illustratore tedesco Martin Haake).

Miguel Bonnefoy ci regala un’altra favola sudamericana e sì, siamo proprio nel solco del realismo magico e io impazzisco di gioia, perché anche qui conferma di avere piena consapevolezza dei suoi maestri, unita a un’oggettiva capacità di scrivere come dio comanda, che meraviglia. Ci sono dei passaggi che ti abbracciano e avvolgono e ricoprono di profumi caraibici anche se non li hai mai sentiti, la Natura è descritta da standing ovation sanremese, e ci sono dei topos letterari che dimostrano sapienza e padronanza della materia trattata, qualità che io adoro: il villaggio primigenio; la famiglia disagio di generazione in generazione; l’infertilità; la vallata docile dove tutto è rigoglioso e che poi invece diventa terra arida; un mistero che coinvolge una vecchina di cui non si sa nulla; la caccia al tesoro; l’avarizia dell’uomo; la maledizione della terra.

Il primo capitolo, che racconta il post-naufragio del vascello di Henry Morgan, potrebbe bastare per far chiudere il libro soddisfatti e appagati.

I boccaporti erano infestati da fiori tropicali di ogni tipo. Le travi erano inghiottite da una folta vegetazione. Gli armadi in legno di limone erano ricoperti di foglie e alcuni mobili massicci, inverditi dalle felci, scricchiolavano nella penombra.

Ma no, voi andate avanti e scoprite di che pasta è fatta la famiglia Otero, e poi Serena, Severo, Eva Fuego, gli sconosciuti che arrivano alla fattoria, gli arrivisti, i campesinos. Stupitevi di cosa può fare l’amore cieco nei confronti dell’oro, di cosa può generare l’incessante aspirazione di qualcosa d’altro, assaporate il rum pregiato e il profumo caramellato della melassa. Mi auguro che il prossimo romanzo di Miguel Bonnefoy sia di più ampio respiro, perché a questo punto le premesse per una saga famigliare di tutto rispetto ci sono eccome.

  • Miguel Bonnefoy, Zucchero nero
  • Titolo originale: Sucre noir
  • Francia
  • Traduzione dal francese di Francesca Bonomi
  • 66thand2nd, 2018 (febbraio)
  • Pp. 147
  • € 16

B.

Tayari Jones, Un matrimonio americano

Mentre spacchettavo il regalo di Natale di mia sorella – che sapevo benissimo essere un libro, ero preda di un’eccitazione che si è immediatamente tramutata in esultanza tipo gol della Nazionale alla finale della Coppa del Mondo (sempre per la serie Bea e il suo entusiasmo moderato). Appena ho visto la stupenda copertina apparire dalla carta natalizia ho proprio goduto tantissimo, perché ero certa che Un matrimonio americano, uscito a novembre per Neri Pozza, mi sarebbe garbato abbestia. E adesso che l’ho finito non posso fare a meno di dirvi, col cuore, che dovete leggerlo al più presto.

Il pregio fondamentale di questo romanzo sta nel fatto che non bara: non ci sono trucchi da quattro soldi né ammiccamenti facili né pietismi né stereotipi di bassa lega. E visti i temi trattati state sicuri che scadere in uno di questi espedienti sarebbe stato assai semplice. Invece no. C’è solo una storia sincera raccontata – evviva – da più punti di vista, sia da quelli dei protagonisti Roy e Celestial che da quelli dei personaggi secondari ma principalissimi per tutta l’architettura del romanzo. Anche se non ne ha le caratteristiche primarie, infatti, ritengo che questo di Tayari Jones sia un romanzo corale, nel senso che dà voce a tutta l’America, a quella di cui si racconta esplicitamente e anche a quella che viene taciuta. Gli Stati Uniti del Sud in cui è ambientata la vicenda, la Louisiana di provincia e la Georgia della capitale Atlanta sono personaggi importanti tanto quanto la comunità afroamericana che li abita. Tayari Jones, pagina dopo pagina, definisce in maniera perfetta la geografia fisica e dei cuori di un mondo modernissimo ma che deve comunque fare i conti con un passato ancora troppo vicino, quello della segregazione razziale. E lo fa attraverso il racconto di una storia d’amore, attraverso i pensieri di un uomo e di una donna in lotta perpetua contro la vita, contro se stessi e contro l’ingiustizia.

