Bollettino sulle voci inside my head #6

Tarli mentali e dove trovarli: l’annosa questione della gestione dei pasti.

Credo sia giunto il momento di parlarne perché pensavo che il problema prima o poi sarebbe giunto a un felice capolinea, e invece no.

Le tappe del disagio

  • Nel 2007 faccio finta di abbandonare la Conca e mi trasferisco a Pisa per studiare all’Università. Si tratta dell’anno della “dieta cattiva”, quindi insieme al mio disagio-base porto nella mia prima casa da studentessa l’angoscia per il cibo. Agogno i pasti che si preparano le mie adorate coinquiline sarde, patisco la fame come da mesi a quella parte e infine esplodo davanti a un cornetto alla Nutella. Addio, ho bisogno di farmi una vita sociale, quindi sì alla mensa e ai cenini e alla scoperta dei sapori del Sud e delle Isole, no alla base proteica. Riprendo peso ma ritorno felice (e grazie a Sylvie imparo a cucinare).
  • Vogliamo davvero parlare dell’ansia che mi generava nutrirmi in Erasmus? Le cucine condivise che ogni tre giorni erano inagibili. Gli armadietti da cui le genti mi rubavano cose. L’orrore del cibo anglosassone, carissimo e senza senza sapore e che ti gonfiava e basta. I pasti consumati in camera perché avevo problemi a relazionarmi con le genti. La mensa dell’Uni che serviva chiaramente cibo per cani. I fast food ogni 100 metri. L’assenza di alternative sane e convenienti. Voglio regalarvi un raro momento di disperazione: io che con i soldi guadagnati dal babysitteraggio vado in un ristorante italiano, da sola, di domenica a pranzo, spendendo una cifra esorbitante per mangiare finalmente qualcosa di decente. Si capisce?
  • Il terzo anno dell’Uni, nel nuovo coinquilinaggio, inizio a prendere coraggio e forte di avere l’amica coinqui ci spalleggiamo per garantirci un’alimentazione migliore, improntata su salutismo, km zero e spezie. Va tutto bene finché non inizia un giro di aperitivi e cene moleste, che annienta i nostri sforzi di pasti equilibrati e alternativi. Però cucinare insieme era bello, è capitato che si facesse il minestrone, c’erano torte salate col tofu che adoravo, e uno degli highlights è indubbiamente l’aver cucinato le polpette di Serra delle Fate Ignoranti.
  • L’ultima tappa di vita da sola prima della specialistica (sono tornata a vivere dai miei), sono stati i quatto mesi a Copenhagen, meglio noti come “il periodo più bello della mia vita” (still). Ecco, di Copenhagen sottolineo l’entusiasmo di avere la Coop con il logo Coop, e una cultura del cibo del tutto differente rispetto a Dublino, per cui ero motivata e felice e le mie skills culinarie si facevano sempre più avanzate. In più la mensa dell’Uni offriva una sarabanda di verdure crude e cotte, e tutta la roba che ora va di moda anche da noi, ma nel 2010 lì mangiavano già come le instagrammer di punta di adesso. Quindi zero ansia da cibo, in più i momenti più belli sono state le cene indoor con contributi da mezza Europa, ci sfondavamo di cibo e di amore. Sì, ero una Bea davvero felice.
  • Nel 2015 c’è stato il baratro, la parentesi romana anticamera e incubatrice della morte. Il cibo, come sempre, ha rappresentato l’asticella del mio status mentale. Mi ero fissata di riperdere peso con una dieta assurda consigliatami dalla mia ex-suocera, preparavo pastoni e brodaglie che propinavo alla mia povera coinqui-amica e compravo cartoni di albumi. Poi è andata sempre peggio, non riuscivo mai a farmi pranzo, ricordo pezzi di pizza volanti, tramezzini scadenti, molto spesso niente. E poi il buio.
  • Ma attenzione, arriva il 2016, e bam!, vado a convivere. E tiro fuori la vera massaia che è in me, e non ce n’è per nessuno: complice il vivere in pieno centro storico con il mercato della frutta e della verdura sotto casa e un benessere economico dato dalla divisione delle spese, faccio la sciura comprando in bottega e propongo al mio amato manicaretti di livello altissimo, ma tipo tutti i giorni: pietanze da riviste di cucina, forno acceso fisso, grembiulino. Nota bene: avevo la lavastoviglie.

E in un attimo son passati più di dieci anni (merda), vivo da sola sull’eremo, sono costantemente a dieta e il benessere economico è finito.

  • Oscillo tra l’orrore del frigo vuoto e del nutrirmi a latte e cereali (quando c’è il latte – ormai senza lattosio), fottendomene altamente di me stessa, e l’ansia da prestazione per pasti super bilanciati perfetti e moderni e che coglioni basta semini voglio la pasta invece no.
  • Ho provato i NutriBees, non sono per me, ci ho sofferto molto, perché a voi piacciono e a me no?
  • Ho iniziato ad acquistare prodotti che mai mi sarei azzardata fino a poco tempo fa.
  • La Conca è drammaticamente sprovvista di luoghi adeguati alla pausa pranzo (problema enorme, enorme, facciamo qualcosa).
  • Il pasto a scrocco a casa dei miei è sempre un salvavita (ma da usare con parsimonia).
  • Andare in palestra quattro volte a settimana vuol dire che ho bisogno di quattro pranzi pronti e sani: è difficile, non ci riesco sempre, ci provo tantissimo, ho imparato dei trucchetti che mi aiutano.
  • (Guardo ore e ore di video sui meal-prep su Youtube)
  • Cucinare però continua a piacermi da matti, e per le occasioni speciali non mi tiro indietro e adoro dare sfoggio di quello che ho imparato a fare.

Vi prego, possiamo parlarne tanto tutti insieme? Come vi tenete in vita voi?

B.

2 pensieri riguardo “Bollettino sulle voci inside my head #6

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