Si legge velocissimo, non ti fa pensare ad altro e ti fa venire delle fitte nel petto tali che vorresti fare qualcosa, qualunque cosa per dare un po’ di sollievo ai protagonisti. Ci sono dei momenti di dolcezza infinita e altri di cieca violenza, ci sono momenti illuminati da una luce calda e confortante, altri tinti del grigio più triste che può venirvi in mente. Un’altra caratteristica decisiva di Un matrimonio americano è proprio l’esplorazione dell’alterità, la possibilità che viene data a ciascuno di raccontare la propria storia, e quindi quella di farti vacillare ed esitare e pendere una volta da una parte una dall’altra, e qui mi viene spontaneo chiamare in causa la parola Letteratura, perché come ho imparato è proprio questo che la Letteratura deve fare, farti dubitare e scardinare l’ordinario.

Andate e leggetene tutti!

B.

  • Tayari Jones, Un matrimonio americano
  • Titolo originale: An American Marriage
  • Stati Uniti
  • Traduzione dall’inglese di Ada Arduini
  • Neri Pozza, 2018 (novembre)
  • Pp. 368
  • € 18
  • Questa è la recensione di Rossella Postorino

Lista della (vostra) spesa per PLPL18

Al Pisa Book Festival avevo salutato tutti con un baldanzoso “allora ci si vede a Roma eh! Grandissssssimo!”, e già mi vedevo strabuzzare gli occhi davanti alla Nuvola, la nuova sede di Più Libri Più Liberi, prendere parte a una miriade di eventi, collezionare autografi, ingolfare instagram di stories e soprattutto acquistare le ultime novità dei miei editori del cuore.

E invece no.

Sono bloccata nella Conca, su Facebook imperversano foto degli stand stracolmi di copertine fighe, reminder di incontri meravigliosi, inviti a party letterario-danzerecci, e io esalo sospiri di sconforto, consapevole che dovrò ancora attendere prima di ricongiungermi alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, cui avevo partecipato nel 2014, ovvero, in pratica, nel pleistocene.

Tant’è, voglio dare anch’io il mio contributo: ecco qualche consiglio per gli acquisti, che segue il criterio random di libri che, a mio umile quanto inutile parare, ritengo che debbano essere letti, in combo con una Nuova Uscita Che Bramo della casa editrice che li pubblica (in seguito NUCB).

Augurando agli amici editori di vendere abbestia, ma tipo anche la loro mamma, approfitto per dichiarare che in compenso sabato me ne starò in casa a svolgere ciò che l’8 dicembre deve essere fatto, ovvero trasformare la propria abitazione in una vetrina delle Galeries Lafayette – perché santi numi, io sarò per sempre #teamstopprematurechristmasdecorating.

  • CasaSirio: Sirio Lubreto, Il primo giorno della tartarugaLetto a settembre del 2016 quando mi fu inviato dal loro ufficio stampa, un romanzo a cui da sola forse non mi sarei approcciata – molto d’azione, che invece ho trovato molto onesto, straniante e meritevole di essere letto. Mi fa un sacco piacere vedere che questa piccola casa editrice nata a fine del 2014 si sta facendo sempre più figa (come le sue copertine). NUCB: Joe Clifford, Lamentation (questo in realtà l’ho preso proprio a Pisa, ciò che bramavo era essere a Roma alla presentazione dell’autore, figo. Eh vabbè).
  • Edizioni Black Coffee: Mary Miller, Happy Hour. Primo titolo-disagio che ho letto di questa nuova (2017) casa editrice fiorentina (cuori), tutta dedicata a scoprire o riportare in stampa autori nordamericani. Io gioisco tantissimo e ho iniziato già a stalkerarli alle fiere, so che a Roma sentiranno il vuoto incolmabile della mia assenza. NUCB: Alexandra Kleeman, Intuizioni.
  • Edizioni Sur: Rodrigo Hasbún, Andarsene. Quanto, quanto ho amato questo romanzo. Bisogna davvero che lo leggiate. Mi devo mettere molto in pari con le uscite della casa editrice del mio cuor, ma è di settembre la NUCB: Juan Cárdenas, Ornamento.
  • effequ: Simone Lisi, Un’altra cena; Sergio Oricci, Cerali al neon. Non posso fare a meno di consigliarvi entrambi questi titoli degli amati tipi di effequ, perché sono parte importante del mio 2018, e perché rendono benissimo l’idea dei “libri che non c’erano” che si prefigge di fare la casa editrice (da poco) fiorentina. Quindi spero che la NUCB, Chilografia di Domitilla Pirro, segua la stessa luminosa scia.
  • IPERBOREA: Atlante leggendario delle strade d’Islanda. Una perla del catalogo Iperborea; un on the road da seguire su mappa, un libro per chi vuole perdersi dentro leggende secolari e magici paesaggi, toccando i luoghi di una terra incantata di cui vengono spiegate di volta in volta anche le origini di quelli che danno vita alle storie raccontate. Io l’ho letto a Itaca la scorsa estate e l’ho adorato. NUCB: Mikael Niemi, Cucinare un orso.
  • Keller: Andrei Kurkov, Picnic sul ghiaccio. A parte la copertina perfettamente in tema con la stagione, un romanzo strano e stralunato, ambientazione post-sovietica e un pinguino come animale da compagnia. Io ai libri Keller voglio un bene pazzesco, quindi la NUCB è Martin Fahrner, Dalla parte del bene.
librilondra
Foto di libri senza attinenza alcuna al contenuto del post ma erano belli ed erano a Brick Lane a Londra
  • La nuova frontiera: Sandra Cisneros, Caramelo. Un libro-mondo. Un caos stupefacente, una storia che non ti fa staccare gli occhi dalle pagine, e che non ti si staccherà mai dalla pelle. Ho amato molti altri libri di questa casa editrice, ma Caramelo ha un posto speciale nello scaffale immaginario dei libri bellibellibellissimi. NUCB: Jane Sautière, Guardaroba.
  • LiberAria: Tiziana D’Oppido, Il narratore di verità. Una delle mie ultime letture, una storia che è un misto tra favola e attualità, personaggi super caratterizzati, un mistero da risolvere e soprattutto, finalmente, una lingua che azzarda e crea mondi. Ve lo consiglio proprio.  NUCB: Davide Grittani, La rampicante.
  • L’orma: Annie Ernaux, TUTTO! Qui mi parte un po’ la lacrimuccia perché L’orma la conobbi proprio a Più Libri del ’14, e da allora continuo ad ammirare il lavoro pazzesco sulla qualità delle loro pubblicazioni. Soprattutto però gli sarò devota per sempre per aver riportato in Italia Annie Ernaux, e da Il Posto in poi aspetto il successivo con un’eccitazione fastidiosa; non ci posso fare niente, la amo, tantissimo, mi commuove, mi fa riflettere, mi ferisce, mi fa sorridere. Quindi chiaramente la loro NUCB è Annie Ernaux, La vergogna.
  • minimum fax: Claudia Durastanti, Cleopatra va in prigione. Una storia ruvida e contemporanea, disagio Capitale, esistenze ai margini, fastidio diffuso. In generale, quello che scrive Claudia Durastanti andrebbe letto di default. “Sfoglio” il catalogo minimum e mi viene voglia di darmi malata a vita per leggere qualsiasi cosa, ma come NUCB scelgo Giovanni Dozzini, E Baboucar guidava la fila.
  • NNE: Kent Haruf, TUTTO! Medesimo discorso fatto per L’Orma. Da quando sono nati, nel 2015, portano avanti una qualità eccezionale, mirata, chiarissima. Devozione completa per aver fatto scoprire al lettore italiano Kent Haruf. La NUCB è ovviamente Kent Haruf, Vincoli
  • tunué: Giorgio Biferali, L’amore a vent’anni. Amatissima lettura d’ottobre. Il racconto della mia generazione senza essere un libro generazionale. Letteratura e non narrativa del cazzo. Lettura che genera movimenti interiori non indifferenti. E pensare che proprio a Più Libri del ’14 tunué presentava i primi due nati della collana «Romanzi», diretta dal magister Vanni Santoni, che da allora fa da ago della bilancia nel panorama di nuove scritture e percorsi letterari di qualità. NUCB: Sergio Nelli, Ricrescite.

Buona fiera, buono shopping, buone letture.

B.

Buona la prima: presentazione di Ovunque sulla terra gli uomini di Marco Marrucci

Ci sono un’infinità di variabili da prendere in considerazione nella riuscita di una presentazione libresca: luogo, tempi, affluenza di pubblico, attenzione del pubblico, qualità del libro presentato, alchimia tra l’autore e chi lo presenta. Quando tutti questi elementi vanno in sintonia lo si percepisce chiaramente, come è successo ieri sera alla Cité – Libreria Caffè di Firenze, dove a un orario finalmente amichevole Edoardo Rialti ha presentato l’opera di esordio di Marco Marrucci, uscita per Racconti Edizioni.

Cos’è Ovunque sulla terra gli uomini?

È una raccolta di dieci racconti che vanno in giro per il mondo narrativo, una sorta di atlante più immaginario che fisico dove sono racchiuse le vicende di personaggi diversi, ma in cui la voce narrante sembra tornare, legata da un fil rouge stilistico ed espressivo di squarci e svolte drammatiche, identità rubate e visioni.

Dicci di più, ma non troppo

  • In tre quarti d’ora, in una Cité davvero gremita, Edoardo Rialti è riuscito a dire cose sul libro senza spoilerare nulla, a fare domande specifiche e intriganti, tenendo il ritmo altissimo.
  • Il fatto che fossero appollaiati su degli sgabelli, e dietro ci fosse una vetrata che dava sul marciapiede dove ogni tanto i passanti si fermavano incuriositi a buttare un occhio dentro per vedere cosa stesse accadendo, ha conferito al tutto una nota così urbana e metropolitana che proprio volavo.
  • Le conversazioni sul racconto per me potrebbero durare per sempre.
  • Carver c’è immancabilmente, anche quando la scrittura è tutt’altro che carveriana.
  • La presenza imponente di sciure fiorentine è stata un plus.
La citè
Foto della Cité
  • Alla domanda “che romanzi d’esordio di autori italiani emergenti consiglieresti di leggere” Marco ha risposto con due miei amoriUn’altra cena di Simone Lisi (effequ) e Dalle rovine di Luciano Funetta (Tunué). Io ho esultato tra il pubblico come una cheerleader. Scusate.
  • La storia editoriale di Marco Marrucci riassunta con “una grande botta di culo” è la vera eccezione alla regola nel mondo degli esordi. Lui non ha fatto la gavetta letteraria che passa per riviste e concorsi, prima di Ovunque sulla terra gli uomini non aveva scritto nient’altro, e infatti Racconti Edizioni lo presenta così: “Marco Marrucci ha inviato un manoscritto che adesso è il suo libro d’esordio”.

Quanto è…

  • Buffo chiacchierare con l’autore (Sergio Oricci) di un romanzo (Cereali al neon edito da efequ) appena letto e che ti è garbato tantissimo e di cui andrai alla presentazione tra due giorni.
  • Benaugurante assistere all’assalto alla pila di libri da parte del pubblico.
  • Balordo fare una figura di merda con l’autore al momento del firma-copie, rispondendo con “Ah boh!” alla domanda “cosa metto?”, che stava chiaramente per “come ti chiami”, ma io non ci sono arrivata.
  • Bello avere una sorella che ha i tuoi stessi gusti sulla Vita.
  • Buono il ramen!
  • Boia dè che figata aver già letto due racconti per la troppa curiosità e non rimanere delusa per niente, bensì coinvolta e rapita da una scrittura che ti tiene senza respiro per tutto il tempo della storia.

B.

 

 

 

Bill Bryson te la svolta

Mi piace leggere. Tipo abbestia. E quando arrivano quei periodi in cui o non hai testa per leggere determinati libri, o dopo due pagine ti addormenti, o incappi in una sfortunata serie di libri che ti fanno rimpiangere di non stare leggendo Anna Karenina, e senti nascere dentro di te un senso di vuoto misto a spaesamento misto a senso di colpa misto a “moriremo tutti”, c’è un’unica soluzione praticabile: rompere il vetro di emergenza e leggere Bill Bryson (il fatto che sia una cosa con la B rende tutto molto più coerente).

Bill te la svolta sempre. Bill non ti deluderà mai. Bill sarà sempre lì per te, pronto a fornirti storie incredibili che si leggono come un romanzo ma che sono invece reportage  su avventure meravigliose o fatti di vita raccontati dal suo inimitabile punto di vista. E poi Bill ha una delle facce più carine e coccolose di sempre, provate a dire il contrario se avete coraggio!

In case of emergency - Copia

Ecco, potete capire perché a scrivere un post ci metto gli anni, perché devo produrre queste cose idiote che però mi fanno morire dal ridere, quindi bene così. Insomma dicevo, il caro Bill mi capitò tra le mani proprio per caso, uno di quei libri che compri in libreria perché ti piace la copertina, fondamentalmente (e gli strilli sulla quarta fanno il loro dovere: potevo resistere a un “Bryson è straordinario nel raccontare l’America e le sue idiosincrasie. Serio e beffardo allo stesso tempo”, decretato dal The Guardian? Ovviamente no). Mai però mi sarei aspettata di innamorami così tanto di questo adorabile signore, ma soprattutto di sentire la necessità di consigliarlo a chiunque. Perché secondo me lui fa proprio bene, è come indossare un paio di occhiali (tipo quelli bellissimi che mi comprai io due anni fa a una bancarella di occhiali vintage pensando di essere miope, e invece no) e osservare (e giudicare) il mondo con occhi irriverenti ma accorti, stupiti ma consapevoli. Leggere Bill Bryson è divertentissimo, mi sono ritrovata più volte a ridere da sola come un tricheco asmatico, e fa quello che avrei desiderato fare tantissimo anch’io nella vita, ovvero guardare le cose e raccontarle come ti viene spontaneo fare, con un bel lessico, approfondimenti esterni ove necessario e una buona dose di stupidaggini nel mezzo.

Quindi: no recensioni, sì leggere tutti Bill. Io ho già dato con:

  • Notizie da un grande paese (prima edizione originale 1998, edito da Guanda nel 2017 con la traduzione di Isabella C. Blum). Raccolta di suoi pezzi per il The Mail on Sunday, una cosa che mi chiuderei in casa cinque ore di fila e li rileggerei tutti da capo.
  • America perduta (prima edizione originale 1989, edito da Feltrinelli nel 1993, con la traduzione di Amedeo Poggi e Annalisa Melania Galiazzo). Qui c’è Bryson che fa un viaggione deep down into the United States, cioè la provincia sfigata che io adoro, e fa tantissima impressione leggere cose di, ok teniamoci tutti per mano mentre lo dico, trent’anni fa.
  • Una passeggiata nei boschi (prima edizione originale 1997, edito da Guanda nel 2000 con la traduzione di Giuseppe Strazzeri). Questo è l’ultimo letto, è il racconto della rocambolesca impresa che il buon Bill e il suo amico Katz hanno deciso di compiere a caso (percorrere tutto l’Appalachian Trail), così come io a volte dico sì a cose del tutto fuori della mia portata, andando avanti bella convinta e rimanendo poi impantanata nel fiume come è capitato anche loro… ma poi tranquilli, se ne esce sempre. Mi ha insegnato tantissime cose, fatto rimembrare momenti belli trascorsi nei parchi nazionali statunitensi e confermato quanto nella mia vita io abbia bisogno di ridere e degli alberi.

Se avete letto altro della sua fortunatamente vasta produzione, ditemi senza indugio il vostro preferito, perché non vedo l’ora di attraversare un nuovo momento di disagio libresco e prendere in mano un’altra perla dell’amatissimo Bryson.

B.